Quando mi guardo alle spalle penso che il mondo è perverso e la vita non è uno scherzo.
La vita è breve, dura il tempo di un attimo.
Quanto più si vive, più grande è la sofferenza a cui si va incontro. Non appena si comincia a prendere una direzione, a maturare, già arriva il momento di dire addio alla famiglia, agli amici.
Penso che la vita è, in definitiva, un’esperienza che si vive contro il male, contrastando il male.
Come si fa? Fissando una serie di principi.
Nel mio caso, la battaglia per ciò che ho sempre ritenuto giusto: l’uguaglianza. Proprio perché la sofferenza degli altri è anche la nostra e noi siamo parte del mondo. In tutti i casi, il risultato è sempre lo stesso: alla fine si sparisce. La vita è un soffio. Per questo bisogna imparare ad attraversarla in modo decente. Coltivare le proprie idee, i propri principi, che sono come pilastri, e portarli con noi per il resto della vita. Questa è la grande sfida.
Siamo un po’ come una casa, nasciamo con un disegno prestabilito: cresciamo un passo alla volta e possiamo anche modificarci, sebbene solo superficialmente. Come una casa, potremo poi anche essere aggiustati, sostituendo una porta, riverniciando le pareti, ma i più attenti ritroveranno sempre i difetti originali.
Sento saudade dei tanti passaggi della mia vita. Del tempo del collegio e poi della scuola di architettura, che ai miei tempi era la Scuola di Architettura e Belle Arti. E poi dei primi amori, della vita che si faceva da giovani, bere con gli amici, giocare a pallone, i viaggi. Soprattutto l’amicizia, che è la cosa più importante, un bene da preservare e coltivare.
In casa avevamo il pianoforte, e venivano a trovarci Vinícius de Moraes, Antonio Carlos Jobim, Ary Barroso, e quella figura fantastica che è Chico Buarque. Quando l’ho visto la prima volta, Chico era un bambino perché io ero amico di suo padre, il grande storico Sergio Buarque de Hollanda: progettai una casa per loro, che però non si fece, e fu un grande rimpianto. Jorge Amado era mio amico, e così Manuel Bandeira, enorme poeta. Ma quanti amici! Non c’è più nessuno!
Insieme a Darcy Ribeiro, un uomo straordinario, e a Leonel Brizola, creammo il progetto delle Scuole popolari Cieps, un’opera di cui sono orgoglioso, anche se penso che avrei potuto fare di più per la gente, per il popolo. A volte penso che la mia missione non si è compiuta!
Tutti i miei amici finirono esiliati perché erano oppositori politici, Brizola restò in Francia a lungo, come me. Io vissi in un appartamento di Boulevard Raspail vicino a Saint-Germain, e Parigi mi accolse, frequentai Jean-Paul Sartre, che ho sempre ammirato e letto. Mi ha influenzato il suo pensiero, il suo pessimismo di fronte al dolore e alla sofferenza del mondo.
Ma non riuscivo a stare per troppo tempo lontano da qui, dal mare, da Copacabana: io posso vivere soltanto vicino al mare. Sentivo saudade degli amici, dei carioca.
Io sono nato qui.
Ricordo che, quando tornavo da scuola – ero insomma un bambino – mangiavo e poi subito uscivo a giocare a pallone per strada, fino all’ora di cena. La tavola era grande, i miei nonni si sedevano a capotavola, noi, più piccoli, da una parte e gli zii dall’altra. Bisogna immaginare una grande casa coloniale piena di gente e di regole: eravamo sei figli e bisognava sedersi a tavola vestiti di tutto punto, giacca e polsini.
Studiavo in un collegio religioso, severo, e quando si faceva qualcosa di sbagliato i padri ci ordinavano di scrivere cento o duecento volte “io non devo parlare a lezione!”, e a volte venivo espulso, e così andavo in giro, andavo a zonzo. Mi è sempre piaciuto molto camminare, camminare in riva al mare, sulla spiaggia.
Da bambino andavo fino a Ipanema a vedere i pescatori che tornavano con le reti piene, le donne che all’alba andavano a comprare il pesce, e il pesce fresco che saltava fuori dalle reti! Che impressione! Il mare è stato la mia guida: ho sempre pensato che un posto dove vivere è vicino al mare.
Certo, oggi non posso più muovermi da solo, devo sempre chiedere aiuto a qualcuno, anche per andare da qui a lì, e non è bello, anzi è una merda! Ma cosa ci posso fare?
Pazienza!
Tratto da: Oscar Niemeyer, Il mondo è ingiusto