La cosa più bella del giardino questa primavera è il glicine che se ne sta in piedi per conto suo, tutto solo. È visione di pura bellezza, questo che da lontano mi pare chissà perché un fantasma di glicine, con quell’azzurro violaceo dalla fresca tonalità di lavanda contro l’erba smeraldina, un accostamento che ricorda l’Iris pallida dalmatica contro le foglie giovani dei polloni di tiglio. Questa meraviglia non è nemmeno frutto di un disegno intenzionale. L’ho seminato io quel glicine, non so più quanti anni fa, dopo che ero stata a trovare vicino ad Assisi Sri Satyananda, il maestro indiano. Avevo staccato alcuni baccelli dalla pergola che dall’ashram portava alla cappella di San Francesco. La piantina avevo pensato di farla arrampicare su un vecchio salice dal tronco cavo che era poi seccato. Che fare? Avevo appoggiato il glicine ancora imberbe a una canna, lo avevo poi tenuto basso in modo che, aumentando di volume il tronco, potesse reggersi in piedi da solo. A lungo avevo guardato con un certo disappunto questa pianta ornamentale che lì, tra frutteto e oliveto, pareva quanto mai inopportuna. Finché quest’anno, forse perché ha raggiunto una sua pienezza di forme, l’ho visto con altri occhi, fino ad accorgermi che aveva molto più fascino, e soprattutto naturalezza, dei quattro glicini della pergola, che compongono sì un riparo stupendo, con quella tessitura di rosa di azzurro e di bianco, sono sì incantevoli con quei grappoli fioriti e fragranti che pendono simili a lanterne cinesi, ma come piante sono prive di fascino, svilite da questo loro reggersi su dei pali/stampelle per svolgere una funzione in primo luogo servile. Mentre il glicine che se ne sta fiorito, solitario e libero a guardare il frutteto senza però dare frutto, ronzante di neri bombi e di api, è lì solo per farsi ammirare, infondere meraviglia.
Pioggia. Non mi pare di avere mai preso nota dell’umido, dei giorni che non si può uscire, i giorni dell’attesa. Giorni di tensione quando il cielo è coperto e le nubi sono incerte se sciogliersi; di dolcezza invece quando le nubi si svuotano, e gocciando giù a terra promettono tra mille lacrime che non lo faranno più, di nascondere l’azzurro del cielo…
Tratto da: Pia Pera, Al giardino ancora non l’ho detto, Ponte alle Grazie Editore.