In un arco di tempo di circa centoventi anni, comparvero sulla terra cinque uomini destinati a lasciare un’orma incancellabile nella storia dell’umanità. Questo periodo così importante per la storia è stato definito da Karl Jaspers “ l’epoca-asse” cioè il periodo cardine della storia dell’uomo, periodo destinato ad influenzare la vita e il pensiero di un vastissimo numero di persone, del passato, del presente e probabilmente anche del futuro. Questi grandi illuminati pur non conoscendosi, cercarono, ciascuno a loro modo di condannare, rifiutare e modificare la realtà delle cose così come le avevano trovate. Il primo di essi fu Zarathustra, il secondo fu il Deutero Isaia, poi Buddha, Confucio e infine Pitagora. Ricollegandomi al racconto della leggenda del thè, parleremo della vita del Buddha storico. Le biografie attorno alla vita di Buddha sono veramente numerose, di gran lunga posteriori all’epoca in cui era vissuto e attorno alle quali aleggia il sospetto che il velo della leggenda abbia in realtà ricoperto quanto c’era di concreto nell’ordinato succedersi degli eventi storici. Si pensa che la letteratura dei testi Buddhistici, raccolti e sistematizzati molti anni dopo la sua morte sia frutto dei racconti usciti e tramandati dalla cerchia dei collaboratori più stretti del Maestro, come ad esempio il Lalita Vistara, scritto molti anni dopo la morte di Buddha, da un suo discepolo che diceva di averne ascoltato il racconto direttamente dal suo Maestro; mancano tuttavia di risvolti storici ben individuabili. Una delle osservazioni che inevitabilmente viene spontanea fare, intorno ai vari eventi che hanno segnato la vita di Buddha, è il fatto che si è portati a rintracciare una uniformità in tutte le tradizioni religiose, sia che esse provengono dal Tibet, piuttosto che dalla Cina, o dallo Sri Lanka o dalla Birmania, tanto per citare i luoghi storici dove si era principalmente diffuso il Buddhismo, solo per quanto riguarda la parte cosiddetta storica della vita del Buddha, mentre per la parte relativa agli eventi soprannaturali ci sono notevoli differenze nel modo in cui ci sono state tramandate, probabilmente storie aggiunte dai devoti successivamente al periodo in cui la propagazione era in pieno fermento, o solo per esaltarne l’aspetto mistico o anche con lo scopo di trovare un maggior seguito di fedeli devoti alla nuova religione. Nel misticismo indiano, un punto in comune con tutte le scuole di pensiero è che per ottenere la suprema perfezione bisogna passare attraverso un ciclo continuo di rinascita e purificazione, della durata di una serie interminabile di cicli cosmici. Buddha dopo una lunga serie di vite anteriori, aveva raggiunto la beatitudine spirituale che lo aveva portato a raggiungere il “Devaloka” o “Cielo dei Trentatré Dei”.Giunto il momento appropriato decise di tornare sulla terra e rinascere come figlio del re Suddhodana, del clan dei Sakya, re della nobile stirpe solare dei Gautamidi, che governava su Kapilavastu, un piccolo regno la cui capitale si pensa sia stata l’attuale Tilaurakot,(una città situata sulle rive del fiume Rapti forse l’attuale Banganga e che aveva preso il suo nome dal devoto Rishi Kapila, che proprio li aveva il suo eremitaggio) ai confini del Terai, una zona semitropicale del Nepal meridionale. Non lontano da Kapilavastu, c’era una città chiamata Devadaho o Devadarsita, la città della tigre, chiamata anche Vyajrapura o Kholi, città nella quale risiedeva la famiglia di un membro del clan degli Anusakya, un ricco possidente, per altri il re di Devadaho,il cui nome era Suprabuddha, nella sua casa abbondava la ricchezza. Questo nobiluomo aveva otto figlie, la prima chiamata Manasa ( o Maya-Devi ), l’ottava si chiamava Mahaprajapati ( Gotami Prajapati ). Gotami Prajapati era la più giovane delle otto sorelle e quando nacque, il Brahmano astrologo, chiamato presso la sua culle, le predisse che sarebbe diventata la madre di un re universale. Passarono dall’infanzia all’adolescenza e giunsero alla soglia dell’età da marito. Suddhodana desiderava avere Gotami Prajapati in moglie; il padre Suprabuddha rifiutò di concedere la mano della figlia minore, perché per il rispetto delle leggi brahmaniche doveva maritare prima le figlie maggiori. Suddhodana ci pensò su e scelse per sé la maggiore Maya Devi e l’ottava sorella Gotami Prajapati, mentre i suoi tre fratelli Suklodana, Tulodana e Amritodana avrebbero sposato ciascuno due delle altre sei sorelle. Maya Devi possedeva una bellezza così divina che le era stato dato il nome Maya che significa Illusione o per altri Visione, il suo aspetto sembrava essere, così come è stato raccontato nel Lalita-Vistara ( Il Libro sacro che narra la storia, in larga parte leggendaria, della vita di Buddha, dalla nascita alla sua prima predicazione, avvenuta nel Parco delle Gazzelle, non lontano da Benares, l’attuale Varanasi ), frutto della creazione di un incantevole sogno. Le virtù e il talento di Maya Devi erano superiori perfino alla sua sfolgorante bellezza, era dotata del dono dell’intelligenza e della pietà. Il suo sposo Suddhodana era degno della sua consorte ed era ritenuto un re giusto e saggio, veniva chiamato il “ Re della Legge “ perché viveva nel pieno rispetto delle Sacre Leggi, così come era imposto agli uomini delle caste superiori, i cosiddetti Dwidja, infatti il re apparteneva alla classe dei militari o degli Ksatrya. Nessun altro re tra i Sakya era stato onorato e rispettato quanto lui da ogni classe di soggetti, dai suoi consiglieri e cortigiani, fino alla servitù e ai mercanti. Questa era la nobile famiglia che diede i natali al grande Maestro. Quando rinunciò alla sua vita di corte e scelse la via della rinuncia, il primo gradino che egli percorse prima di raggiungere l’Illuminazione, fu chiamato, in onore delle sue nobili origini Sakya Muni ( Sakamuni ) vale a dire “il Saggio Sakya”, o anche Sramana Gautama “ il Gautemide asceta “. Suo padre alla nascita scelse il nome di Siddhartha o Sarvathasiddha, ritenendo questo nome adatto e beneaugurale per un Principe Reale ( Kumararaja ). Più tardi questo nome fu cambiato per un altro ancora più glorioso. Giunti a questo punto la storia comincia ad intrecciarsi con la leggenda. Dalla felice unione con Suddhodana e Maya Devi nacque il Buddha; la sua nascita fu preceduta da una serie di segni ed eventi prodigiosi. Una notte Maya era profondamente addormentata, quando nel cuore della notte fece un sogno strano che la spaventò ma le procurò anche una gioia fortissima che non aveva mai provato prima. Vide un piccolo elefante bianco con sei zanne che volteggiando nell’aria, si avvicinò al suo letto e le entrò nel fianco destro. Maya al risveglio si sentì profondamente turbata da questo strano sogno e chiese al re, suo marito di chiamare a corte i Brahmani capaci di interpretare il suo sogno. Giunsero a corte otto Brahmani, Yajnabhadanta, Visabhadanta, Ishwarabhadanta,Pindubhadanta, Brahmabhadanta e i tre figli di Kasyapa. Dopo aver ascoltato il racconto del sogno fatto dalla regina, si consultarono e diedero il loro responso; si trattava di un sogno propiziatorio; il bambino che sarebbe nato da lei, era destinato a diventare un bambino speciale, arrivando col tempo alla perfetta saggezza e il suo nome a diffondersi ovunque, vicino e lontano. Durante il periodo dell’attesa, mentre era in viaggio per Kholi, dove intendeva recarsi a far visita alla sua famiglia, si era fermata a passeggiare all’interno di un piacevole giardino, a circa 9-10 miglia a Est di Kapilavastu, nella città di Lumbini; questo parco era celebre per la sua bellezza, con una grande vasca circondata da alberi di sal che proprio nel periodo di maggio, quando la leggenda attribuisce la nascita di Buddha avvenuta proprio a maggio del 563 a.C., doveva essere nel pieno della loro rigogliosa fioritura. Maya Devi che si era fermata li per riposare, mentre era al decimo mese di gestazione, decise di immergersi nella vasca del parco, quando improvvisamente fu colta dalle doglie. Alzò la mano destra per afferrare un ramo di pipal e senza provocarle alcun dolore nacque il giovane principe al quale fu posto il nome di Siddharta, il terzo giorno del mese di Utarasadha o secondo altre fonti il quindicesimo giorno del mese di Vesakha. Si narra che Brahma stesso accolse il fanciullo su una stuoia d’oro, altre versioni parlano di quattro Brahmani che presero il bambino dicendo: “ Ecco, prendilo , o Regina, gioisci, rallegrati, questo è il prezioso e meraviglioso frutto del tuo ventre”. Si racconta che il neonato, si alzò in piedi e camminando in direzione dei quattro punti cardinali abbia pronunciato queste parole: “ Io sono l’Eccelso, unico signore del cielo e della terra; da questo momento in poi il ciclo delle mie nascite è giunto al termine
“ Nel luogo dove avvenne la prodigiosa nascita, fu fatto erigere da Asoka il Grande, oltre duecento anni dopo per commemorare l’evento un pilastro terminante con una testa di cavallo che fu ritrovato nel 1895 dall’archeologo Fuher, si legge “ Il re Asoka, incoronato per volontà degli Dei, nel XXI anno dalla sua incoronazione, venne in visita. Una colonna e un parapetto vennero eretti nel posto, in onore del Buddha, nel luogo dove nacque. In omaggio al Buddha che è nato qui, il villaggio è esonerato dal pagamento dei dazi”. Di questo pilastro ne aveva già parlato molti secoli prima Xuang Zang, che si era recato in pellegrinaggio in questi luoghi di devozione, dove aveva trovato la stele, la vasca, i resti del palazzo del re e soprattutto il padiglione abitato da Maya e dove il piccolo Siddharta passava le ore immerso nello studio e nella contemplazione. Dei resti del palazzo attualmente sono visibili solo poche fondamenta, che rendono conto a malapena quello che doveva essere stata la magnificenza del palazzo, Scavi archeologici iniziati verso la fine degli anni novanta e interrotti per un lungo periodo a causa delle vicissitudini socio-politiche che hanno interessato il Nepal, hanno evidenziato ben tredici livelli di insediamenti che risalgono fino all’VIII sec. a.C. Intanto il bambino cresceva bello come sua madre. In accordo all’antica usanza di presentare il bambino alle divinità del tempio, cinque giorni dopo la sua nascita, ci fu la cerimonia del nome. Ad officiare la cerimonia furono chiamati cento otto tra i Brahmani più sapienti, tra gli altri c’era anche l’astrologo Asiti, il quale trovò sul corpo del piccolo principe trentadue segni principali e altri ottanta secondari, i quali in accordo ad una credenza molto diffusa in India erano chiari indizi della nascita di un grande uomo. Piangendo calde lacrime gli predisse un avvenire straordinario: Se questo bambino resterà nel mondo degli uomini, diventerà un grande monarca, un re dell’Universo, un Kakravartin , ma se fugge dal mondo, allora diventerà un Buddha perfetto, un Illuminato, il saggio dei saggi, il sapiente dei sapienti” ( Lalita Vistara ). Altri Brahmani, esaminando i segni sul suo corpo, predissero che egli non sarebbe rimasto a lungo in mezzo agli uomini, ma che si sarebbe liberato presto di tutti i mali e dai dolori della vita, dalle miserie e dalle angosce che attanagliano l’essere umano per raggiungere uno stato di beatitudine perfetta che avrebbe fatto di lui un’illuminato. Tutti comunque erano concordi nell’affermare che sarebbe stato il “ benedetto da tutte le generazioni “, per questo gli fu posto il nome di Sarvarthasiddha “ Colui che appaga ogni desiderio “. Asiti interrogato dal re Suddhodana sul perché delle lacrime, rispose che le sue lacrime erano di felicità per aver visto un bambino così prodigioso e di dolore perché il suo tempo si avvicinava alla fine e che non avrebbe potuto ricevere gli insegnamenti di colui che sarebbe diventato un’Illuminato. Due giorni dopo la cerimonia, sette dal prodigioso parto, la regina Maya Devi morì, indebolita nel fisico dalla pietosa austerità a cui si era sottoposta durante il periodo della gestazione e dall’ansia di adempiere scrupolosamente alle leggi Brahmaniche o come narra la leggenda, morì per non avere il cuore sopraffatto dall’amarezza, quando giunto il momento, il suo adorato figlio sarebbe andato via dal palazzo, abbandonando lei, la sua vita, il suo trono per seguire una vita fatta di rinunce e mortificazioni. Da morta fu assunta in cielo in un luogo di beatitudine e divenne una Deva. Il piccolo orfano fu affidato alle cure amorevoli di Prajapati Gotami, sorella di Maya Devi e seconda sposa di suo padre; in questa maniera si avverò la profezia che gli indovini le avevano fatto alla nascita. Prajapati Gotami oltre che il ruolo di madre, seppure adottiva, di Buddha, ricoprirà una parte attiva in seguito, quando, dopo aver raggiunto l’Illuminazione Buddha inizia la sua opera apostolica, Prajapati Gotami, diventerà la sua discepola più fedele e la prima donna ad essere ammessa nell’ordine monastico.
Giunto all’età scolare, dimostrò il suo talento e il suo amore per la conoscenza, amava intrattenersi a parlare con i suoi maestri per ore.. Tra i suoi insegnanti c’era anche il saggio Visnamitra che ben presto ebbe a dire che lui ormai non aveva più nulla da insegnare al suo allievo.
Quando Suddhodana, dopo aver appreso dai Brahmani che suo figlio era destinato ad una vita ascetica, volle sapere il perché di questa scelta che lo avrebbe allontanato da sé e dal mondo. Risposero che appena il giovane si fosse accorto di quali e quanti mali circondano il mondo, di quale condanna ineluttabile incombe sul destino di tutti coloro che nascono alla vita; della vecchiaia, delle malattie, della morte che sono retaggio di tutte le creature viventi, allora avrebbe abbandonato il suo mondo, dove i piaceri e la felicità erano solo cose effimere, per conoscere il mezzo per salvare sé stesso e gli uomini dai mali della vita.
Difficilmente prendeva parte ai giochi con i compagni della sua età, sembrava sempre essere assorto in pensieri profondi, rimanendo in disparte in meditazione. Un giorno durante la festa dell’agricoltura, il giovane principe scomparve, suo padre preso dall’ansia andò personalmente a cercarlo, trovandolo immerso in profonda meditazione, sotto un albero, mentre i raggi del sole proiettando la luce attraverso le fronde dell’albero avvolsero Siddhartha di una luce sfolgorante, mentre l’ombra che i rami facevano rimaneva sempre fissa allo stesso posto, il re intuendo il prodigio, ne ebbe paura. Suo padre, avendolo destinato alla carriera militare e alla successione al trono, temendo l’avverarsi della profezia, cercò di procurare a suo figli tutti i piaceri della vita, in modo da distogliere il suo pensiero dall’ascesi e dalla ricerca spirituale e tenerlo lontano da tutto ciò che potesse suscitare la pietà e la compassione per la sofferenza e la miseria della vita di tutti gli esseri viventi. Quando Siddhartha Kumariraja, il principe ereditario Siddhartha, compì i sedici anni, suo padre ordinò che si costruissero tre palazzi, ciascuno di una sontuosità mai vista prima, in modo che il principe potesse godere di un luogo di delizie e piaceri per ognuna delle stagioni dell’anno; in ognuno di questi palazzi, scelse le più belle giovani del reame, affinché il principe potesse dilettarsi con la loro visione e i loro canti e le loro danze. Qualche anno più tardi giunto all’età di prendere moglie,( età che nelle caste superiori corrispondeva a quella del Griasta o padrone di casa) i vecchi saggi Sakya, ricordando la profezia del Brahmano Asita, cioè che Siddhartha avrebbe rinunciato alla corona reale per dedicarsi alle pratiche ascetiche, implorarono il re affinché facesse sposare il principe il più presto possibile, in modo da assicurare il futuro della sua razza. Essi infatti speravano di legare al trono il giovane principe con un matrimonio precoce. Il re suo padre pur dubitando fortemente che quella del matrimonio era la scelta giusta per suo figlio fu felice e parlò con lui, il quale chiese sette giorni di riflessione. Trascorsi i sette giorni, davanti al consiglio degli anziani riuniti a palazzo, acconsentì al matrimonio, e consegnò una lista delle qualità morali che cercava in quella che sarebbe dovuta diventare sua sposa, doveva essere senza passione per gli dei e i loro riti e dotata di intelligenza e del dono della modestia. Gli anziani Sakya riunirono a palazzo tutte le ragazze in età da marito, ognuna delle quali sembrava possedere alcune delle qualità richieste dal principe. Il principe in occasione della festa, distribuiva con generosità gioielli e altri regali alle ragazze presenti. Nessuna di loro pareva rispondere alle aspettative di Siddharta. Quando la festa era al culmine, arrivò in ritardo una ragazza di nome Gopa “ La signora della terra “ altrimenti detta Yasodhara, la quale si precipitò dal principe per ricevere i gioielli promessi, ma lei era arrivata in ritardo e allora i gioielli erano stati tutti distribuiti. Il principe per allontanare la delusione sul volto della fanciulla si tolse qualcuno dei propri ornamenti per farne dono a Yasodhara, la quale ringraziò il principe con una divertita insolenza, sicuramente al di fuori dei rigidi protocolli di corte. A questo punto Siddharta aveva scelto la sua sposa. Yasodhara era figlia di Dandapani, anche lei appartenente alla stirpe dei Sakya. Dandapani suo padre, negò il consenso al matrimonio, in quanto supponeva che essendo il principe stato allevato nell’ozio e nell’agiatezza incostruttiva, non fosse altro che un effeminato e un buono a nulla. Per sua figlia voleva un uomo forte e vigoroso, istruito, esperto nell’uso delle armi e con spiccate attitudini al comando, così come era richiesto ad un membro della casta militare dei Ksatrya. Siddharta, ferito nell’orgoglio, volle dimostrare che il suo stile di vita, non gli era stato di ostacolo nell’apprendimento delle arti militari e soprattutto nello studio. Fu così che ci fu una sfida tra cinquecento tra i più valorosi giovani Sakya, che la leggenda vuole nati tutti nello stesso giorno di Siddhartha. La competizione comprendeva esercitazioni di tiro con l’arco, la pratica delle arti marziali, gare di atletica, scherma ed esercitazione di scrittura nonché conoscenza dei Testi Vedici. Siddharta sbaragliò tutti i suoi avversari, tra questi c’era suo cugino Ananda, il suo successore spirituale, e un altro cugino Devadhatta, che roso dall’invidia per il suo successo divenne uno dei suoi più acerrimi nemici, inimicizia che sfocerà in seguito nel primo grande scisma al quale non fu estraneo neanche suo suocero Dandapani. Nonostante la felicità di questa unione, nata sotto buoni auspici, e che sarà coronata anni dopo dalla nascita del figlio Rahula non era bastata a cancellare dalla mente di Siddhartha i disegni del destino che stava inevitabilmente per compiersi. Nel suo palazzo, circondato da ogni sorta di lusso, dove ogni giorno era un giorno di festa, rallegrato da musica, canti e balli, sentiva che mancava qualcosa alla sua vita, infatti ripeteva :”I tre regni, quello di Dio, quello degli Asekhas e quello degli uomini, sono consumati dalla sofferenza delle malattie e dalla vecchiaia, essi sono consumati dal fuoco della morte e privati di ogni guida. Ma il desiderio e l’ignoranza che dimorano nella casa di Dio e degli uomini sono sulla strada del male. La natura del desiderio è sempre accompagnata dalla paura e dalla miseria, è la radice dell’angoscia. La nostra esistenza è transitoria, fluisce con inarrestabile rapidità, come le nuvole d’autunno, osservare la nascita e la morte degli esseri è come guardare un giro di una danza. La durata della vita è come la scia luminosa del fulmine che attraversa il cielo, come un torrente che precipita giù dalla montagna. Come un’immagine riflessa, un eco, un luccichio, o un vortice di danza, come un sogno, un’inutile parlare”. Il re Suddodhana, intuendo l’angoscia che aveva invaso il cuore del principe, incrementò la sua tenerezza e le sue attenzioni nei confronti di quel figlio dal cuore tanto tormentato Ma il destino stava per compiersi, tutte le sue precauzioni si rivelarono inutili a causa di quattro incontri destinati a turbarlo profondamente e a destare in lui la scoperta della caducità della vita e delle cose terrene: il vecchio, il malato,il morto, l’asceta.
Un giorno, sotto la guida di una numerosa scorta, attraversava la porta ad est della città, per recarsi in visita ad un luogo a lui assai caro, il parco di Lumbini, il posto dove sua madre Maya lo aveva messo al mondo. Quando incontra un vecchio decrepito. Il viso cosparso da rughe profondissime, la testa calva, le vene e i muscoli tese come corde, i pochi denti traballanti gli permettevano a malapena di emettere dei suoni inarticolati. Le sue scarne mani si aggrappavano al bastone per sopportare i suoi passi stentati, mentre il suo corpo era scosso dal tremore della paralisi.“ Chi è quell’uomo?” chiese al suo cocchiere “ Lo stato in cui si trova è per una condizione di familiarità o tutti siamo destinati a diventare come quest’uomo?” “ Signore “ rispose il cocchiere “ Quest’uomo è così a causa della vecchiaia. Debole, sofferente, affetto da mille malanni, i suoi parenti ne hanno disgusto; inadatto a qualsiasi lavoro, lo hanno abbandonato come si fa con un’arnese rotto. Egli si trascina di luogo in luogo ad elemosinare il suo sostentamento, senz’altro appoggio che il suo bastone. “ C’è ne sono molti come lui ?” domandò il principe. A questa domanda il cocchiere rispose: ” Tutti, o nobile signore, siamo condannati alla vecchiaia. In tutti la giovinezza è vinta dalla vecchiaia; vostro padre, la vostra sposa, i vostri amici diverranno vecchi così” “ Ahimè “ esclamò il principe “ l’uomo vive inebriato dalla giovinezza, inconsapevole della vecchiaia che lo aspetta per porgergli il conto degli anni spensierati della giovinezza”. Con il cuore sopraffatto dalla tristezza fece ritorno al palazzo che ormai aveva perso ogni attrattiva ai suoi occhi, preso com’era dal ricordo dell’incontro di prima. Ripeteva tra sé “ A cosa mi serve la gioia e il piacere, se io sono la futura dimora della vecchiaia?” Qualche tempo dopo ebbe ancora voglia di uscire fuori dal palazzo. Seguito dalla sua imponente scorta e il suo fedele cocchiere alla guida del carro si diresse verso la porta sud della città; sul cammino scorge un uomo ancora giovane, affetto da una serie di mali che poco a poco stavano distruggendo il suo corpo, la febbre consumava il suo povero corpo ricoperte di piaghe repellenti, e nei suoi occhi si leggeva tutto il terrore dell’approssimarsi della morte, tanto che anche la sua famiglia lo aveva abbandonato. A quella vista un nuovo dolore invase l’animo del giovane Siddhartha, al pensiero della fragilità della gioventù che può essere distrutta così facilmente dalle malattie. “ Quale uomo saggio, si domandò, potrà mai godere con animo sereno le gioie e i piaceri di questo mondo, se il male esiste da ogni lato mentre il dolore ci incalza ad ogni istante?” Dopo questi incontri, sconvolgenti per il giovane principe che ignorava l’essenza del dolore e della sofferenza, un altro incontro fu cagione di ulteriore tristezza. In un’altra delle sue passeggiate, uscendo dalla porta ovest vide, disteso in una bara vide un uomo morto. Intorno a lui i parenti in lacrime piangevano, si percuotevano il petto mentre si cospargevano la testa della polvere della strada. Fu allora che per la prima volta lo colse il pensiero della morte, pensando che ogni uomo nasce per morire: Considerando a quanto sia breve l’esistenza della natura umana, che scorre nel desiderio di raggiungere una felicità inarrivabile, e dalla lotta con le miserie dell’esistenza, maledisse la gioventù, che è distrutta troppo velocemente dalla vecchiaia, la salute, corteggiata da una serie infinita di malattie e la vita che conduce inevitabilmente alla morte. Ormai tutto quello che aveva rallegrato la sua vita non bastava più a sollevare il suo cuore dalla sofferenza provocata da quegli incontri. “ Quanto è grande nel mondo l’infelicità, pensava: le malattie e la vecchiaia privano l’uomo dei pochi beni che la natura gli ha concesso, distruggendo a poco a poco i sensi, le forze, il corpo; lo divorano e lo conducono alla morte…. la vita è come un lampo….. l’essere più caro, il più amato dovrà un giorno scomparire per sempre: come una foglia trascinata via dalla corrente, appare per un attimo ai nostri occhi per poi scomparire per sempre”. Il re, suo padre, vedendolo sempre più afflitto, fece in modo di soddisfare ogni suo desiderio, ma il principe gli diceva :” io ho solo quattro desideri, godere di una giovinezza imperitura e di una vita non insidiata dalla malattia, vincere sulla morte e gioire di una felicità costante. Le vostre ricchezze possono fare tutto questo? “ Fu così che nel suo cuore cominciò a farsi strada un nuovo sentimento, un sentimento fatto di pietà e di compassione per tutto il genere umano, privo di una guida e di ogni conforto, circondato da un’infelicità senza via d’uscita. Oltre a questi tre incontri decisivi per la sua vita, in altri racconti si parla anche di un quarto incontro, quello con un religioso che andava mendicando per le strade cittadine. La vista di quell’uomo, Bikku,vestito di un abito di tela grezza di colore rossastro, il cui viso risplendeva di una luce che solo la serenità può dare, che era riuscito ad avere il dominio sui sensi e sulle umane passioni, ottenendo la liberazione dai mali dell’esistenza, fece nascere nel principe l’idea di abbandonare il mondo e fare la “ Grande Rinuncia “, maturando dentro di sé l’idea di doversi adoperare per salvare l’uomo dal dolore che è parte integrante dell’esistenza, per condurlo in uno stato di benessere dove non ci fossero turbative causate dal desiderio e dalla paura della sofferenza. Per raggiungere questo obbiettivo che si era prefissato era necessario ritirarsi in perfetta solitudine a meditare per conoscere sé stesso e il modo di condurre l’uomo sulla via della salvezza. Mentre la sua mente concepiva questa risoluzione, all’età di ventinove anni divenne padre. Yasodhara mise al mondo il loro primo figlio. Il re Suddodhana, quasi impazziva dalla gioia, la nascita di un figlio avrebbe fatto desistere il principe dai suoi intenti religiosi. Mandò i suoi messaggeri ad annunciare la nascita del figlioletto, e Siddhartha col cuore colmo di gioia esclamò “ Rahula-yato” intendendo con questo la nascita di una nuova vita da amare, fu così che il neonato fu chiamato Rahula. La nascita del figlioletto lo aveva posto comunque di fronte ad un dilemma, era meglio sacrificare l’amore della famiglia o quello per l’intera umanità. La missione che egli voleva compiere era importante e nobile e prevalse infine sull’amore per la famiglia. Dopo aver cercato invano di ottenere il consenso paterno, decise di fuggire dalla corte e abbandonare la città di Kapilavastu. Con l’aiuto del suo fedele servitore Chandaka, in sella al suo cavallo bianco Kantakanam andò incontro alla sua nuova esistenza. Prima di abbandonare la reggia volle rivedere il suo piccolo figlioletto. Andò negli appartamenti di Yasodhara che trovò profondamente addormentata in un letto circondato da gelsomini, con il bambino che dormiva sul suo petto. Siddhartha avrebbe voluto abbracciare Rahula per l’ultima volta ma temendo di svegliare Yasodhara che avrebbe cercato di farlo desistere dal suo proposito, rinunciò rimanendo immobile sulla soglia; poi con uno sforzo che avrebbe potuto spostare la più grande montagna della terra si allontanò senza voltarsi indietro. “ Se l’amore di padre mi fosse d’impedimento nell’acquisto della scienza sublime che io ricerco, chi salverà gli uomini dai dolori dell’esistenza?”.Giunto a questa conclusione, Siddhartha all’età di ventinove anni, la stessa età di Yasodhara si ritirò dal mondo.
Un giorno, sotto la guida di una numerosa scorta, attraversava la porta ad est della città, per recarsi in visita ad un luogo a lui assai caro, il parco di Lumbini, il posto dove sua madre Maya lo aveva messo al mondo. Quando incontra un vecchio decrepito. Il viso cosparso da rughe profondissime, la testa calva, le vene e i muscoli tese come corde, i pochi denti traballanti gli permettevano a malapena di emettere dei suoni inarticolati. Le sue scarne mani si aggrappavano al bastone per sopportare i suoi passi stentati, mentre il suo corpo era scosso dal tremore della paralisi.“ Chi è quell’uomo?” chiese al suo cocchiere “ Lo stato in cui si trova è per una condizione di familiarità o tutti siamo destinati a diventare come quest’uomo?” “ Signore “ rispose il cocchiere “ Quest’uomo è così a causa della vecchiaia. Debole, sofferente, affetto da mille malanni, i suoi parenti ne hanno disgusto; inadatto a qualsiasi lavoro, lo hanno abbandonato come si fa con un’arnese rotto. Egli si trascina di luogo in luogo ad elemosinare il suo sostentamento, senz’altro appoggio che il suo bastone. “ C’è ne sono molti come lui ?” domandò il principe. A questa domanda il cocchiere rispose: ” Tutti, o nobile signore, siamo condannati alla vecchiaia. In tutti la giovinezza è vinta dalla vecchiaia; vostro padre, la vostra sposa, i vostri amici diverranno vecchi così” “ Ahimè “ esclamò il principe “ l’uomo vive inebriato dalla giovinezza, inconsapevole della vecchiaia che lo aspetta per porgergli il conto degli anni spensierati della giovinezza”. Con il cuore sopraffatto dalla tristezza fece ritorno al palazzo che ormai aveva perso ogni attrattiva ai suoi occhi, preso com’era dal ricordo dell’incontro di prima. Ripeteva tra sé “ A cosa mi serve la gioia e il piacere, se io sono la futura dimora della vecchiaia?” Qualche tempo dopo ebbe ancora voglia di uscire fuori dal palazzo. Seguito dalla sua imponente scorta e il suo fedele cocchiere alla guida del carro si diresse verso la porta sud della città; sul cammino scorge un uomo ancora giovane, affetto da una serie di mali che poco a poco stavano distruggendo il suo corpo, la febbre consumava il suo povero corpo ricoperte di piaghe repellenti, e nei suoi occhi si leggeva tutto il terrore dell’approssimarsi della morte, tanto che anche la sua famiglia lo aveva abbandonato. A quella vista un nuovo dolore invase l’animo del giovane Siddhartha, al pensiero della fragilità della gioventù che può essere distrutta così facilmente dalle malattie. “ Quale uomo saggio, si domandò, potrà mai godere con animo sereno le gioie e i piaceri di questo mondo, se il male esiste da ogni lato mentre il dolore ci incalza ad ogni istante?” Dopo questi incontri, sconvolgenti per il giovane principe che ignorava l’essenza del dolore e della sofferenza, un altro incontro fu cagione di ulteriore tristezza. In un’altra delle sue passeggiate, uscendo dalla porta ovest vide, disteso in una bara vide un uomo morto. Intorno a lui i parenti in lacrime piangevano, si percuotevano il petto mentre si cospargevano la testa della polvere della strada. Fu allora che per la prima volta lo colse il pensiero della morte, pensando che ogni uomo nasce per morire: Considerando a quanto sia breve l’esistenza della natura umana, che scorre nel desiderio di raggiungere una felicità inarrivabile, e dalla lotta con le miserie dell’esistenza, maledisse la gioventù, che è distrutta troppo velocemente dalla vecchiaia, la salute, corteggiata da una serie infinita di malattie e la vita che conduce inevitabilmente alla morte. Ormai tutto quello che aveva rallegrato la sua vita non bastava più a sollevare il suo cuore dalla sofferenza provocata da quegli incontri. “ Quanto è grande nel mondo l’infelicità, pensava: le malattie e la vecchiaia privano l’uomo dei pochi beni che la natura gli ha concesso, distruggendo a poco a poco i sensi, le forze, il corpo; lo divorano e lo conducono alla morte…. la vita è come un lampo….. l’essere più caro, il più amato dovrà un giorno scomparire per sempre: come una foglia trascinata via dalla corrente, appare per un attimo ai nostri occhi per poi scomparire per sempre”. Il re, suo padre, vedendolo sempre più afflitto, fece in modo di soddisfare ogni suo desiderio, ma il principe gli diceva :” io ho solo quattro desideri, godere di una giovinezza imperitura e di una vita non insidiata dalla malattia, vincere sulla morte e gioire di una felicità costante. Le vostre ricchezze possono fare tutto questo? “ Fu così che nel suo cuore cominciò a farsi strada un nuovo sentimento, un sentimento fatto di pietà e di compassione per tutto il genere umano, privo di una guida e di ogni conforto, circondato da un’infelicità senza via d’uscita. Oltre a questi tre incontri decisivi per la sua vita, in altri racconti si parla anche di un quarto incontro, quello con un religioso che andava mendicando per le strade cittadine. La vista di quell’uomo, Bikku,vestito di un abito di tela grezza di colore rossastro, il cui viso risplendeva di una luce che solo la serenità può dare, che era riuscito ad avere il dominio sui sensi e sulle umane passioni, ottenendo la liberazione dai mali dell’esistenza, fece nascere nel principe l’idea di abbandonare il mondo e fare la “ Grande Rinuncia “, maturando dentro di sé l’idea di doversi adoperare per salvare l’uomo dal dolore che è parte integrante dell’esistenza, per condurlo in uno stato di benessere dove non ci fossero turbative causate dal desiderio e dalla paura della sofferenza. Per raggiungere questo obbiettivo che si era prefissato era necessario ritirarsi in perfetta solitudine a meditare per conoscere sé stesso e il modo di condurre l’uomo sulla via della salvezza. Mentre la sua mente concepiva questa risoluzione, all’età di ventinove anni divenne padre. Yasodhara mise al mondo il loro primo figlio. Il re Suddodhana, quasi impazziva dalla gioia, la nascita di un figlio avrebbe fatto desistere il principe dai suoi intenti religiosi. Mandò i suoi messaggeri ad annunciare la nascita del figlioletto, e Siddhartha col cuore colmo di gioia esclamò “ Rahula-yato” intendendo con questo la nascita di una nuova vita da amare, fu così che il neonato fu chiamato Rahula. La nascita del figlioletto lo aveva posto comunque di fronte ad un dilemma, era meglio sacrificare l’amore della famiglia o quello per l’intera umanità. La missione che egli voleva compiere era importante e nobile e prevalse infine sull’amore per la famiglia. Dopo aver cercato invano di ottenere il consenso paterno, decise di fuggire dalla corte e abbandonare la città di Kapilavastu. Con l’aiuto del suo fedele servitore Chandaka, in sella al suo cavallo bianco Kantakanam andò incontro alla sua nuova esistenza. Prima di abbandonare la reggia volle rivedere il suo piccolo figlioletto. Andò negli appartamenti di Yasodhara che trovò profondamente addormentata in un letto circondato da gelsomini, con il bambino che dormiva sul suo petto. Siddhartha avrebbe voluto abbracciare Rahula per l’ultima volta ma temendo di svegliare Yasodhara che avrebbe cercato di farlo desistere dal suo proposito, rinunciò rimanendo immobile sulla soglia; poi con uno sforzo che avrebbe potuto spostare la più grande montagna della terra si allontanò senza voltarsi indietro. “ Se l’amore di padre mi fosse d’impedimento nell’acquisto della scienza sublime che io ricerco, chi salverà gli uomini dai dolori dell’esistenza?”.Giunto a questa conclusione, Siddhartha all’età di ventinove anni, la stessa età di Yasodhara si ritirò dal mondo.
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