Pensa alla terribile energia concentrata in una ghianda! La sotterri, ed esplode in una quercia! Sotterra una pecora, e non avrai che putrefazione.
George Bernard Shaw
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Un seme in fase di germinazione è così potente che le navi da trasporto in legno finivano per sfasciarsi se il loro carico di riso, dopo essersi bagnato, iniziava a germogliare. Ci sono stati casi di silos per cereali che non hanno retto alla pressione dei chicchi che stavano germinando. Chi mai potrebbe immaginare che una forza del genere sonnecchi dentro semi che — una volta essiccati fino a ridurre al 5 o al 10 per cento il loro contenuto d’acqua — possono essere immagazzinati per lunghi periodi senza dare alcun segno di vita?
La germinazione ha inizio quando un seme si imbibisce d’acqua: dapprima si gonfia, poi l’embrione comincia a crescere. L’assorbimento dell’acqua da parte dei semi non è qualcosa di passivo — come una vasca da bagno che viene riempita -, bensì sfrutta l’affinità dei carboidrati (come l’amido) e delle proteine (come il glutine) con le molecole dell’acqua per assorbirla come una spugna. Il processo di assorbimento può essere incredibilmente rapido. Il seme più veloce in assoluto nell’imbibirsi e nel germogliare è la Blepharis mitrata sudafricana. Pochi secondi dopo che il seme è venuto a contatto con l’acqua, la peluria biancastra fitta e untuosa che lo riveste si trasforma in una specie di tappetino da bagno viscido e appiccicoso, costituito di fibre verticali che fanno aderire il seme alla superficie del terreno. Questo impedisce che venga spazzato via da flussi improvvisi, oltre a fungere da deterrente per le formiche che altrimenti se lo mangerebbero. Sei ore dopo, l’embrione è già cresciuto abbastanza da spaccare il rivestimento del seme e conficcare una radice nella terra.
Il tegumento dei semi di erbe come il psillio Plantago psyllium e il Plantago ovata racchiude una gomma mucillaginosa così efficace nell’assorbire e immagazzinare l’acqua da essere usata nella preparazione di lassativi come il Metamucil e l’Hydrocil. La chía (Salvia hispanica) è un’erba annuale che si trova in Messico e nei deserti dell’America sudoccidentale: anche i suoi semini a forma di fagiolo producono una mucillaggine quando si bagnano. Un tempo questi semi venivano messi a bagno nell’acqua per ricavarne una specie di porridge oppure macinati per preparare un piatto chiamato pinole. Poiché nello stomaco questi semi aumentano di volume, trasmettono un senso di sazietà anche se consumati in piccole dosi.
Una volta innescata, la germinazione (come la nascita) è un processo irreversibile; quando un seme imbocca questa strada, non può più tornare indietro. Il tempo dunque è un fattore cruciale, e i semi hanno messo a punto una vasta gamma di stratagemmi per non sbagliare. I semi longevi sono quelli che fanno più parlare di sé, ma alcuni sono altrettanto meritevoli di attenzione per la brevità sbalorditiva della loro esistenza. Quelli di pioppo e di salice hanno una vita brevissima e devono trovare del terriccio umido entro alcune ore dalla dispersione, altrimenti muoiono. Per queste specie avere tempi di germinazione corretti significa davvero imbroccare il momento giusto per produrre i semi, perché, una volta che questi sono giunti a maturazione, la loro data di scadenza è già molto vicina.
Alcune specie dette «vivipare» nel loro ciclo vitale hanno ridotto al minimo la fase del seme, facendolo germinare quando si trova ancora nel capolino del fiore. Talvolta, in caso di condizioni climatiche estremamente calde e umide, ciò si verifica anche in comunissime erbe selvatiche. Può accadere anche nei cereali come il frumento, con grave danno per il raccolto.
Tra le vivipare rientrano alcune specie di mangrovie: alberi che, in virtù della loro grande tolleranza al sale, vivono lungo le linee costiere di tutti i Tropici. Le mangrovie lasciano cadere nell’oceano i loro precoci virgulti, come torpedini; qui essi galleggeranno in verticale, pronti a conficcarsi nel fango e a radicarsi appena la marea li depositerà. In alcune specie di mangrovie, le piantine pregerminate si nascondono nel baccello del frutto già innescate e pronte a crescere, ma protette nello «scafo» materno fino al momento opportuno.
La dormienza si verifica in occasione di stagioni climatiche troppo secche o troppo fredde perché i semi possano germinare, in cui perciò conviene aspettare che passi il momento sfavorevole. La gamma dei comportamenti per la dormienza è davvero vastissima. Parafrasando Malvolio nella Dodicesima notte, qualcuno ha dichiarato: «La dormienza, c’è chi ce l’ha per nascita, chi la raggiunge, chi ne è conquistato a forza». Per quanto eleganti, queste distinzioni sono troppo semplificate per rendere giustizia all’intelligenza e alla raffinatezza dei semi. In realtà è come se ciascuno di essi avesse una personalità tutta sua, in parte ereditata, in parte tipica della specie e in parte prodotta dal particolare ambiente in cui si trova e dalla storia che ha avuto; ma, in ultima analisi, tutti sono modellati dalla selezione naturale e soggetti a essa.
Rispetto alla scaltrezza di cui le piante danno prova, l’erba centinodia, Polygonum aviculare, fa un po’ la figura della sempliciotta: infesta campi coltivati e giardini e i suoi semi nascono dormienti e non germinano prima dell’inverno. Il gelo che patiscono sottoterra nei mesi invernali li fa uscire dallo stato di dormienza, preparandoli a germinare appena il terreno s’intiepidirà con l’arrivo della primavera. Tutti i semi che a maggio non sono ancora germinati torneranno a poco a poco dormienti, e ci vorrà un altro periodo di freddo perché siano nuovamente pronti a germinare. Dare della sempliciotta alla centinodia solo perché mostra un comportamento così razionale è davvero ingiusto, soprattutto perché è in buona compagnia. I semi di numerose piante infestanti vanno incontro a simili cicli di dormienza e germinabilità in base alla stagione, però è innegabile che, nella graduatoria delle sottigliezze sfoderate dai semi, qui siamo al gradino più basso.
Chi ha guadagnato qualche posizione in classifica è un’altra comunissima erba infestante, il farinaccio Chenopodium album. Questa pianta produce semi non dormienti all’inizio dell’anno e dormienti nella fase di massimo rigoglio. Questo le consente di affrontare l’anno con una generazione in più, grazie ai semi generati in anticipo; quelli prodotti in un secondo momento saranno invece tenuti in serbo, e al sicuro, fino alla primavera successiva. Ancor più scaltre sono le piante annuali che puntano sulla rigidità dell’inverno. Le cosiddette «annuali invernali» — come l’arabetta comune Arabidopsis thaliana, il forasacco dei tetti Bromus tectorum e molte altre — germinano in autunno. Certo, il rischio che le gelate invernali facciano morire le piantine giovani c’è, ma c’è anche la ricompensa: quelle che sopravvivono si trovano in vantaggio rispetto ai semi che aspettano fino a primavera per germinare. Se ce la faranno, saranno più grosse e produrranno molti più semi.
Le annuali invernali ricorrono di solito a una strategia di «diversificazione del rischio» mantenendo parte dei semi in dormienza durante l’inverno. Questi semi a germinazione primaverile producono piante più piccole e hanno meno semi rispetto al drappello delle sopravvissute alla stagione fredda, ma tendenzialmente hanno maggiori chance di sopravvivenza. Poiché l’inverno è più rigido in alcuni anni e meno in altri, a cavarsela meglio saranno a volte i semi non dormienti e altre volte i dormienti. Alcuni semplici calcoli hanno dimostrato che le annuali invernali che diversificano il rischio producendo una mescolanza di due diversi tipi di seme nel lungo periodo hanno più successo rispetto alle piante che generano un unico tipo di semi. Cercare di limitare i rischi dovuti all’incertezza è una legge base dell’economia, ma neppure Warren Buffett, il massimo esperto di investimenti a lungo termine, potrebbe affermare di aver adottato questa strategia con successo per milioni di anni; le piante, invece, sì.
Finora non siamo nemmeno a metà della classifica delle sottigliezze dei comportamenti di germinazione. Abbiamo preso nota di come le piante possono modulare la dormienza secondo le stagioni e abbiamo visto la diversificazione del rischio. Tutte queste piante utilizzano la stagione, la temperatura e l’umidità del suolo per programmare i semi alla dormienza e innescare in essi la germinazione al momento opportuno, ma i semi ricorrono ad altri indizi per avere informazioni più precise su quando germinare. Molti, come per esempio quello della lattuga Lactuca sativa , sono fotosensibili e non germinano se rimangono al buio, nemmeno se la temperatura e il grado di umidità sarebbero giusti. Questo meccanismo impedisce ai semi di germinare quando sono troppo in profondità per sperare di raggiungere la superficie. Ma il più piccolo bagliore di luce diurna basterà a risvegliarli. Scavare su un letto di semina comunica (tramite la luce) a un’enorme quantità di semi fotosensibili di erbe infestanti che la superficie è vicina. Ecco perché vi conviene evitare il più possibile di rivoltare la terra del giardino se non volete che si riempia di erbacce.
Molti semi hanno nella manica un asso in più. Le piante percepiscono la luce grazie a un fotorecettore, messo a punto in tempi remotissimi, detto «fitocromo». La molecola del fitocromo esiste in due forme interconvertibili: quella chiamata Pr assorbe la luce rossa e, nel farlo, si converte nell’altra, detta Pfr. Quest’ultima forma è particolarmente sensibile alla luce rosso-lontano (nota anche come «infrarosso vicino») che ha una lunghezza d’onda più lunga del rosso. Il rosso-lontano fa sì che le molecole Pfr si convertano nella varietà Pr. Qual è lo scopo di tutto questo avanti e indietro molecolare? Dal momento che le due forme di fitocromo sono sensibili alla luce di diverse lunghezze d’onda e sono interconvertibili, il rapporto Pr: Pfr è determinato dalle quantità relative di luce che la pianta sta ricevendo sulle due lunghezze d’onda. Questo rapporto fornisce informazioni sull’ambiente circostante di importanza vitale per la pianta.
Una luce diurna non oscurata ha un rapporto rosso/rosso-lontano di circa 1, che in una pianta illuminata si traduce in un rapporto di equilibrio tra Pr e Pfr. Tuttavia, quando la luce del sole passa attraverso una foglia, viene assorbita di preferenza la luce rossa. Quella restante che attraversa la foglia (o ne viene riflessa) risulta priva di rosso, il che spiega per quale motivo le piante appaiono verdi. La luce che ha attraversato la foglia, dunque, ha un rapporto rosso/rosso-lontano molto inferiore a 1, e ciò viene rilevato dalle piante grazie all’effetto che questo ha sul rapporto Pr: Pfr. Le piante utilizzano il fitocromo per per cepire i loro vicini e regolare di conseguenza la crescita in modo da evitarli. Anche molti semi usano il fitocromo nel medesimo modo: germineranno nell’oscurità, ma non se sono esposti a una luce che sia stata filtrata da una foglia. Le piante più piccole escono immancabilmente sconfitte nella competizione con quelle abbastanza grandi da metterle in ombra, perciò a un seme conviene restare dormiente piuttosto che germinare sotto l’ombra di un’altra pianta dove il suo virgulto potrà soltanto combattere e morire.
Un inconveniente del sistema fondato sul fitocromo è che non può funzionare nell’oscurità, perciò soltanto i semi che si trovano sopra o in prossimità della superficie del terreno possono ricorrervi per rilevare la presenza di potenziali rivali. Tuttavia, i semi ancora sottoterra possono affidarsi a un altro indizio per capire se sopra le loro teste c’è ancora uno spazio libero. Uno strato di vegetazione, come per esempio l’erba, funge da isolante che modera lo spettro delle fluttuazioni termiche raggiunte nel suolo sottostante. La terra nuda, ovviamente, non dispone di questo strato isolante, perciò i semi sotto di essa subiscono fluttuazioni molto marcate. Si è scoperto che numerosi semi sfruttano le fluttuazioni della temperatura come un segnale di via libera che li avverte che la superficie del suolo è sgombra. Quelli che hanno sperimentato temperature fluttuanti germineranno in primavera, mentre un seme esposto alla stessa temperatura media ma senza fluttuazioni non germinerà.138
Esiste un gruppo di specie i cui semi, invece, traggono beneficio dalla presenza di altre piante: le parassite. Le erbe infestanti appartenenti alla sottospecie Striga sono piante da fiore che vivono parassitando altre specie. I semi della Striga vengono stimolati a germinare da sostanze chimiche secrete dalle vicine radici delle piante ospiti. I semi delle parassite sono minuscoli e numerosissimi, e possono restare vitali nel terreno anche per vent’anni; l’insieme di questi fattori rende estremamente difficile tenerle a bada. L’impatto infestante delle specie Striga è molto intenso sulle colture africane di piante erbacee (granoturco, sorgo, miglio, riso e canna da zucchero) e legumi (fagioli occhio nero, arachidi e soia).
Tuttavia, si è scoperto che due legumi — il Desmodium uncinatum a foglia argentea e il Desmodium intortum a foglia verde — possono essere usati efficacemente per contrastare almeno una delle più pericolose specie di Striga sfruttando il meccanismo di germinazione della parassita per metterle ko a colpi di pollone. Le radici delle specie Desmodium secernono due sostanze: una che stimola la germinazione della Striga e l’altra che impedisce alle piantine germinate di formare le radici specifiche, dette «austorie», attraverso le quali la pianta parassita prosciuga il suo ospite.139 Queste molecole sono un esempio di armi sofisticate in uso nella battaglia chimica tra le piante e i loro nemici. Ma veleni ancora più potenti riempiono il pozzo dei «riti del dolore» di Keats.
Letture
Se volete approfondire l’argomento, consultate la monumentale opera di Carol Baskin e Jerry Baskin, Seeds. Ecology, Biogeography, and Evolution of Dormancy and Germination, Academic Press, San Diego 1998.
Tratto da: Jonathan Silvertown, La vita segreta dei semi, Bollati Boringheri
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