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In the same boat, un film di Rudy Gnutti
Conversazione con Rudy Gnutti di Sara Beltrame
A Barcellona sta succedendo qualcosa di sorprendente, da due mesi a questa parte.
Ogni giovedì, verso le 21.30, la gente inizia a mettersi in fila davanti al cinema Texas e lo fa non per vedere La La Land, bensì per assistere ad una proiezione più dibattito di un… documentario.
Titolo: In the Same Boat.
Regia: Rudy Gnutti.
Nazionalità: Italiana.
“No, no… In Italia sto cercando di distribuirlo almeno in qualche sala, ma è complicato. Speriamo che le cose si smuovano.”
Sorride. Sorrido. Speriamo.
Incontro Rudy all’Ateneu Barcelones, uno dei templi della cultura a Barcellona, perché anche qui il suo lavoro è stato messo in programma.
Niente coda per entrare ma la sala è comunque piena.
Catalano di adozione, ma romanissimo di nascita, Rudy dice di fare il musicista ma di non saper bene cosa questo significhi. “Perché… vediamo: si considera musicista uno che suona? Uno che compone? Uno che interpreta? Non ne ho idea. Qui comunque, per questo progetto intendo, ho fatto il regista e composto le musiche.”
Si improvvisa regista per una necessità personale. Da tempo ha un’idea che gli frulla per la testa: vuole capire come mai continuiamo a lavorare tutti così tanto, anche se l’innovazione tecnologica ci permetterebbe di organizzarci diversamente, rendendo le nostre vite decisamente più leggere per dedicarci infine a quello che veramente ci piacerebbe fare, senza lo stress dell’affitto da pagare a fine mese, per esempio.
“Tra 100 anni l’economia smetterà di essere un problema per l’umanità”, diceva John Maynard Keynes a Madrid in una calda e lontana estate del 1930. Allora Keynes aveva 47 anni e credeva fermamente che nel XXI secolo, gli essere umani del futuro sarebbero stati aiutati dalla tecnologia nei loro compiti quotidiani e la giornata lavorativa sarebbe stata al massimo di 15 ore settimanali.
Ma le cose non sono andate esattamente così.
Come mai?
Per rispondere a questa domanda Rudy Gnutti inizia a documentarsi e quando finalmente ha le idee chiare stila una lista di persone che vorrebbe incontrare (quasi tutti uomini a parte una sola donna; N.d.R.), cerca di entrare in contatto con loro a partire dal più interessante: il sociologo polacco Zygmunt Bauman.
“Gli ho scritto per chiedergli se potevo fargli qualche domanda sull’argomento e mi ha risposto entusiasta dopo una decina di giorni appena, invitandomi a casa sua.”
Rudy è probabilmente l’ultima persona ad aver intervistato Bauman prima che ci lasciasse ed è proprio grazie al suo sì che il progetto di In the Same Boat inizia a prendere il largo.
“Ovviamente mi mancava un produttore e devo dire che mi sentivo piuttosto scomodo a chiedere a qualcuno, visto che come regista non avevo nessuna esperienza. Non avevo però pensato a Pere Portabella. Quando gli ho presentato la sinossi mi ha dato subito dato carta bianca, convinto che per il fatto che fossi musicista e compositore, sarei riuscito a dare a questo racconto un ritmo diverso, insolito.” Il documentario, supportato dal governo spagnolo e dal progetto Media, viene girato e montato in appena tre anni.
Il tema è così attuale ed urgente che Rudy riesce a catturare l’attenzione di quasi tutti i personaggi che aveva in mente di intervistare: gli economisti Mauro Gallegati, Mariana Mazzuccato, Serge Latouche e Sir Tony Atkinson, Erik Brynjolffson (uno dei massimi rappresentanti del MIT) fino ad arrivare all’ex presidente dell’Uruguay Jose Mujica.
“L’unica grande assente è la Cina. Sono arrivato fino a lì convinto di poter intervistare uno degli economisti più in voga del Paese. Sembrava tutto deciso ma dopo tre domande ci hanno liquidato senza darci nessuna motivazione. Il governo ci ha poi controllato per una settimana e nonostante questo un paio di domande a degli spagnoli che abitano lì sono riuscito a farle per capire come stavano andando le cose. La Cina è uno dei paesi più avanzati a livello tecnologico e sicuramente ci sarebbero state molte risposte interessanti ad alcune delle domande fondamentali della mia ricerca.”
In the Same Boat racconta di come l’umanità – che viaggia su una stessa barca, per l’appunto – stia attraversando una fase critica e le risposte che darà ad alcune domande fondamentali la porteranno ad un cambiamento radicale. Le nuove tecnologie potrebbero essere la chiave per vivere in un mondo migliore e più giusto ma se non ridirigiamo il timone di questo vascello, il futuro potrebbe essere minaccioso.
“E poi c’è un’altra questione fondamentale, come sostiene Bauman, da tenere a conto: se anche a livello mondiale riuscissimo a riorganizzarci e a far sì che le nostre vite non ruotino tutte attorno alla produzione, se riuscissimo insomma a rallentare il motore della nostra barca, poi… che cosa faremo? Saremo in grado di stare senza fare niente?”
Le risposte e i punti di vista qui si dividono. Da un lato c’è chi pensa che stabilire un salario universale minimo garantito e avere più tempo libero, rallenterebbe l’economia, salverebbe il pianeta dall’autodistruzione e ci consentirebbe di esprimerci al meglio come essere umani e dall’altra chi invece crede – come Mujica – che senza prima un cambiamento culturale, educativo e personale trovare una nuova rotta sarà veramente complicato. •
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