Dolore e corruzione

Per molto tempo ho cercato di spiegarmi perché Bagatelles pour un massacre fosse l’unico libro veramente infernale prodotto dalla letteratura francese dopo Choderlos de Laclos. Ogni metodo usato per situare o circoscrivere questo disumano atto d’accusa e di autoaccusa rischia di apparire funesto o ridicolo: ridicole le motivazioni patologiche (« un momento di follia ») e quelle estetiche («L’antisemitismo è solo una metafora dell’odio per il mondo»); funeste quelle psicologistiche (« Céline vuole fare scandalo perché in una fase di impotenza creativa ») e quelle enigmatiche (« Bagatelles è un pamphiet antisemita ma noi non sappiamo cosa siano gli ebrei per Céline »).

Per quanto queste sciocchezze contengano sempre un riverbero di verità, la realtà è che la materia di questo libro, più che ributtante è intrattabile, impermeabile a qualsiasi giudizio che non pretenda diusarla. Come molti, ho creduto che questo libro derivasse un suo fascino dal fatto di essere una delle poche cose ancora proibite che la letteratura potesse offrire. Il proibito si dà a noi con una seduzione di qualità sofferente, come una derivazione laica, volgare dell’enigma, quell’enigma che — in modo paradossale — riesce pur sempre a proporsi come estetica.

L’estetica di Bagatelles ha una connotazione assai precisa, quella della crudeltà. Tuttavia, non è la crudeltà a rendere infernale questo libro. Swift, ad esempio, è uno scrittore crudele e Una modesta proposta si tiene, per alcuni aspetti, assai vicino a Bagatelles ma non è infernale. In cosa consiste codesta qualità rara, sofferente, intrattabile che si definisce infernale? Proprio il senso di questo aggettivo così poco moderno e tuttavia legato ai grandi momenti della letteratura diviene sfuggente non appena lo si guardi da vicino. Può una qualità così particolare spiegarsi con il semplice attributo di « antisemita »? Se, invece disemita, avessimo trovato l’odio di Céline e la sua affabulazione retorica applicati a una piccola tribù mongola, l’effetto non sarebbe cambiato? Non sarebbe apparsa come una modesta bizzarria?

Esistono dunque differenti qualità d’odio ovvero: siamo disposti a riconoscere che certe cose siano meno odiabili di altre. Se davvero esistono differenti qualità d’odio allora non è importante comprendere come si manifesti questa tollerabilità bensì una definizione dell’Odio.

Come ciò che appartiene al mondo morale anche l’odio è un concetto trasformabile anzi trasferibile: esiste un odio positivo e un odio negativo. La negatività o positività dipendono sempre ed esclusivamente dal soggetto che lo prova e dalla cultura morale che questo sentimento deve esprimere. Tuttavia, non sempre chi odia ha la certezza di essere nel giusto. Chi odia sapendo che il suo odio è orrendo imbocca fatalmente la via della perversione. Chi odia sapendo che qualsiasi odio è orrendo procede vistosamente per questa strada fino a vivere questo sentimento come una vera e propria dannazione. Infine, cos’è una dannazione se non lo spirito che anima una rivolta (non una rivoluzione, beninteso)?

Odio, coscienza, perversione, dannazione, rivolta: manca ancora un elemento perché l’ambientazione di Bagatelles sia completa: il Potere. Ogni rivolta non può che essere rivolta contro il potere ma in cosa differisce una rivolta da una rivoluzione? La rivolta non pretende di mutare l’arredamento, il panorama o lo stato di cose. La rivolta è legalista, ama il potere così com’è, lo desidera come un diritto, come risposta a un sopruso: non vuole cambiare il mondo ma più semplicemente appartenervi. Nella scienza, nell’arte non c’è posto per alcuna rivolta ma solo per rivoluzioni.

La rivolta è, in definitiva, una regressione, il sintomo di un disagio che può risolversi solo nel presente immediato ma anche l’espressione di un trauma. La rivolta di Bagatelles si manifesta come rivendicazione di un diritto anzi di un possesso. Questo diritto giustifica l’odio ma l’autore sa bene che l’odio non può mai essere un diritto. Céline conosce bene la categoria morale dell’odio, il suo non può essere quindi che un libro perverso.

Di che qualità è l’odio di Bagatelles? È un libro animato dall’odio ma è anche un libro sull’odio: non su un odio qualsiasi bensì diretto contro una particolare tipologia sociale: l’ebreo. Questo ebreo rappresenta, nel tempo e nella società di Céline, il prototipo del Potere. L’odio di Céline è odio del potere ma di un potere particolare, un potere che si identifica con il desiderio del potere. Céline ama il potere che l’ebreo detiene per lui o contro di lui.

Questo libro sull’odio, Bagatelles, definisce un sopruso e valendosi dell’odio, si realizza come una rivolta. Perché Bagatelles non sembri un « incidente » nella carriera di Céline, è necessario dire che sia l’odio che il sopruso sono già presenti nei suoi due primi romanzi Voyage au bout de la nuit e Mort à crédit, vissuti dallo squallore piccolo borghese. Si potrebbe aggiungere che questo squallore è agito dai genitori dello scrittore ma sarebbe irrilevante: l’orrore privato, quando lo si rappresenti direttamente, non scavalca mai la barriera « artistica » soprattutto quando si tratta di un capolavoro. L’arte, come di consueto, crea una morale privata e finisce per conservare il trauma, l’odio o il sopruso come pura astrazione.

L’odio di Céline, lo stato di insufficienza verso la sua immagine « narrante » ha bisogno di nutrirsi di elementi reali, di bersagli oggettivi, « artistici », non privati. Al contrario, bersagli viventi, comuni, riconoscibili da tutti e proprio per questo in grado di scatenare lo scandalo. Scandalo che, come è noto, deve rifornire le più conformiste emozioni, le più regressive intenzioni, rinvigorite i più sepolti fantasmí. Lo scandalo è il rovescio « artistico » della rivolta.

Lo scandalo trasforma l’antropofagia di Céline in una autofagia, in questo egli si differenzia profondamente da Sade o Swift. Un esempio: se Swift in Una modesta proposta non avesse solo consigliato di mangiare i bambini per risolvere alcuni grossi problemi dell’umanità ma avesse anche indicato quali bambini mangiare, giustificando la scelta con motivazioni morali, l’effetto sarebbe stato meno comico. In cosa consiste la differenza? Perché la connotazione del tempo e della qualità di un gesto crudele è più crudele di una determinazione astratta?

Non credo si tratti del fatto che qualcuno possa venir minacciato « davvero », bensì perché quella minaccia nasconde una motivazione privata divenuta improvvisamente una forma di fascinazione popolare. La motivazione privata che deriva da un trauma è, per definizione, perversa perché esprime uno stato non più latente di malattia che è, per l’appunto, lo stato perverso dell’uomo.

Lo stato perverso, tuttavia, non porta direttamente un libro al suo approdo infernale, alla sua intrattabilítà. Per essere intrattabile, cioè infernale, un libro deve situarsi in una zona ambigua: prima di tutto non definirsi né come opera d’arte né come progetto politico. In secondo luogo, deve adottare uno stile particolare. Questa è la grande invenzione di Céline: uno stile perverso (che durerà per sempre) applicato a una materia perversa. Lo stile perverso è questo: offrire in « trompe-l’œil » la realtà apparentemente privata di valori estetici. Ma questa realtà è solo effetto di uno stile.

Lo stile di Céline è Céline stesso, non la prima persona né l’autore che si confonde al narratore ma l’autore che distrugge il narratore perché il lettore si rassicuri: qui non ci sono finzioni, al contrario, qui si scoprono le finzioni. In questo modo la parola si sostituisce alla realtà permettendo la più pura espansione « privata » del trauma. C’è un punto in cui anche la perversione viene superata, un punto estremo di sofferenza in cui essa si trasforma in corruzione. È da qui che dovrebbe iniziare la lettura di Bagatelles. Ogni qualvolta si nomini la corruzione o la perversione si evoca istantaneamente il dolore, vale a dire lo stato di insufficienza verso il mondo. Ciò che questi stati « naturali » dell’emozione umana esprimono è una necessità di possesso e quindi un sentimento di esclusione che produce dolore. Se davvero esistono due differenti qualità d’odio, dovremmo ora osservare anche due opposte qualità di dolore. È imbarazzante affermare che il dolore dei buoni si fonda sulla rinuncia: nessun buono potrebbe mai accettarlo. Ma non esiste nessun’altra possibilità. Chi vuol lottare contro lo stato di insufficienza deve lottare per il possesso cioè per il potere. Nessuno è in grado di definire due tipi di potere perché esso, per definizione, si pone fuori dalla legge morale trattandosi di una forma perversa di igiene. Perché perversa?

Perché il potere non può che produrre dolore e per giustificare il dolore è necessario trasformare lo stato di insufficienza, il trauma, in una categoria morale. Ora, colui che vive nell’odio del potere senza poter eludere il suo stato di insufficienza, cioè l’esclusione, ha forse una via diversa dalla perversione del potere?

Bagatelles non è solo un libro sul potere ma anche sull’odio del potere. Questa simultaneità che mescola un trauma a una profonda esigenza morale per mezzo della simulazione verbale prodotta dallo stile, non solo definisce gli angusti limiti della morale ma anche la scarsa dialettica legata al desiderio di appropriazione della realtà che si esprime in un’opera d’arte dissimulata.

Si deve porre, qui, un problema assai delicato, forse irresolubile: il rapporto di uno scrittore con il suo io narrante. In cosa consiste lo stato di insufficienza di Céline? Non certo in una carenza d’amore. Il suo odio non ha nulla di particolare: non l’odio di sé ma l’odio dell’immagine che l’Io ha di sé: un odio di classe, «culturale». Sbarazzarsi di quest’immagine significa non solo sbarazzarsi della classe sociale che rappresenta ma anche della classe che l’ha prodotto. Distruggere il potere e insieme l’effetto del potere può essere pensabile solo acquisendo l’onnipotenza, cioè un potere che non si connoti come tale: un potere creativo, artistico, che distrugga il mondo rappresentandolo.

Nel Voyage e in Mort à crédit l’inferno piccolo borghese, con i suoi riti e le sue disperazioni, è il bersaglio che Céline si è proposto. Ma è proprio il successo clamoroso di questi due libri che conduce Céline alla definizione del suo stato di insufficienza: il successo gli garantisce il ruolo di scrittore ma esaurisce anche l’epoca delle confessioni: l’inferno ha ricevuto i suoi contorni precisi e si è ammutolito. Céline non è scrittore d’invenzione e neppure un osservatore visionario come Balzac o Stendhal. Il successo ha esaurito il suo mondo narrativo ma non il trauma che lo ha portato a scrivere e che, ora, è privo di nutrimento.

Come in Proust o in Dostoevskij, anche in Céline è attiva soprattutto la sindrome del contagio: egli vuole che il suo disagio si estenda al mondo. Se in Bagatelles possiamo osservare la trasformazione di uno scrittore o di una scrittura dalla perversione alla corruzione, ci si deve chiedere in che modo avvenga questo passaggio. Sade, ad esempio, è perverso ma non corrotto: crede in ciò che scrive perché sa che ciò che scrive appartiene ad una perversione. La perversione è la risposta « naturale » al silenzio di Dio, allo stato di insufficienza verso Dio. Il suo mondo non può uscire dall’orbita morale ed è paradossalmente assai vicino al giansenismo di Pascal, solo di segno inverso.

Per Céline questo stadio dev’essere superato. Egli non vive il potere come categoria metafisica o simbolica. Il potere è assolutamente reale, socialmente definibile, fonte di corruzione e di perversione. Se, come abbiamo detto, i personaggi di Sade sono perversi perché usano moralmente il potere, in Céline la corruzione si manifesta nella coscienza di ambire eticamente a quel potere, nel reclamare un diritto. Diritto che è il primo sintomo della corruzione in quanto la rivolta di Céline è contro il potere, primo stadio del suo disagio. Questo disagio, del tutto privato e non certo mosso dalla lotta di classe, produce la sindrome del contagio.

Dopo il Voyage e Mort à crédit Céline ha bisogno di uscire, letteralmente, di sé, deve riconoscere nel mondo la sua sindrome, ritrovare le uova che lui stesso ha deposto nel nido di qualcun altro. I suoi viaggi continui sono una disperata ricerca di prove, il viaggio di un inquisitore… A questo punto nasce l’odio. Un odio in qualche modo sdoppiato, perché se è vero che chi detiene il potere deve essere odiato, è altrettanto vero che anche chi vive la realtà del potere come esclusione merita lo stesso odio. Se Céline non fosse stato un genio ma solo un buon scrittore, queste prove le avrebbe sicuramente trovate. In lui, al contrario, l’odio produce un fenomeno del tutto inaspettato: la ricerca del dolore nella corruzione. Un inquisitore è sempre impudico ma in Céline, per cui ogni emozione deve possedere anche il suo segno contrario, la ricerca di prove del dolore si fa singolarmente pudica. Anche questa pudicizia, tuttavia, deve teatralizzarsi attraverso l’ambigua retorica dell’ironia.

Nei due grandi capolavori che chiudono la sua vita, Nord e Rigodon, il ghigno dolorante che animava la rivolta dell’odiatore di se stesso si tramuta nell’ironia impassibile dello stile-jazz. Come la realtà può teatralizzare un trauma e, in qualche modo, incarnarlo? Quello che il Terrore è stato per Sade, per Céline è dato dalla grande deflagrazione mondiale. Non già la guerra eroica della cavalleria dei Dragoni ma l’esplosione della corruzione planetaria, del contagio universale che lottava flaubertianamente per il diritto alla stupidità. Il massacro, la dissoluzione e la rinascita infinita del potere mostra a Céline la verità ultima, banale, che si può trarre dallo stato di insufficienza: tanto più la corruzione dilaga, tanto più il potere accresce il dolore. Non è il possesso ad animare il potere bensì il dolore. In questo modo il cerchio si chiude senza più vie d’uscita…

In Bagatelles c’è un elemento non fortuito che permette di affrontare l’ultimo stadio dell’arte di Céline e conferisce a questo libro un ruolo fondamentale, antícipatore: la danza. Che tutto questo libro sull’odio sia costruito con lo stile e la trama di un balletto, è già di per sé significativo, La danza è l’innocenza del corpo, l’affrancamento non solo dalla schiavitù necessaria della legge sui gravi ma soprattutto da quella del Tempo. Il corpo della danzatrice sospeso nell’attimo in cui si eleva dal suolo, fissato senza sforzo apparente nel perseguimento di una libertà fantastica è forse la metafora dell’uomo e della purezza. Per capire cosa significhi per Céline l’innocenza e l’insistere su questo tema legato unicamente ai bambini e agli animali, è necessario tornare per un istante alla distinzione tra corrotto e corruttore, Il corrotto usa la categoria morale per distruggerla. Egli mostra, con l’uso del potere, come il mondo proceda attraverso realtà istintuali o fenomeniche atte a dominare la paura e l’insicurezza.

Il corrotto sconvolge le coscienze per mezzo del peccato al solo fine di mostrare come esso altro non sia che il prodotto del bene e come ambedue, il bene e il male, siano frutto di un punto di vista, di un artificio regolato dal potere. In questo senso il rifiuto dell’innocenza è, per il corrotto, la manifestazione del suo stato di insufficienza. In altri termini, il suo sintomo è anche la sua sindrome. Per il corruttore, invece, l’idea di innocenza è centrale, irrinunciabile, solidale con il suo mondo morale. Ma quale può essere questo mondo morale se è proprio l’innocenza a produrre il disagio più profondo del corruttore?

Per Céline l’innocenza è l’unica cosa che non può essere abbruttita dalle classi sociali. Essa non è una rivolta bensì uno stato di impassibilità verso le categorie del potere, quella stessa impassibilità che, inNord e Rigodon, sono il prodotto dell’iroma. L’innocenza di Céline è l’ironia. Questo è il fenomeno inaspettato partorito dalla ricerca del dolore nella corruzione. Il disagio più profondo di un corruttore è di non saper vivere l’innocenza senza dolore. Anche se il tempo può talvolta cancellarne i sintomi, lo stato di insufficienza verso il reale non si risolve nella coscienza, essendo proprio lo stato di insufficienza che produce sia la corruzione che la scrittura. Alla propria opera e solo a quella lo scrittore concede la speranza di una purezza, il privilegio di una immeritata, impassibile innocenza.

In Céline il desiderio di distruzione della propria scrittura non è centrale come in Sade, Gogol’ o Kafka, autori per cui la scissione tra vita e opera era irrimediabile. Essi non possiedono più una vita privata, il dialogo che per anni hanno intrattenuto con l’Ombra si è mutato in assoluto silenzio. L’uscire di sé, l’ek-statis, è per Céline — come per Proust — affidato unicamente alla parola, la parola che rende immortali finché si è in grado di pronunciarla. Egli si unisce a quella razza sovrana e infelice che si costringe a inseguire la propria scrittura, non a precederla. Autori che muoiono scrivendo come attori che muoiono recitando. È curioso come al termine di questa insufficiente nota su Bagatelles io veda accostarsi a Céline la figura prepotente di Karl Kraus, dell’ebreo Kraus.

Per questi scrittorí-attori, la corruzione non è solo un’irresistibile seduzione ma la testimonianza di una irrinunciabile fedeltà alla vita. So che queste parole possono sembrare ovvie o perfino inutili ma sono probabilmente l’unica risposta possibile al quesito posto all’inizio di questa nota: come si può definire l’odio? Ebbene, io non credo che l’odio sia la tragedia dell’istinto ma la forma più perversa del dolore umano, dolore che si manifesta in un solo modo nel mondo e negli spazi infiniti: come privazione d’amore. L’odio è la forma più profonda e incomunicabile dell’amore.

Tratto da: Louis-Ferdinand Céline, Bagatelle per un massacro, Dolore e corruzione, Introduzione di Ugo Leonzio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *