Come spesso mi è capitato, anche il vivo interesse per il tema del giardino è iniziato da un sogno. Stavo tornando dalla Bretagna, da quella terra misteriosa in cui gli spiriti della natura catturano le creature umane affinché le loro anime possano fondersi magicamente con quella della natura; un luogo cioè in cui le antiche querce, talvolta cave, la felce che cresce ad altezza umana, le enigmatiche pietre erette e coricate (i dolmen e i menhir), le fonti e le polle gorgoglianti, l’edera che ricopre le mura degli antichi manieri e dei mulini ormai cadenti sussurrano: «Senti la voce di Merlino? – Una volta che l’avrai ascoltata, mai più la scorderai». E ancora: «Senti il velo di Viviana avvolgerti, come un ricciolo di bruma lucente? O sono forse ragnatele umide di rugiada? Neppure da questi fili impalpabili riuscirai più a districarti».1
Devo dunque essermi addormentata proprio durante il viaggio di ritorno da quel mondo, che non è certo quello arido e abbagliante delle nostre università e dei nostri uffici. Ho sognato un verde bosco luminoso che attraversavo percorrendo uno stretto sentiero in lieve salita; sul terreno umido si scorgevano nitidamente le impronte di un carro. Dove conducevano? Non lontano, perché d’un tratto mi trovavo di fronte a un’enorme porta in legno massiccio che, senza mura né stipiti, si ergeva semplicemente nel bosco e sbarrava la strada. Stranamente non si trattava del solito uscio con gli angoli squadrati e neppure di un portone ad arco romanico o gotico, ma senza dubbio di una porta orientale. Sebbene sembrasse ben serrata, ho cercato lo stesso di spingerla ed essa si è aperta, ma soltanto di poco, tanto che non sono riuscita a vedere cosa ci fosse oltre. Dopodiché mi sono svegliata e, ovviamente, mi sono sentita confusa e un po’ triste, perché chi non vorrebbe sapere quale nuovo mondo si trova al di là di una porta così inusuale? Soprattutto se la porta s’è lasciata dischiudere.
Il mio compagno di viaggio aveva commentato laconico: «Ah, è chiarissimo, quella è la porta dell’Aldilà, di un altro mondo». «Aldilà? Altro mondo?». Sembra così semplice, eppure non lo è, perché l’aldilà viene anche chiamato il mondo dell’altra esistenza e in quell’altro mondo il tempo, lo spazio e la coscienza sono regolati da leggi diverse. Ho letto e sentito molte cose in proposito, forse vi ho anche gettato uno sguardo; non ero infatti ritornata proprio da una sorta di aldilà che ricopre come una nebbia i luoghi della Bretagna? Avevo realmente sognato la porta dell’aldilà?
Le porte e i portoni segnano il passaggio da uno spazio a un altro, per esempio dalla strada al giardino, o dal giardino alla casa, se vogliamo limitarci a nominare i più comuni; proteggono il passaggio dalla sfera pubblica a quella privata, dalla natura selvaggia a uno spazio coltivato, protetto, o dallo spazio interno allo spazio esterno, irto di pericoli. Sul passaggio dai luoghi profani a quelli religiosi, come chiese, templi o luoghi sacri, si ergono portali particolarmente decorati e imponenti. Poi ci sono anche le porte immateriali, che troviamo nei miti, nei sogni e nelle fantasie, che si possono scorgere solo con gli occhi dell’anima e che dunque fanno parte, per così dire, del patrimonio d’immagini individuali e psichiche di ciascuno di noi. Esse possono benissimo condurre all’«altro mondo», perché si situano sulla soglia che separa il mondo psichico individuale dal grande spazio dell’anima del mondo.
Dato che consentono il passaggio spesso difficile, ma significativo, da un mondo a un altro, da una modalità esistenziale a un’altra, porte e portoni sono circondati da molti rituali, che li proteggono e che dettano le giuste regole di comportamento in simili luoghi. È significativo che esistano località dove la soglia tra la strada e il giardino è segnata solo da un cancello, senza alcun recinto che stia a delimitare i confini; la porta da sola è già sufficiente a delimitare il passaggio a un’altra sfera.
Anche la porta del mio sogno si ergeva isolata nel bosco sconfinato, ma dietro di essa doveva trovarsi qualcosa di diverso. La mia porta era un portone di particolare bellezza, lavorato dalla mano dell’uomo, per cui penso che si aprisse su un giardino, frutto anch’esso del lavoro umano. Dato che si trovava lì, forse si trattava del giardino di una maga, di una donna dei boschi. Doveva comunque essere il giardino di una principessa del bosco, perché gli orticelli delle semplici maghe sono probabilmente dotati di porticine minuscole, consunte e sghembe. Oppure, trattandosi di una porta orientale, nascondeva magari un giardino incantato con una fontana nel mezzo. Come sono astuti i sogni! Proprio perché ero riuscita ad aprire di una spanna la porta, la curiosità non mi dava tregua.
Molti anni sono trascorsi da quel sogno, e molti mondi ho esplorato da allora. Oggi so che dietro alla porta del sogno non c’è (ancora) l’altro mondo, bensì il mondo intermedio dei più variegati giardini interiori ed esterni. Sono i giardinetti tra casa e strada, i giardini nascosti da alte mura, quelli variopinti che si stendono tra le case dei contadini e i campi, i sontuosi e imponenti giardini che dividono i castelli dai boschi, gli infiniti giardini tra cielo e terra, tra natura e cultura, tra case ben piantate e solide e natura mutevole e selvaggia. Sono i giardini dell’anima tra vita diurna e sogno, i giardini di relazioni o, meglio ancora, i giardini d’amore, che uniscono gli esseri umani, e i giardini silenti in cui gli uomini incontrano il divino e quindi anche se stessi.
Di questi giardini mi sono occupata, ne ho seguito le tracce in paesi lontani, persino in Oriente. Forse la porta del sogno presentava un arco orientale proprio perché in quella cultura, o nei paesi che ne risentono l’influsso, i giardini sono luoghi in cui la natura esterna e la natura dell’anima sono collegate tra loro nel modo più magico. Io però sono sempre ritornata in Svizzera nel mio giardino che, come mi disse una volta mia figlia, amo più di qualsiasi altra cosa mi appartenga. È vero, il mio giardino mi è così caro perché appartiene solo in parte al mio «avere» e assai di più al mio «essere». Lì si uniscono per me il mondo esterno e quello interiore, per dar vita a quella dimensione intermedia, misteriosa e vitale in cui il tangibile si fonde con l’immateriale.
- Ruth Ammann (1934) architetta e psicoanalista, è nata a Zurigo, dove ha esercitato la professione di analista junghiana. Membro dell’Associazione Internazionale di Psicologia Analitica, ha insegnato presso lo Jung Institut di Küsnacht. Ha studiato con Dora Kalff, pioniera della sandplay therapy, e su questo argomento ha pubblicato Sandplay. Immagini che curano e trasformano (2000).
Tratto da: Ruth Ammann, Il giardino come spazio interiore, Bollati Boringhieri
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