MINIMARIO

Un anno fa, 2 febbraio 2021, Mattarella chiamò Draghi per sostituire Conte, dimissionario dopo aver avuto la fiducia di Camera e Senato, con un coso mai visto prima: “Un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica” con “tutte le forze politiche presenti in Parlamento”. Sfortunatamente abboccarono tutti i partiti tranne fortunatamente uno (sennò avremmo avuto un coso già visto prima, ma nelle dittature). Il progetto era chiaro: cancellare il popolarissimo premier che aveva gestito la pandemia e portato a casa 209 miliardi di Pnrr; raddrizzare le gambe agli elettori che avevano sbagliato a votare nel 2018 per un cambiamento radicale (ribattezzato dai gattopardi “populismo” e “sovranismo”); neutralizzare i partiti vincitori annegandoli in una maggioranza così ampia da renderli ininfluenti e infiltrando in ciascuno di essi un PdD (partito di Draghi) per scardinarne le leadership e riportarli a più miti consigli. Perciò i ministri politici furono scelti, con rare eccezioni, fra i più allineati al sistema: Di Maio per il M5S, gli antisalviniani Giorgetti, Garavaglia e Stefani per la Lega, i lettiani (nel senso di Gianni) Brunetta, Gelmini e Carfagna per FI, più i pidini già allineati per Dna. L’avvento di Letta (nel senso di Enrico) al vertice del Pd agevolò la restaurazione. Il cerchio si sarebbe chiuso se Grillo, dopo aver trascinato i 5S nel governo dei “grillini” Draghi e Cingolani, avesse buttato fuori Conte dopo avergli dato le chiavi: ma la congiura fallì per la rivolta dei militanti.

In ogni caso, chi aveva architettato questo bel progettino era certo che SuperMario avrebbe fatto tali miracoli da lasciare senza fiato gli italiani, regnando sull’Italia, l’Europa e l’orbe terracqueo per almeno 10 anni. Invece non ne azzeccò quasi nessuna, mentre la maionese della maggioranza impazziva. Allora tentò la fuga al Quirinale. Ma, malgrado le sue frenetiche manovre, non se lo filò nessuno (5 voti). Costringendo Mattarella a tagliarsi la faccia e a smentire mesi di “rielezione mai”, pur di salvare il salvabile del Piano Gattopardo. Risultato. Tutte le massime istituzioni sfregiate o screditate: il “nuovo” capo dello Stato che rinnega la parola data come un Napolitano qualsiasi; SuperMario sconfitto, umiliato e ridotto a MiniMario; la presidente del Senato ridicolizzata in diretta tv; la direttrice del Dis impallinata da Letta jr., Di Maio, FI e frattaglie varie (e screditata dalla foto con Giggino); la maggioranza in frantumi, con le coalizioni e i partiti in pezzi; l’“antipolitica” ai massimi storici, col nuovo boom dell’astensionismo; e un solo partito che ci lucra: l’unico che sta all’opposizione, il più “populista” e “sovranista” fra quelli che i gattopardi volevano radere al suolo. Bei pirla.

 

Di Marco Travaglio, Il fatto Quotidiano

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