Ogni quercia madre forma diecimila ghiande, che la tempesta d’autunno tutt’intorno disperde. disperde. Erasmus Darwin, The Temple of Nature, 1803
Nelle annate buone, la profusione di ghiande non fa che confermare quanto la natura sappia essere generosa, soprattutto se sei uno scoiattolo o un topo. Il valore di questo dono era riconosciuto fin dai tempi più remoti: in inglese antico era chiamato maest («cibo della foresta»), da cui deriva l’attuale parola inglese mast, con significato analogo. In italiano, per descrivere un’annata particolarmente generosa di frutti, si usa un termine poco noto: «pasciona». Il buffet è gratis, d’accordo, ma non è un banchetto che viene allestito tutti gli anni: la maggior parte degli alberi da noce — querce, faggi, o pini — alternano anni di pasciona a più frequenti anni di «magra». Nell’autunno di un’annata di pasciona, i roditori ingrassano con una dieta ricca di carboidrati e immagazzinano l’eccedenza di ghiande in depositi cui attingeranno in un secondo momento.
Gli scoiattoli grigi sanno distinguere le ghiande aggredite dal balanino, che mangeranno subito, da quelle sane, che metteranno da parte.83 Tuttavia, il loro deposito potrebbe essere prematuramente svuotato, oltre che dai coleotteri, anche dalla germinazione. Certi scoiattoli, proprio per evitare che le ghiande accumulate possano germinare, ne rosicchiano la punta prima di sotterrarle: in questo modo distruggono l’embrione racchiuso nel seme lasciando però intatta la riserva di cibo. Alcuni esemplari di quercia hanno perciò messo a punto una contromisura evolutiva per far fronte a questo pericolo: producono ghiande con un embrione posizionato in modo tale da non poter essere danneggiato dai roditori.84 Scoiattoli che intaccano le ghiande per distruggere l’embrione e querce che lo spostano in un altro punto per evitare che questo accada: ecco una delle tante battaglie nell’eterna guerra evolutiva tra predatore e preda.
Topi e scoiattoli non sono i soli al banchetto della pasciona: tra gli imbucati si contano anche cervi, uccelli e, in passato, anche gli esseri umani, che si cibavano dei frutti della quercia.85 Negli scavi archeologici effettuati nell’insediamento neolitico di Çatal Hüyük, in Turchia, sono stati ritrovati resti di ghiande. Questo significa che ottomila anni fa, più o meno agli albori dell’agricoltura nella Mezzaluna fertile, le ghiande erano una componente importante nell’alimentazione. Forse potrebbero aver addirittura rappresentato l’alimento primario degli insediamenti stabili prima che nella Mezzaluna fertile si assistesse alla domesticazione del frumento e dell’orzo. Raccogliere e immagazzinare ghiande sarebbe stato molto meno faticoso che seminare e raccogliere cereali.
Per millenni, fino al tardo XIX secolo, le ghiande rappresentarono un alimento primario anche per i nativi americani. 86 I miwok, che abitavano l’area boschiva nei pressi dell’attuale città di Jackson, in California, macinavano le ghiande per ricavarne farina. Nell’Indian Grinding Rock State Historic Park è possibile ancora oggi vedere i mortai naturali dei loro insediamenti: un affioramento di roccia calcarea coperto di petroglifi e butterato da almeno un migliaio di piccole tacche. In linea di massima, prima di mangiare le ghiande bisognerebbe privarle del contenuto di tannini, che le rendono amare e molto indigeste. Alcune tribù californiane le sotterravano in riva ai torrenti: lo scorrimento dell’acqua lavava via i tannini e l’assenza di ossigeno ne impediva la germinazione o il deterioramento. La farina di ghiande viene ancora utilizzata nella cucina coreana, e anche negli Stati Uniti e in Europa la si può trovare nei negozi che trattano prodotti asiatici.
L’enorme quantità di cibo immessa negli ecosistemi forestali da un’annata di pasciona influenza l’intera rete alimentare e, per gli animali dal ciclo vitale breve come topi e insetti, i suoi effetti si ripercuotono su più generazioni. L’abbondanza di ghiande di una pasciona porta, l’anno successivo, a una proliferazione di topi: molti più individui possono superare indenni i pericoli della stagione invernale e, in primavera, i numerosissimi sopravvissuti si riprodurranno a più non posso. Questa generazione del baby boom, però, si ritrova in un mondo dove, rispetto a quello dei genitori, ci sono molte più bocche da sfamare e molto meno cibo a disposizione; così è costretta a cercare altre fonti di sostentamento. Uno studio compiuto nello Stato di New York ha evidenziato che nella stagione che seguì l’anno di pasciona del 1994 la densità del peromisco, detto anche «topo dai piedi bianchi», crebbe di quindici volte. Esaurite le scorte di ghiande, i topi dovettero ripiegare su altri tipi di cibo, come le pupe della limantria, che trascorrono l’inverno nel terreno: la predazione di queste larve aumentò di trentaquattro volte.87 La limantria, nota anche con il nome di «bombice dispari», è un insetto infestante alloctono responsabile della defogliazione di vaste aree forestali dell’America del Nord.88 Nel 1995 l’aumento della predazione delle pupe provocato dal boom demografico dei topi risparmiò alle querce l’attacco devastante dei bruchi.
Anche se una versione topesca del dottor Pangloss nata nell’annus mirabilis 1995 avrebbe potuto dichiarare che il dono della pasciona — meravigliosa per topi, cervi, uccelli, e future foglie di quercia — era la riprova perfetta che «tutto va bene nel migliore dei mondi possibili», le sarebbe bastato nascere un anno dopo per pensarla in tutt’altro modo. Come nel mercato azionario, anche nel mondo delle ghiande il boom è seguito dal crollo, e le ripercussioni ecologiche sono pesanti e diffuse quanto quelle economiche. In realtà, lo stesso boom di ghiande presenta un inconveniente non solo per le farfalle nate sotto una cattiva stella ma anche per gli esseri umani che vivono nei verdi sobborghi del Connecticut rurale.
L’odierno New England rurale è un’ampia distesa di querceti simile a quella di vigneti Chardonnay che ammanta la California, ma non si tratta di foreste antiche: sono recenti più o meno quanto l’industria vinicola californiana. In mezzo ai boschi del New England si possono ancora distinguere i muretti di pietra che un tempo marcavano i confini dei campi. Sono i resti di una civiltà agricola che si rivelò antieconomica quando la terra del Midwest, più fertile e facile da coltivare, si aprì all’agricoltura a metà del XIX secolo. I campi del New England furono abbandonati e i boschi se li ripresero. Considerata l’esplosione delle città e delle periferie, risulterà forse difficile credere che oggi il New England abbia una superficie boschiva più ampia rispetto a quella che aveva ai tempi in cui Thoreau cercava la solitudine sulle rive del lago Walden.89 Ma non tutto va bene nei boschi.
Negli anni settanta del Novecento, nella comunità rurale intorno a Lyme, nel Connecticut, fu scoperta una malattia debilitante. I pazienti lamentavano eritemi cutanei, febbre e dolori cronici alle articolazioni. Furono colpiti sia adulti sia bambini; si ammalavano famiglie intere, e i casi si concentravano in cluster mai osservati prima per malattie artritiche. Nei primi giorni, quando la causa scatenante non era ancora stata individuata, un medico che stava raccogliendo dati sulla malattia annotò: «In certe strade, non c’era neppure una casa che non fosse stata colpita… mi avevano dato una lista di famiglie a cui telefonare. Una volta ho sbagliato numero e sono andato in una casa dove perfino il bambino aveva l’artrite!»90 Quando finalmente venne identificata l’eziologia del male — a cui fu dato il nome di «malattia di Lyme» o «borreliosi» -, fu possibile metterla in relazione con la pasciona di ghiande di due anni prima.
Si scoprì che l’agente scatenante era un tipo di batterio chiamato «spirochete» (il nome deriva dalla sua struttura spiraliforme, a cavatappi). Quella particolare specie di spirochete era una novità per la scienza, e fu chiamata Borrelia burgdorferi.
Questo spirochete infetta sia i topi dai piedi bianchi sia i cosiddetti «cervi della Virginia», o «cervi dalla coda bianca»; la trasmissione tra i due animali avviene tramite la zecca dei cervi, o «zecca dalle zampe nere», che trascorre una parte del suo ciclo vitale su ciascun ospite. Gli esseri umani vengono infettati dalla B. burgdorferi quando vengono morsi da una zecca infetta in cerca di un nuovo ospite. Di solito, ma non sempre, nel punto del morso si forma un eritema anulare che tende a scomparire spontaneamente anche se non viene trattato; l’infezione, però, progredisce, e negli stadi più avanzati provoca artrite e, talvolta, gravi sintomi neurologici.
Il ciclo vitale di questa zecca — da uovo a adulto che depone le uova — dura due anni. La B. burgdorferi solitamente non si trasmette attraverso le uova, perciò una zecca appena nata e alla ricerca del suo primo ospite è ancora libera dallo spirochete. Senza una riserva di infezione, di norma lo spirochete scompare da una generazione di zecche all’altra; ma la riserva di B. burgdorferi si trova nella popolazione di topi: le giovani zecche si infettano nutrendosi del loro sangue.
Sono due i fattori che aumentano la densità delle zecche nei due anni che seguono quello di pasciona. Inizialmente l’abbondanza di ghiande richiama cervi e topi a frotte, aumentando quindi la probabilità che si passino le zecche a vicenda. In seguito crescerà la densità di topi, che si tradurrà in più ospiti per le giovani zecche. Un essere umano è più esposto al rischio di contrarre la malattia di Lyme se frequenta i boschi nella seconda stagione dopo un anno di pasciona (per esempio il 1996), ovvero quando le zecche stanno abbandonando i topi per trasferirsi su un secondo ospite. Probabilmente questa malattia è più frequente nel New England oggi rispetto al passato perché la popolazione di cervi si è molto infoltita grazie al cibo e al riparo provvisti dalle foreste rigenerate.91 Con più cervi in giro, aumenta il numero di zecche in grado di completare il loro ciclo vitale. La malattia di Lyme compare anche in Europa, seppure con minor frequenza. Dal momento che la popolazione di cervi sta conoscendo una massiccia espansione in alcune aree della Gran Bretagna, è possibile che si assisterà anche lì a una maggior diffusione della malattia, soprattutto perché vengono piantate più foreste.
Le eccezionali quantità di semi garantite periodicamente dalle annate di pasciona sono fondamentali per gli animali perché tutti gli alberi di una specie, e talvolta anche di specie diverse, vanno incontro a tale fenomeno in contemporanea, anche a distanza di duemilacinquecento chilometri.92 Negli anni di pasciona si trova cibo dappertutto, ma nei periodi intermedi c’è ben poco. Quando gli anni di abbondanza sono improvvisamente seguiti da periodi di magra il risultato è l’altrettanto improvvisa comparsa di un numero vertiginoso di uccelli che si cibano di semi; varcando in grandi stormi i confini dei rispettivi habitat naturali, le specie americane — come la cincia bigia e il lucherino dei pini — si riversano per tutto l’emisfero settentrionale.93
Perché le querce e moltissimi altri alberi forestali, nei tropici come nelle zone temperate, variano la loro produzione di semi in modo così drastico da un anno all’altro?94 In fondo, la pasciona presenta svantaggi evidenti. Prima di tutto, produrre i semi comporta sempre un impoverimento fisiologico delle risorse, ma una produzione così massiccia è sufficiente a rallentare la crescita dell’albero per uno o due anni almeno. In secondo luogo, è evidente che un banchetto del genere grida a ogni animale che vuole mangiare a scrocco: «Dai, vieni, serviti pure!» In terzo luogo, in questa fase gli alberi rinunciano virtualmente a preziose opportunità di riprodursi negli anni intermedi. In questi momenti, la progenie degli alberi che non hanno partecipato alla pasciona potrebbe insediarsi senza dover competere con piantine nate dalle «genti della pasciona». Pare proprio che gli alberi che si abbandonano a questo tripudio di semi commettano un errore madornale; e le persone che parlano alle piante non gliel’hanno mai fatto notare. Oppure siamo noi che dovremmo dar retta agli alberi?
La spiegazione più semplice del motivo per cui gli alberi sono soggetti al fenomeno della pasciona potrebbe limitarsi a questa: non possono evitarlo perché sono obbligati a seguire le variazioni climatiche. Anche se sembra che gli alberi utilizzino il clima per innescare una produzione di semi sincronizzata, gli eventi climatici non regolano le annate di pasciona, danno solo il segnale d’inizio. La differenza tra un segnale di inizio e il governo di questo fenomeno si può confrontare con quello che accade in una corsa automobilistica. La luce verde è il segnale che dà inizio alla gara, ma non è lei a spingere avanti le macchine: la loro velocità è determinata dal pilota che ci sta dentro. Nel Sudest asiatico, dove il clima non è stagionale, le Dipterocarpacee sembrano sfruttare ben poco i mutamenti di temperatura connessi al Niño per dare il via alle annate di pasciona.95 Questi alberi producono semi ogni sette, otto anni ma, quando la luce verde scatta, pigiano sull’acceleratore e si scatenano con quantità davvero massicce. Anche nelle foreste dell’emisfero settentrionale la variazione annua nella produzione di semi è molto più accentuata del mutamento climatico che le dà il segnale d’inizio.96 Perciò l’idea che sia il clima a governare la pasciona non regge. La natura ha preso un abbaglio gigantesco oppure la pasciona ha qualche vantaggio?
Inutile a dirsi, la natura non ha preso nessun abbaglio. La pasciona è piuttosto uno di quegli straordinari fenomeni che appaiono pressoché incomprensibili se non li si guarda attraverso la lente della selezione naturale. La risposta è semplice: di norma, piccole produzioni di seme vengono consumate in toto dagli animali che se ne nutrono abitualmente; una quantità più massiccia, invece, sopravvive nonostante sia presa d’assalto da orde affamate. Tale fenomeno viene definito predator satiation, «saziamento del predatore». La pasciona è una tattica per raggirare i mangiatori di semi inondandoli di cibo nelle annate grasse per poi farli morire di fame nei periodi intermedi. L’effetto che i crolli improvvisi nella quantità di cibo disponibile hanno sugli uccelli è la riprova di quanto sia efficace questa strategia.
La pasciona degli alberi ha costretto l’evoluzione a mettere a punto contromisure negli animali. I roditori immagazzinano i semi raccolti, ma la brevità della loro vita fa sì che molte di quelle scorte non vengano più recuperate. A meno che non siano sabotati prima del sotterramento, quei semi possono germinare: il roditore che li aveva portati via nel vano tentativo di trarne vantaggio alla fine avrà fornito all’albero un servizio di dispersione. È un esempio di come l’evoluzione sovverta le strategie di una specie a vantaggio di un’altra. In questo caso la conseguenza è stata una sorta di mutualismo in cui gli alberi sacrificano una quota dei loro semi in modo da pagare il prezzo della corsa per la dispersione della progenie rimasta.
La migrazione è un’altra tattica adottata dai mangiatori di semi affamati, ma è un’extrema ratio: le produzioni di semi possono sincronizzarsi in un raggio di migliaia di chilometri, dunque le carestie possono risultare estesissime. Alcuni insetti infestanti optano per una strategia diversa: trascorrono gli anni tra una pasciona e l’altra sotto forma di pupe dormienti all’interno del seme, che sarà per loro mensa e nursery allo stesso tempo. Una mossa astuta, se riesce. Gli insetti che non ce la fanno hanno un problema, come illustra chiaramente il caso del curculione che infesta le noci di pecan.
Se anche voi, come me, amate la torta di pecan, dovreste ringraziare un altro aficionado di questa noce prelibata, l’Acrobasis nuxvorella, un lepidottero della famiglia delle Pyralidae. La cosa strana è che, anche se i bruchi della nuxvorella distruggono i germogli delle noci, la pasciona li trasforma in alleati della pianta. Ecco come funziona: gli alberi di pecan producono la maggior parte dei semi nelle annate di pasciona; una piccola parte di quei semi andrà perduta a causa dei bruchi di nuxvorella, ma il grande consumatore delle noci che si stanno sviluppando in un anno di pasciona è il curculione. L’anno successivo ci saranno molte più nuxvorella e un’infinità di curculioni, ma una gran penuria di noci di pecan. Effettivamente, tra un’annata di pasciona e l’altra, questi alberi producono pochi fiori e noci, ma durante i periodi intermedi l’Acrobasis nuxvorella impedisce ai curculioni di deporre le uova perché arriva per prima sui germogli e li distrugge.
Se negli anni di magra l’Acrobasis nuxvorella non sottraesse al curculione la fornitura di cibo, quest’ultimo — forte della moltitudine di suoi simili nati negli anni di pasciona — potrebbe teoricamente tirare avanti senza problemi nelle noci prodotte nei periodi intermedi. A quel punto, in un anno di pasciona sarebbe più difficile per l’albero di pecan saziare i predatori e salvare almeno una parte delle noci.
È stato calcolato che, distruggendo nelle annate normali potenziali luoghi di riproduzione per il curculione del pecan, in media l’Acrobasis nuxvorella risparmi a un albero di pecan l’ulteriore perdita (nell’arco dell’intera vita) di oltre settantamila noci. E il prezzo per questa protezione che l’albero paga alla farfalla è di duecento noci soltanto.97
L’esempio dell’albero di pecan e dei suoi predatori rivali illustra come una comprensione delle interazioni ecologiche possa trasformarsi in un vantaggio pratico. Dal punto di vista dell’albero, e del coltivatore stesso, l’atteggiamento giusto nei confronti del bruco dell’Acrobasis nuxvorella dovrebbe essere «il nemico del mio nemico è mio amico». Ogni organismo, compresi quelli da cui noi esseri umani dipendiamo per ricavarne cibo, ha un suo posto in una rete di interazioni ecologiche, e la maggior parte dei nostri nemici ne ha a sua volta. Le pupe della limantria, per esempio, devono guardarsi dal topo dai piedi bianchi. L’uso intelligente dei nemici naturali per controllare gli insetti che infestano le coltivazioni e le specie invasive viene chiamato «controllo biologico»: questo sistema sta acquistando un ruolo sempre più importante nell’agricoltura e nell’orticoltura, dato che sono emersi gli svantaggi e i pericoli di alcuni pesticidi chimici.
Il prezzo della dispersione dei semi tramite gli animali che querce e altri alberi da noce pagano sacrificando una parte della loro progenie le piante da frutto lo pagano in un altro modo. Nel caso dei meli, ciliegi, peri, peschi, susini e simili, ciascun seme salda il conto della propria corsa con l’involucro succulento e solitamente dolce che lo avvolge. È interessante confrontare la strategia di dispersione degli alberi da frutto con quella degli alberi da noce. Entrambe le tipologie di piante ricorrono agli animali per disperdere i semi, e per entrambe si tratta di un accordo potenzialmente pericoloso. «Guarda come sono ricco e appetitoso; vieni qui e prendimi a bordo!» non è esattamente quello che griderei per fermare un taxi a New York. Come fai a impedire che chi ti scarrozza pretenda più del prezzo concordato?
La risposta dipende dalla modalità con cui paghi la corsa. Gli alberi produttori di noci hanno una sorta di sistema di pagamento anticipato: utilizzano una quota dei semi per garantirsi la dispersione di quelli che rimangono. Perché il sistema possa funzionare, le noci devono essere appetibili per gli animali, ma gli alberi limitano la perdita di semi complessiva attraverso le annate di pasciona e il «saziamento del predatore». Gli alberi da frutto, invece, adottano un sistema di pagamento a consumo. Per loro, infatti, sarebbe controproducente saziare gli agenti di dispersione, perciò tendono a produzioni regolari e costanti senza andare incontro ad annate di pasciona.98 In compenso, spesso proteggono i semi rendendoli tossici: quelli della mela e della pesca, per esempio, contengono cianuro.
Un’apparente eccezione alla regola secondo la quale — a differenza dei semi delle piante da frutto — le noci sono appetibili è rappresentata dall’anacardio, che cresce in un guscio protetto da un rivestimento tossico. Questo involucro contiene un olio resinoso e caustico che provoca vescicole sulla pelle, come il peggior caso di avvelenamento da edera velenosa che si possa immaginare.99 Ovviamente, prima che gli anacardi arrivino sul mercato quest’olio viene rimosso; ma in condizioni naturali come fa a disperdersi una noce che, se viene morsa, irrita la pelle in modo così grave? La risposta sta in una caratteristica dell’anacardio che non indovinereste mai guardando il gheriglio: le noci di anacardio crescono attaccate a un frutto fresco e polposo. Ogni noce matura pende dalla base di un rigonfiamento periforme al termine del peduncolo del fiore; questo pseudofrutto può essere lungo dai cinque agli undici centimetri e avere un colore che va dal giallo al rosso vivo. Dunque, tutto sommato, l’anacardio tossico è un viaggiatore che paga a consumo ma che ha l’eccentrica abitudine di farsi trasportare all’esterno del frutto. Chi può resistere ai succosi grappoli della vite?
Letture:
Il ricco bottino di ghiande offerto dalle querce e il modo in cui i nativi americani lo utilizzavano vengono ben descritti da William B. Logan nel suo Oak. The Frame of Civilization , Norton, New York 2005 (trad. it. La quercia. Storia sociale di un albero, Bollati Boringhieri, Torino 2008). Il castagno americano, oggi tristemente distrutto dal cancro corticale, un tempo era talmente generoso di castagne da sostenere un’intera economia rurale: Susan Freinkel racconta meravigliosamente questa storia in American Chestnut, University of California Press, Berkeley 2007. Jonathan Edlow svela il mistero medico della malattia di Lyme in Bull’s Eye. Unraveling the Medical Mystery of Lyme Disease, Yale University Press, Berkeley 20042.
Tratto da: Jonathan Silvertown, La vita segreta dei semi, Bollati Boringheri
Join the Discussion