Lo scienziato e il fiore
Brevi estratti del discorso inaugurale delle giornate di gemellaggio tra il Giardino Botanico di Medellín (Colombia) e Torgod (Deserto del Gobi, Mongolia). Oratore: dottor Florence Trebol, titolare della cattedra di Botanica Speciale presso la Bristol University. Luogo della conferenza: “Orquideorama” del Giardino Botanico “Joaquín Antonio Uribe”, Medellín. Presenza di pubblico: all’inizio dell’intervento, platea piena per metà; al termine, platea piena per un terzo.
“Illustri autorità della nobilissima città di Medellín. Eccellentissimo signor Sindaco. Valorosi capi guerrieri. Signore feudale mongolo dell’altipiano di Ala Shan. Stimati direttori di questo magnifico e rinnovato Giardino Botanico. Cari colleghi della comunità scientifica e accademica. Gentile pubblico. È per me un vero onore poter inaugurare queste giornate che, oltre a suggellare il gemellaggio tra due regioni per le quali ho sempre sentito una profonda simpatia, serviranno senz’altro a far progredire le nostre conoscenze relative a quella flora così miseramente sparpagliata nella steppa centrale del deserto di Gobi, e alla quale ho la fortuna di dedicarmi da ormai quasi trent’anni. (…) Come ben sapete, i litoflows sono, per così dire, maestri del travestimento. Le loro dimensioni decrescenti (tre millimetri di diametro ogni cento anni) sono il primo elemento che deve indurci al sospetto. A cosa è dovuta tale vocazione diminutiva? Perché questa natura evasiva, questo continuo affannarsi per eludere i segni della propria presenza? In che modo qualcosa di così incantevole sembra essere programmato per sfuggire alla vista? Reputo che questi semplici interrogativi (e non le descrizioni infestate di tecnicismi) siano il punto di partenza più adeguato per avvicinarci ai litoflows, le uniche e stupefacenti pietre-piante che crescono nell’arido clima della topografia di cui ci stiamo occupando. (…) é per questo motivo, cari colleghi, che ci serviranno ben poco le ortodosse nozioni di questa Botanica mutilata che ci ostiniamo a divulgare nei media e a insegnare nelle aule. Per quanto mi riguarda, i miei lunghi anni di studio sui litoflows mi hanno condotto ad adottare un metodo totalmente differente. Sono convinto, tanto che mi spingerei a proporla come ipotesi, che un’esatta approssimazione intorno a queste nostre pietre-piante è possibile solo instaurando con esse un dialogo emozionale: interpellarle, saperle ascoltare. E seguire, perché no, il loro recondito esempio. (…) Ricapitoliamo. Secondo quanto dimostrano i primi studi, la peculiarità fisica dei litoflows consiste nel loro ordinario aspetto minerale (sia esso di un color ferruginoso, oppure di un’incerta tonalità mercurica). In qualsivoglia di queste due varianti, prima o poi (così comprovano le testimonianze fotografiche e video) si sviluppa il fenomeno che fa dei litoflows un’autentica attrazione per il profano e una vera sfida per lo specialista: dalla loro superficie, in apparenza ermetica e sterile, emergono improvvisamente degli effimeri, delicati fiori bianchi. Tutti noi abbiamo potuto osservare almeno una volta, mantenuti artificialmente in vita in laboratorio, questi insoliti germogli trasparenti che sembrano nascere dal nulla, questi petali dall’impensabile sensazione tattile di seta. (…)
A questo punto ci chiediamo: per quale motivo le dette mutazioni avvengono solo una volta ogni tanto? Com’è che ci risulta ancora impossibile determinare un ciclo regolare o, per lo meno, una frequenza approssimata di queste epifanie? E perché, ci domandiamo con insistenza, perché un litoflow fiorisce solo di notte, in piena oscurità? (…) Siamo costretti ad ammettere, cari colleghi, la manifesta incapacità della nostra scienza accademica – cioè la nostra incapacità – di dare una risposta a questi tenaci enigmi. Allo stesso modo, risulterebbe opportuno cominciare a porci alcune domande fino a oggi mai formulate: sono timidi i litoflows? Temono di essere spiati? Si nutrono della propria solitudine? Abbisognano di un certo grado di malinconia per completare la loro fotosintesi? Una volta formulati questi interrogativi, che reputo ragionevoli, potremmo spingerci anche oltre: sono i litoflows decisamente ostili all’assillo scientifico? E, nel caso in cui la risposta alla domanda precedente fosse affermativa: sono ostili anche alle premure dell’uomo? Non staranno per caso cercando, con saggio istinto, di preservare la loro sporadica bellezza da qualsiasi creatura che possa recarle danno o – peggio ancora – non sappia apprezzarla in tutta la sua eccezionalità? Stando così le cose, potrebbero i litoflows anche nascondersi in molti altri luoghi insospettabili, per esempio, chissà, proprio qui, a Medellín, camuffati sotto le apparenze di una comune pietra, in attesa che passi accanto a loro un occhio davvero attento, per infine fiorire? Io, per parte mia, anelo ad essere un giorno capace di comprenderli e di decifrare la loro attesa. Anelo ad essere capace di vederli una volta, fosse anche una sola, fiorire nel deserto. In definitiva, si potrebbe dire che aspetto il mio momento, come i litoflows. E lo faccio, senza dubbio, soprattutto con tenerezza. Grazie infinite. E scusatemi.”
Racconto di Andrés Neuman pubblicato nel 2008 su Living, interiors magazine del Corriere della Sera ( link )
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