Il seguente splendido articolo del filosofo americano Benjamin Root, esplora l’idea che vi sia un sottile senso di ‘Divinità non-duale’ che pervade l’insegnamento Buddista, incarnata nel voluminoso ‘Avatamsaka Sutra’. La visione di Root di un’unica, inafferabile, Realtà della Mente non è incompatibile con le idee espresse nei Sutra del Tathagatagarbha. La “non-dualità” è un insegnamento che particolarmente si trova nel ‘Prajnaparamita-sutra’ e nel ‘Mahaparinirvana-sutra’.
C’è un malinteso comune che il Buddismo sia ateo o quantomeno ‘agnostico’. Ciò potrebbe esser vero per gli insegnamenti originali del Buddha (5 o 6 secoli prima di Cristo) preservati dalla tradizione di Theravada, sebbene anche in questo caso si potrebbe disputare che la vera intenzione del Buddha era solamente di deviare i suoi discepoli da quelle che egli considerava essere inutili ed irrilevanti discussioni filosofiche. Sia come sia, nozioni simili al Divino riappaiono più tardi nel successivo Buddismo Mahayana (circa al tempo di Cristo), benché molti studiosi Buddisti lo negherebbero! In parte, questo è perché essi vogliono evitare paragoni con il Dio delle tradizioni Medio-Orientali (o quello degli Indiani dualistici), che ha creato un mondo materiale e lo ha popolato con esseri umani fatti di anima e corpo, e che dopo che il corpo è morto, giudica poi quelle anime.
In Oriente, sia nell’Induismo che nel Buddismo, la nozione della divinità è spesso alquanto diversa. Tanto per cominciare, vi è una tendenza verso ‘l’idealismo’, cioè la credenza che la realtà fondamentale sia ‘Coscienza’. Questo preclude il credere ad un mondo materiale e quindi ad un creatore di quel dato mondo materiale. Similmente, la credenza in un vero corpo ed un’anima indipendente è un’altra dualistica nozione che non descrive accuratamente l’approccio Orientale generale. Gli Indù, per esempio, credono che la realtà fondamentale sia il Brahman, cioè la Coscienza Assoluta, e che nulla è realmente separato da questa unica realtà (una dottrina nota come ‘monismo’ che è spesso strettamente associata con idealismo). Mente, corpo e mondo, sono tutte illusioni proiettate da questa Coscienza Unica all’interno di se-stessa, attraverso un processo chiamato ‘maya’, che ha la stessa radice di ‘magìa’. (Vi sono Indù dualisti che negherebbero questo, ma i sacri Testi Vedici riportano questa monistica visione idealistica). Similmente, dopo una rapida escursione nel quasi- materialismo nel Primitivo Buddismo, la successiva tradizione dominante del Mahayana mostrò una chiara tendenza idealistica, sebbene venga usata l’etichetta ‘Buddha’ o ‘Natura di Buddha’ anziché ‘Brahman’. Infine, tanto nell’Induismo che nel Buddismo, il ‘karma’ è enfatizzato come un giudizio finale, così che noi stessi possiamo determinare il nostro stesso futuro in base alle nostre credenze ed azioni, ed il cosiddetto ‘giudice divino’ non gioca nessun ruolo.
Un’importante scrittura, in cui l’aspetto cosmico e divino del Buddha è enfatizzato particolarmente è l’Avatamsaka Sutra, noto anche come il ‘Sutra- HuaYen’ o Sutra della Ghirlanda Fiorita. Esso ebbe origine in India, nei primi secoli dopo Cristo, durante lo sviluppo del Mahayana stesso. Tuttavia, esso ebbe un più ampio ruolo in Cina, dove divenne la scrittura fondamentale per l’importante scuola Hua Yen durante la dorata Dinastia Tang (618-907 d.C.), ed influenzò fortemente anche l’importante tradizione Chan/Zen, che continua ai giorni nostri.
Grazie ad estratti da una traduzione inglese dell’Avatamsaka Sutra, tenterò ora di convincervi che questa importante scrittura del Buddismo dell’Estremo Oriente vede il Buddha cosmico in termini non molto diversi dal Brahman degli Indù.
Per convenienza del lettore, io limiterò la maggior parte dei miei estratti a questo capitolo. La traduzione è di J. C. Cleary, che ha abilmente tradotto molti testi Buddisti e Taoisti, e l’intero libro è di circa 1600 pagine. La seguente discussione è in qualche modo una versione compendiata di un articolo più lungo, che ho messo sullo stesso sito. Oltre all’articolo, tuttavia, io tenterò di limitare la mia propria interpretazione e lasciare che il Sutra parli da solo.
L’Avatamsaka è essenzialmente una descrizione dell’Illuminazione del Buddha, ed abbonda in immagini fantastiche e idee paradossali. Esso è la base della filosofia Hua Yen, che ‘Tutto e tutti sono l’Uno’ e che ‘Ogni cosa è interpenetrata con tutte le altre’. Per illustrare questo è usata la metafora della Rete di Indra. La rete è di dimensioni cosmiche, ed è composta di gioielli preziosi, ognuno dei quali riflette tutti gli altri gioielli (e si riflette in essi, all’infinito). Allo stesso modo, ciascun ‘oggetto’ apparente di questo mondo, in un certo senso contiene e riflette tutti gli altri. Molte interpretazioni sono state proposte per questo stupefacente pensiero, come quella che esso si riferisce all’interdipendenza causale di tutti gli esseri. Si suppone che ciò sia in armonia con l’idea-chiave del Buddha, che nessun essere consapevole abbia un ‘ego’ o ‘piccolo sé’, che dal Mahayana fu estesa alla nozione di ‘vuoto’ o ‘vacuità’, per cui nessuna entità qualechesia ha un ‘sé’. Spiegazioni mondane di questa idea sono, per esempio, che ‘nessun uomo è un’isola’ e che ‘ogni cosa tocca un’altra cosa’, così che perfino lo sbattere di un’ala di farfalla nell’Amazzonia può dare il via ad una catena di eventi che può produrre un uragano in Asia.
Questo tipo di interpretazione a me non soddisfa. Benchè non sia completamente sbagliato, sembra inadeguato poiché da una prospettiva puramente causale, molti esseri sono effettivamente isolati dalla maggior parte degli altri. Tale spiegazione causale però sembra impantanata in una prospettiva fondamentalmente oggettiva dell’universo, in cui i diversi oggetti hanno un certo grado di realtà indipendente, nonostante la rete di interazioni causali. La visione più profonda, secondo me, è di considerare la visione dell’Avatamsaka come un’altra affermazione dell’ idealistica intuizione che tutto è soltanto coscienza, e quindi un’Unica Coscienza. Quando è così affermata, la similarità al Brahman Advaita è innegabile. Io mi affiderò ancora ai seguenti estratti per rivedere le mie visioni.
Non c’è quindi nessun problema per qualunque oggetto, poiché l’oggetto è per definizione ciò che è opposto alla coscienza. Tutti gli oggetti apparenti sono solo illusioni nella coscienza, proprio come gli oggetti di un sogno. Perfino i vari esseri coscienti sono ultimamente riflessi di un’unica e sola Coscienza Onnipervadente, chiamata Brahman dagli Advaitin e Buddha daiMahayanisti. Come mostreranno gli estratti, i diversi ‘Buddha’ sono tutti la stessa ‘essenza- talità’ o coscienza, e la nostra stessa essenza non è diversa dall’essenza del Buddha. Questa dissoluzione degli oggetti nella ‘vacuità’ della pura coscienza va ben oltre il semplice standard delle spiegazioni in termini di reciproca interdipendenza di esseri che sono ancora legati a riferimenti di indipendenza e oggettività. Non è possibile penetrare al cuore dell’Advaita o del Mahayana, senza abbandonare ogni nozione di oggettività e distinta esistenza che ciò implica. Ciò che resta, quando ogni oggettività è stata eliminata, è semplicemente la pura coscienza, che è innegabile, e che è riferita anche come ‘Mente-di-Buddha o Coscienza-Buddha’.
Ne consegue che se c’è solo la Coscienza-Buddha, allora ‘tutto è in tutte le cose’ per così dire. I confini tra i differenti oggetti apparenti si dissolvono, non perché si influenzano mutuamente l’un l’altro, ma perché gli oggetti stessi non hanno una più distinta realtà degli oggetti di un sogno. Essi sono totalmente illusori e fittizi, proprio come si riconosce che gli oggetti di sogno sono nient’altro che la coscienza del sognatore quando si è svegliato. Questo è puro Advaita, ed è anche l’implicito (e talvolta esplicito) spirito dell’Avatamsaka, come vedremo. E io sono totalmente convinto che non possa esservi nessun’altra interpretazione dell’Avatamsaka, o degli altri principali sutra del Mahayana.
Questa non-dualità della Coscienza è riflessa nelle più comuni proprietà che noi attribuiamo al Divino, come l’onnipresenza e l’onniscienza. In effetti, non c’è nulla che sia diverso da questa coscienza divina. Tutto l’esistente non è che un’illusione nella Coscienza Universale, chiamata Dio, Buddha o Brahman. Insomma, questa sorta di violazione dell’ordinario senso dualistico comporta l’ineffabilità del divino, un tema comune ad Advaita e Mahayana. Infatti, la non- dualità e l’ineffabilità della Coscienza sono spesso espresse in termini di ‘vuoto’ o ‘vacuità’, poiché il linguaggio si affida a descrizioni oggettive che contraddicono la vera natura non-duale della coscienza. Se le stesse entità apparentemente oggettive del sogno sono illusorie ed irreali, e al risveglio rimane soltanto la coscienza, allora la natura di quella coscienza diventa qualcosa di trasparente e misterioso che resiste alla descrizione oggettiva, con la sua presunzione di entità distinte che esistono di per sè.
Apertura del Sutra
E’ bene che i primi paragrafi dell’Avatamsaka Sutra siano riportati nella loro integrità, dato che offrono una vivida descrizione dell’atmosfera e dell’ambiente dell’intera scrittura. Il Buddha è presente davanti ad una enorme assemblea di esseri ‘illuminandi’; Egli stesso ha appena realizzato l’illuminazione sotto l’albero del ‘Bodhi’. Io ho commentato lungamente quest’apertura in un altro mio articolo sull’Avatamsaka. Ci si potrebbe aspettare che un essere illuminato veda il mondo in un modo alquanto differente da come lo vediamo noi!
“A quel tempo il Buddha era nella Regione di Magadha (il regno dell’India Settentrionale in cui il Buddha storico nacque), in uno stato di purezza, nel luogo dell’illuminazione, avendo appena realizzato la vera consapevolezza. Il terreno era solido e fermo, fatto di diamanti, adornato con squisiti gioielli ed innumerevoli fiori preziosi, con cristalli chiari e puri. L’Oceano delle Caratteristiche dei vari colori apparve su un’area infinitamente estesa. C’erano bandiere di pietre preziose, che emettevano una costante luce brillante e che producevano bellissimi suoni. Reti di innumerevoli gemme e ghirlande di fiori squisitamente profumati erano appese tutt’intorno. I più eccellenti gioielli apparivano spontaneamente, facendo piovere inesauribili quantità di gemme e meravigliosi fiori su tutta la Terra. C’erano filari di alberi di gioielli, con i loro rami e foglie lustri e lussureggianti. Col potere spirituale del Buddha, egli fece in modo che tutti quegli adornamenti di questa illuminata visione fossero riflessi all’interno.
L’albero dell’Illuminazione (l’albero del Bodhi, sotto il quale il Buddha meditò per 40 giorni e 40 notti prima dell’illuminazione) era notevole e alto. Il suo tronco era come un diamante, i suoi rami principali erano pietre semipreziose, i suoi rami e ramoscelli erano di vari elementi preziosi. Le foglie, distese in tutte le direzioni, facevano ombra, come nubi. I fiori preziosi erano di vari colori, con i rami sparsi che facevano loro ombra. Inoltre, i frutti erano come gioielli che contenevano una ardente radianza. Essi erano insieme coi fiori in gran quantità. La circonferenza intera dell’albero emanava luce; dentro la luce c’erano pietre preziose e all’interno di ogni gemma c’erano esseri illuminati, in grandi stormi, che apparivano come nubi simultaneamente. Ancora, in virtù del sorprendente potere spirituale del Buddha, l’albero del Bodhi emanava continuamente sublimi suoni, che senza fine dicevano parole delle varie verità. La camera del Palazzo in cui era situato il Buddha (il Buddha storico era un re) era spaziosa e meravigliosamente adornata. Estesa in tutta le dieci direzioni. Fatta di gioielli di vari colori e decorata con ogni genere di fiori preziosi. I vari adornamenti emanavano luci come nubi; la massa dei loro riflessi formavano bandiere fin dall’interno del Palazzo.
Un illimitato stuolo di esseri illuminabili, a congresso nel luogo dell’illuminazione, si era tutto radunato lì: grazie all’abilità di manifestare luci e suoni inconcepibili del Buddha, essi sfoggiavano i più eccellenti gioielli, da cui fuoriuscivano tutti i reami di azione dei poteri spirituali dei Buddha ed in cui erano riflesse immagini delle dimore di tutti gli esseri. In virtù dell’aiuto del potere spirituale del Buddha, essi abbracciavano l’intero cosmo in un unico pensiero. (Nota: è una premonizione dell’idealismo!).
A quel punto, il Buddha, l’Onorato dal mondo, in questo scenario, ottenne la corretta suprema consapevolezza di tutte le cose. La sua conoscenza penetrò tutti i tempi con completa equanimità; il suo corpo riempì tutti i mondi; la sua voce si accordò universalmente con tutte le terre nelle dieci direzioni. Come lo spazio che contiene tutte le forme, egli non fece discriminazioni fra tutti gli oggetti. E, come spazio che si estende dappertutto, egli penetrò tutte le terre con equanimità. Il suo corpo sedette onnipresente, per sempre, in tutti i luoghi di illuminazione. Fra lo stuolo di esseri illuminabili, la sua brillante luce risplendette con chiarezza, come il sorgere del sole, illuminando il mondo. L’Oceano di Innumerevoli Virtù che egli praticò in tutte le vite era completamente puro, e lui costantemente mostrò la produzione di tutte le terre di Buddha, le loro forme illimitate e sfere di luce che si estendevano ugualmente ed imparzialmente in tutto il cosmo intero. (Di già un Buddha che si rivela alquanto cosmico ed unitario!) In questa fantastica immagine, un insight ci viene da alcuni versi nel successivo capitolo:
“Ogni adornamento è pienamente completo.
E non poteva essere descritto in un milione di anni.
Il potere mistico del Buddha si estende dappertutto;
Ecco perché la terra è una pura meraviglia!”.
L’illuminazione del Buddha fa sì che tutte le cose siano viste nella loro squisita ed originale purezza e bellezza, un’esperienza comune fra i mistici in tutto il mondo. La stessa Coscienza è questa squisita purezza e bellezza. Eppure, è più che una mera visione; è un potere che può influenzare e trasformare ‘il mondo’, poiché questo mondo non è diverso dalla coscienza illuminata. Specificamente, c’è da aspettarsi che quando si avanza in stati più elevati di coscienza, ci si avvicina alla ‘Fonte’ e si acquisisce i poteri della Fonte, come la telepatia ed anche l’abilità di manipolare la cosiddetta ‘materia’. Ma questo è inerente all’illuminazione. Onnipresenza del Corpo del Buddha
Tutte le religioni immaginano il Divino come onnipresente. Soltanto una religione primitiva attribuirebbe seriamente una forma e corpo visibili al Divino localizzato in un particolare luogo. Noi del tutto intuitivamente comprendiamo che il Divino deve essere invisibile (senza una particolare forma) ed onnipresente (poiché illimitato). Questa è un’espressione della nozione che la coscienza è l’unica realtà, poiché tali attributi sono totalmente consistenti con la coscienza infinita e con nient’altro, pur se la maggior parte delle religioni non formula le proprie credenze con sofistica-zioni così filosofiche. Il “Buddha Cosmico” del Mahayana è chiaramente onni-presente, in contrasto alla restrizione di ‘Buddha’ al Buddha storico che general-mente si trova nel Primitivo Buddismo. (Qualcosa di simile accadde col Cristo del Cristianesimo, che cominciò come una persona storica ma fu trasformato in un principio Cosmico da San Giovanni e San Paolo).
“Il Corpo di Buddha si estende in tutte le grandi Assemblee:
Esso riempe il cosmo senza trovare fine.
Inerte, senza essenza, non può essere afferrato;
Esso appare solo per salvare tutti gli esseri”.
La ‘inerte-quiescenza’ del Buddha, si riferisce alla ‘pace dell’illuminazione Buddista che oltrepassa ogni comprensione’, che ha lo stesso significato dell’ ‘ananda’ (la beatitudine) nel sat-chit-ananda (essere-coscienza- beatitudine), descrizione del Brahman nell’Induismo. Le espressioni ‘senza essenza’ e ‘non può essere afferrato’, come il ‘senza-segni’ e ‘senza-forma’ che seguono, si riferiscono all’ineffabile natura vuota della pura coscienza, di cui più avanti si dirà assai più. Si noti anche che la frase ‘Egli fà sì che tutti gli esseri possano vedere’ è proprio come ‘l’occhio dell’occhio’, cioè la descrizione del Brahman che si trova nel Kena Upanishad.
“Il Buddha è puro come lo spazio vuoto,
Senza-segni, Senza-forma, Presente in ogni luogo,
Eppure, Egli fa sì che tutti gli esseri possano vedere,
Questa Luce di Benedizioni, osservala bene.
Alcuni possono vedere il corpo di realtà del Buddha
Incomparabile, Incontaminato, Onnipervadente:
La natura di tutta l’infinità delle cose
È completamente in quello stesso Corpo”.
Il ‘corpo di realtà’ del Buddha o ‘Dharmakaya’ può essere visto dappertutto e in ogni dove, quando è riconosciuto come la pura coscienza che sostiene tutte le illusioni degli oggetti. In questo senso, esso è ‘visto’ quando non è visto (come qualcosa di ‘oggettivo’)!
“Il Buddha emette costantemente grandi raggi di luce;
In ciascun raggio di luce vi sono innumerevoli Buddha.
Ognuno si mostra sotto forma di esseri senzienti;
Questa è la penetrazione del meraviglioso suono”.
I Buddha nei raggi di luce, è un’affermazione della stessa essenza che è in tutto, un tema che è lungamente ripetuto nelle scritture. Questa comune ‘essenza’ è semplicemente la coscienza che è la stessa, in tutte le cose e in tutti i Buddha. (Nessun’altra interpretazione ha un senso, e questa interpretazione è confermata in modo esplicito, come vedremo più avanti).
“Il corpo di Buddha è puro e sempre tranquillo;
La Radianza della sua luce si estende su tutto il mondo;
Senza-segni, senza-strutture, senza immagini
Come le nuvole nel cielo, così esso è visto.
Il Corpo di Buddha è come lo spazio, inesauribile –
Senza-forma, inostacolato, esso pervade le dieci direzioni.
Tutte le sue manifestazioni sistemiche sono come incantesimi:
Un Suono di Magiche Rappresentazioni, così si capisce.
Il Corpo di Buddha è onni-pervasivo, simile al cosmo.
Si manifesta per rispondere a tutti gli esseri senzienti;
Con i vari insegnamenti Egli li sta sempre guidando:
Maestro di Insegnamenti, Egli è abile nell’illuminare”.
Un’ulteriore conferma che l’essenza del Buddha è l’essenza di tutto, e pervade tutte le cose come lo spazio. Non essendo una cosa in particolare, in questo senso è invisibile e senza-forma, vale a dire che non può essere appreso come un mero oggetto distinto o una forma ordinaria. È ‘il vedente’ che vede tutte le cose, e gli oggetti visti non sono differenti dal ‘vedere’, proprio come gli oggetti- del-sogno (o gli ‘incantesimi’) non sono diversi dal sognatore o da colui che li sperimenta.
Infiniti Universi in un Poro della Pelle. Una divertente e spesso ripetuta immagine dell’Avatamsaka-sutra è che perfino il poro di un pelo del Buddha contiene mondi e Buddha innumerevoli. Inoltre, essa è una poetica descrizione della stessa comune essenza in ogni realtà, vale a dire la coscienza. Perfino la più piccola ‘porzione’ di coscienza ha la stessa essenza di tutto ‘lo spazio’ e la ‘creazione’. In realtà, la coscienza non può essere divisa in porzioni, come sembra essere nel caso dell’illusoria materia oggettiva.
“Tutti i mondi sono esistenti fin dal passato.
Essi possono mostrarsi in un singolo poro della pelle:
Questo è il grande potere spirituale del Buddha:
Restare nella Tranquillità può manifestare questo.
Tutti gli esseri delle terre infinite, illimitate,
Il Buddha può farli entrare in un singolo poro,
Rimanendo nella pace in mezzo a tutti questi esseri.
Questa è la visione della Bocca Fiammeggiante
La conoscenza del Buddha è inostacolata, e racchiude tutti i tempi;
Tutto ciò egli mostra in un istante, nei suoi pori della pelle:
Gli insegnamenti del Buddha, le terre, e gli esseri senzienti:
Tutti questi appaiono grazie al suo potere riunificante.
Ciascuno dei pori piliferi della pelle del Buddha
Emette una luce che annulla l’angoscia e il dolore,
Facendo sì che le afflizioni mondane finiscano.
Questa è l’entrata dei Radianti Pori della Pelle”.
Un’interessante eco di questa idea si trova nel Classico dell’Advaita dal titolo ‘Lo Yoga Vasistha’, che contiene molte idee che assomigliano da vicino al Buddhismo Mahayana, come altrove riportato su questo sito (www.nirvanasutra.org ).> ‘Yoga Vasistha’, traduzione di Swami Venkatesananda, p. 561:
“La Coscienza diventa incarnata [tramite l’illusione] benchè in realtà essa, come lo spazio, sia incapace di essere contenuta. In essa sorgono le idee di ‘testa’ e di ‘piedi’, e lei considera questi organi esistenti…. Vede queste nozioni come se esse fossero reali. E proprio così essa diventa il creatore Brahma [e tutti gli altri Dei]…. Proprio così essa può diventare apparentemente un verme. In verità, tuttavia, essa non è divenuta nessuno di questi; essa è così com’è, puro vuoto nel vuoto, coscienza nella coscienza. Questo è il seme di tutti i corpi nei tre mondi…. Essa è la causa di tutto, ed è il padrone del tempo e dell’azione…. Proprio come un uomo che in un sogno sta lottando con un leone, in quel sogno urla, sebbene in verità egli sia silenzioso e addormentato, la coscienza infinita che intrattiene tutte queste nozioni, dentro di sé è silenziosa e in pace. L’universo che si estende per milioni di miglia in tutte le direzioni, esiste nella più minuta particella subatomica, ed i tre mondi esistono all’interno della punta di un pelo (rispetto alla coscienza infinita).
Perfino il creatore Brahma, benchè presieda l’universo che è inimmaginabilmente enorme e che è il suo corpo, esiste in un atomo; infatti, egli non occupa affatto lo spazio, proprio come le montagne viste in un sogno…. In realtà, O Rama, egli non è altro che la pura coscienza”. E si noti pure che ‘gli universi in un poro della pelle’ sono reminiscenze del famoso ‘mondo in un granello di sabbia’, del mistico poeta britannico William Blake:
“Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
Ed un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel palmo della mano,
E tutta l’Eternità in un’ora sola!”.
L’Onniscienza del Buddha. Oltre all’onnipresenza, un altro attributo-chiave della divinità in tutte le religioni è l’onniscienza. Il Buddha del Mahayana non fa eccezione. Se tutto è l’infinita e pura coscienza unica, allora logicamente deve conseguirne l’onniscienza. Inoltre, quest’ onniscienza non è limitata ad una qualche prospettiva particolare. Essa vede tutto da ogni possibile angolazione, per il tempo dell’ammiccare di un singolo occhio! Questa onniscienza è come lo spazio; è realmente uguale all’onnipresenza. È una manifestazione dell’universalità della Coscienza, che è l’unica realtà.
Quindi, perché non non siamo onniscienti? Perché la nostra particolare manifesta-zione di coscienza si è oscurata per ignoranza. Advaita e Buddismo sono d’accordo su questo punto-chiave. Piuttosto che enfatizzare il peccato, entrambi enfatizzano l’ignoranza come la sorgente di tutti i problemi e le limitazioni. Senza oggetti, che non esistono nel mondo illusorio, che cos’altro potrebbe limitare la manifestazione di coscienza se non l’ignoranza all’interno di quella stessa coscienza? Paradossal-mente, questa ignoranza non è diversa dalla Coscienza Universale, non più di quanto lo sia qualsiasi altra cosa. Advaita e Mahayana sono d’accordo anche su questo. La presenza dell’ignoranza è spesso considerata un mistero inesplicabile. In realtà, l’ignoranza non è una cosa ‘reale’, in quanto non è che oscurità, che è l’assenza della luce. Eppure la mente ignorante è ancora una manifestazione della Coscienza, poiché là non vi è nient’altro. L’ignoranza è un problema spinoso, sia nell’Advaita che nel Buddismo! Però, dobbiamo essere umili e ricordare che noi stiamo tentando di capirlo proprio dalla… prospettiva dell’ignoranza.
“Il grande occhio del corpo di saggezza del Buddha
Vede ogni particella del mondo e nello stesso modo
Raggiunge ogni cosa nelle dieci direzioni:
Questa è la liberazione della Nuvola del Suono.
L’Occhio di Buddha è vasto come lo Spazio;
Esso può vedere il cosmo intero.
In uno stato non impedito, con ineguagliabile funzione
Tutti i Buddha possono parlare di questo occhio.
L’Occhio di Buddha è enorme ed illimitato,
E può vedere tutte le terre nelle dieci direzioni.
Gli esseri senzienti al suo interno sono innumerevoli:
Mostrando grandi poteri spirituali, Egli li conquista tutti.
La conoscenza del Buddha è infinita come lo spazio;
La sua luce risplende dappertutto nelle dieci direzioni.
Egli conosce i modelli mentali di tutti gli esseri senzienti.
Non c’è nessun mondo in cui Egli non possa entrare.
Il vasto Occhio del Buddha è puro e chiaro come spazio
E può vedere tutti gli esseri con completa chiarezza.
Il Buddha conosce la conseguenza di tutti gli atti,
Perché all’istante comprende passato, presente, e futuro;
Le Terre, le Ere, gli Esseri, e i Tempi di tutte le regioni:
Tutto Egli può rivelare e rendere più chiaro.
Il Buddha coltivò tutti gli aspetti della conoscenza;
La natura della sua onniscienza è come lo spazio:
Perciò Lui ha un potere che non può essere ostacolato:
E può illuminare tutte le terre nelle dieci direzioni”.
Vacuità ed Ineffabilità della Coscienza. Ora siamo arrivati all’ineffabilità e ‘vacuità’ della pura coscienza. Tutte le religioni sofisticate comprendono che il Divino deve essere ineffabile (cioè, inesprimibile e indescrivibile), ma la nozione della ‘vacuità’ è una sottigliezza caratteristica del pensiero Mahayana, particolarmente nelle scritture seminali del Prajnaparamita. Tuttavia, questa idea di vacuità o vuoto, ha chiari paralleli nell’Advaita, come sarà illustrato dagli ulteriori estratti dallo Yoga Vasistha. Essa è il Brahman Nirguna o ‘coscienza senza attributi’ dell’Advaita. Proprio così come tutti gli oggetti del sogno sono visti essere solamente la coscienza di colui che si risveglia, allo stesso modo tutti gli oggetti che appaiono ‘là-fuori’ non sono che allucinazioni all’interno della Coscienza. In questo senso, chiaramente, essi sono ‘vuoti’ di realtà, cioè, di una realtà indipendente dalla coscienza. Eppure essi appaiono come illusioni, così che in questo senso la vacuità può essere identificata con tutto il magico spettacolo di uno spazio e del mondo apparentemente contenuto all’interno di esso. Tutto ciò, infatti, non è che pura coscienza, che può essere considerata un vasto e illimitato ‘vuoto’ di pura consapevolezza e di ‘essere’.
“Il Corpo del Buddha è come lo spazio
Non-nato, esso non si aggrappa a nulla
Esso è inafferrabile e senza natura inerente
Questo è visto come Vento di Buon Auspicio.
Il Buddha è come lo spazio, senza natura inerente;
Ed appare nel mondo per beneficiare i viventi,
Le sue forme e caratteristiche sono come riflessi:
La pura Consapevolezza lo vede in questo modo”.
Ora consideriamo le seguenti idee simili dallo Yoga Vasistha. Io presenterò alcuni estratti, dato che vorrei disperdere la comune nozione che il Mahayana ‘crede nel vuoto’ e l’Advaita ‘crede nella coscienza’, che in qualche modo sembrano opposti diametralmente! Questo è un grosso malinteso. La nozione di ‘vacuità’ o vuoto appare frequentemente nell’Advaita, compreso il ‘Vivekachudamani’ di Shankara, per descrivere l’ineffabilità del Brahman. Però, nel modo ultimo, perfino la nozione di vacuità è ‘vuota’ e non dovrebbe essere presa troppo letteralmente, come ci viene sovente ricordato dal Mahayana e dall’Advaita. Ovvero, non dobbiamo mai considerare la vacuità come un oggetto per suo stesso diritto, poichè il suo vero scopo è proprio di dissolvere ogni nozione di oggettività. Allo stesso tempo, non è definitivamente un puro nulla; piuttosto, è pura coscienza, che è l’essenza di ogni essere e realtà, e perciò totalmente l’opposto del ‘nulla’.
Ciò che chiamiamo ‘il corpo’, agli occhi del saggio non esiste. È soltanto il Brahman [Pura Coscienza]. Lo stesso termine ‘sogno’, usato per rappresentare la verità dell’ ‘illusorietà’ del mondo apparente, non esiste. Non c’è nessun ‘sogno’ nella infinita coscienza. Non c’è alcun corpo, né sogno, in essa. Non c’è alcun stato da sveglio, né sogno, né sonno. Qualsiasi cosa esista – è vuota, è l’OM [il suono primordiale]. Bastino le seguenti descrizioni (Yoga Vasistha, p. 719): “O Rama, sebbene questo universo sembri esistere, nulla esiste realmente come ‘universo’. Non che la mera apparenza o riflesso nell’infinita coscienza, che essa stessa è la realtà. In questa coscienza, la creazione appare come in un sogno. Quindi, soltanto la realtà [cioè, la coscienza] in cui essa appare è reale: e quella è l’infinita vacuità. (Yoga Vasistha, p. 183).
“Nel puro spazio della coscienza infinita esistono queste innumerevoli apparenze mondane. Esse entrano in essere e poi si dissolvono, benchè nella loro natura siano totalmente ed essenzialmente vuote (shunya)…. Questa creazione è vuota, e la vacuità da sola si sviluppa e da sola cessa di essere vuota, perché è priva di una nozione di ‘sé’ (Yoga Vasistha, p. 666). Questo stato è vacuità, il Brahman, coscienza, il Purusha del Sankhya, l’Isvara dello yoghi, Shiva, il tempo, l’Atman o il ‘sé’, il ‘non-sé’, il medio, ecc., dei mistici che sostengono le diverse visioni. (Yoga Vasistha, p. 313 ). Lo stato supremo è oltre tutti i concetti, anche quelli di ‘massa di coscienza’ e ‘vuoto’; è vuoto di ogni cosa, ma è anche pieno di tutto. Quindi, la terra, e tutte le cose, ecc. esistono; tuttavia, in un altro senso nulla esiste in esso [nella coscienza]. Sebbene in esso vi siano infiniti ‘jiva’ [le anime], essi però non esistono come jiva che siano indipendenti dalla coscienza. (Yoga Vasistha, p. 671)
Immediatamente dopo la morte, si realizza che questo mondo è precisamente così come è come una densa vacuità all’interno della propria mente …. Qualunque cosa sia, è la coscienza infinita; non c’è niente che possa esser riconosciuto come la terra.’ (Yoga Vasistha, p. 687) C’è una differenza tra pura coscienza e vacuità assoluta? Anche se vi fosse, è impossibile trasmetterla a parole. (Yoga Vasistha, p.513) Da notare che lo Yoga Vasistha afferma esplicitamente la comune visione delle diverse tradizioni mistiche, almeno quelle di tipo non dualista, come l’Advaita e il Mahayana. Il ‘Brahman’ Advaita e la ‘Vacuità’ (Shunyatà) Mahayana sono esplicitamente ritenuti identici. Così per l’occasionale presunta ‘incompatibilità’ collegata a queste tradizioni! (Su questo punto, gli studiosi ed esperti sono spesso molto più confusi dei saggi e sinceri praticanti).
Un’interessante conseguenza dell’unica realtà della coscienza è che gli oggetti materiali non hanno più solidità o fluidità! Ciò ci si deve aspettare dal fatto che essi neanche esistono. Tutte le sensazioni, percezioni e sentimenti di solidità o fluidità esistono soltanto all’interno della coscienza, così come il calore, il freddo e gli altri fenomeni tattili. Invero, tutte le percezioni non sono nient’altro che coscienza, così che quando il ‘realista’ grida esasperato che ‘il mondo esiste’ perché lui lo vede e lo sente, egli sta inconsapevolmente confermando solo l’idealismo. Un’idea simile si trova nello Yoga Vasistha, che di nuovo mostra impressionanti paralleli tra le due tradizioni.
“Il Buddha vede le cose del mondo come riflessi di luce;
Egli penetra all’interno dei loro più reconditi misteri
E spiega che la natura di tutte le cose è sempre quiescente:
Un Intelletto intriso di Grande Virtù può vedere questo.
Colui che realizza che la natura delle cose è priva di solidità
Appare in tutte le illimitate terre delle dieci direzioni:
Esponendo l’inconcepibilità del reame della Mente-Buddha,
Egli saprà far ritornare tutti all’oceano della Liberazione”.
Tempo, spazio, e tutto il resto, non è che l’aspetto della coscienza. Perfino le montagne non sono nient’altro che coscienza. È solo la coscienza che è l’essenza stessa della caratteristica degli elementi come la solidità della terra, la fluidità dell’acqua ecc. Tuttavia, in realtà, la terra e gli altri elementi non esistono: esiste solo la coscienza infinita. (Yoga Vasistha, p.714). Le montagne non sono solide, né le acque sono fluide. Ovunque e comunque la coscienza infinita si considera essere, quella cosa appare essere così. Una montagna sorge in un sogno ed esiste nel nulla e come un nulla: e così anche questo universo, perché esso è il sogno della infinita coscienza. (Yoga Vasistha, p.715) .
La ‘non-originazione’ menzionata nei prossimi versi si riferisce alla non-creazione di una realtà materiale oggettiva ed indipendente esterna alla coscienza. Questo è un notevole richiamo del’ajativada’ o dottrina della non-creazione del saggio Advaitin Gaudapada, che fu il maestro del maestro di Shankara. Questo si trova nel suo commentario o karika sul Mandukya Upanishad.
“Il Buddha è nel mondo senza un luogo in cui stare –
Come un’ombra o un riflesso egli appare in tutte le terre.
La natura delle cose è ultimamente la non-originazione:
Questa è l’entrata del Re della Visione Suprema”.
Nel Mahayana, la natura del Buddha o ‘pura coscienza’ a causa della sua ineffabilità, è spesso riferita semplicemente come la ‘quiddità’ o la ‘talità’ (tathata).
“Coltivando l’abilità del metodo per innumerevoli secoli,
Purificando tutte le terre nelle dieci direzioni,
La ‘Quiddità’ dell’Universo non si muove mai:
Questa è la realizzazione della virtù della tranquillità.
Tutti i Buddha sono un unico corpo di realtà –
Vera Talità, del tutto uguale, senza distinzioni;
Il Buddha dimora sempre all’interno di questo potere:
Dappertutto Immediata Manifestazione può esporre pienamente questo!”.
Questa nozione della ‘Talità’ o ‘tathata’ è simile al ‘Quello’ dell’ Advaita, usato per riferirsi all’ essenza indescrivibile del Brahman. Per esempio, nel Vivekachudamani di Shankara leggiamo: “Quindi il mondo non è distinto dal Sé Supremo, e la sua percezione è un’illusione, come tutti i suoi attributi. Ciò che noi aggiungiamo a “Quello” non ha realtà, ma sembra solo meramente esistere in aggiunta a ‘Quello’ a causa dell’ignoranza e della mal comprensione. (235)
Le parole ‘Dio’ e ‘tu-stesso’, riferite dai termini ‘Quello’ e ‘Tu’ sono coscienziosamente depurate nella ripetizione della frase scritturale ‘Tu Sei Quello’, e chiaramente sono viste come identiche. (241). Ciò che è erroneamente immaginato esistere, con la saggezza è riconosciuto essere solo “Quello”, e così non è più differenziato. Il coloratissimo mondo di sogno scompare. Allora, cosa altro rimane se non risvegliarsi? (253). Alla fine, la vacuità della ‘non-esistenza’ del mondo è essenzialmente la stessa della ‘nondualità’ o l’unica realtà della coscienza. La parola ‘nondualità’ può sembrare moderna, ma essa si trova già nell’Avatamsaka:
“Osservando in vari modi il Buddha, là non c’è nulla;
Cercandolo in tutte le direzioni, non può essere trovato.
Le manifestazioni del corpo di verità non hanno vera realtà:
Questa è la verità che è vista dal Suono Silenzioso.
Il vero corpo del Buddha è fondamentalmente non-duale;
Eppure riempe il mondo accordandosi ad esseri e forme –
Gli Esseri senzienti che ognuno vede di fronte a se stesso:
Questa è la visione-prospettiva delle Fiamme di Luce”.
Un Paragone Moderno. La visione mistica e spirituale dell’Avatamsaka e del Mahayana in generale ha molti più paragoni dell’Advaita. Essa riappare nelle ‘avanzate’ tradizioni spirituali di tutto il mondo, intendo quelle che hanno scoperto il principio della nondualità. Questa visione sorge anche spontaneamente in ricercatori individuali, come uno che solo recentemente io ho scoperto nel web, una persona di nome Bob Cergol. La seguente descrizione del suo ‘risveglio’ ripete temi a lungo discussi qui.
“Un’intensità di consapevolezza si produsse al momento stesso in cui il mondo intero – incluso me-stesso – era Là Fuori – come parte della visione. Eppure, non c’era dicotomia perché questa consapevolezza anche conteneva l’intera visione, la totalità. In quell’istante, io vidi che non c’era nessuna Morte–perché non c’era Niente che dovesse Morire! In quell’istante vidi l’uguaglianza di tutti gli esseri, la loro unità essenziale–essi erano tutti manifestazioni della stessa base”.
Vi sono molti esempi simili di scoperte spontanee di coscienza nonduale. Un esempio classico del Cristianesimo medievale è Meister Eckhart. Un caso moderno e particolarmente simpatico è quello del Pellegrino di Pace. (Traduzione dall’Inglese di Aliberth Meng) –
Tratto da: Benjamin Root, Il Divino nell’Avatamsaka Sutra
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