«Mentre, per quanto riguarda la prevenzione si sono precisate le norme più efficaci per sottrarre l’uomo ai numerosi elementi nocivi ambientali e di abitudini di vita (inquinamento atmosferico, agenti fisico-chimici, processi irritativi ed infettivi di varia natura, alimentazione…)». Scriveva questo, con incalzante ottimismo («La Stampa», 9 settembre 1962), il chirurgo torinese Dogliotti, dopo aver partecipato al congresso mondiale di cancerologia che si era tenuto a Mosca nell’agosto di quell’anno. Anche in quel congresso, come in questo da poco chiuso a Firenze, si era parlato molto dei rapporti fra cancro e ambiente, fra cancro e abitudini di vita.
Di quelle «norme» così «efficaci» precisate allora, qualcuno avrà poi sentito parlare? Credo bisognerà cercarle, come Flora, Buridano, gli infanti di Aragona e gli altri fantasmi delle canzoni di Villon e di Manrique, col ritornello desolato: «Dove sono?». Qualche anno dopo, anche Dogliotti fu portato via dallo stesso male. E certamente, nella fabbrica di coloranti di Ciriè, dove tutto l’ambiente sgocciolava cancro da molti anni, quelle norme piene di efficacia saranno state lo scudo orizzontale dei numerosi operai che se lo videro spuntare nella vescica. Ne sono morti finora una trentina e la pestilenza continua. Tra certe lavorazioni industriali e il cancro il rapporto è così stretto che gli si sfugge per caso.
L’ipotesi virale non disturba la coscienza; l’ambientale la stritola, perché il miasma sembra scacciabile dal gesto umano, mentre contrari interessi e sforzi umani scoraggiano dal contrastare. Una prevenzione ambientale anticancro priva di riserve e di falle sgretolerebbe gli Stati moderni, l’economia, le industrie, sarebbe in tutti i sensi una gesta di guerra escatologica contro il male.
Per fare questo non abbiamo né volontà né forze. Neanche la più modesta raccomandazione anticancro dell’Oms arriva ad agire sui poteri pubblici. Un piccolo esempio: le paraffine. Dichiarate cancerigene, seguitano ad avere un uso illimitato. I nostri caffè colano paraffina, i formaggi a pasta dura sono lucidi di paraffina, i datteri in scatola sono coperti da uno strato di paraffina. E un altro: orologi, pulsanti, telefoni, madonnine fosforescenti, resi fari da un ago radioattivo, minimi e pazienti tessitori di cancro sul polso e nelle stanze – un successo mondiale, capillare… Si trova a stento un orologio innocuo. C’è contaminazione cancerigena attraverso i fosfati, divinità agrochimica, fertilizzante universale: chi li ferma più? Si è pronti a guerre feroci per i fosfati.
Il russo Shabad era fiero di una città siberiana, Angarsk, dove a scopo sperimentale era stata eliminata qualsiasi fonte d’inquinamento; diceva: «Tra dieci anni sapremo». Ne sono passati dodici. Il cancro avrà attraversato le porte della città proibita, nascosto in qualche sostanza sfuggita alle guardie? Si è parlato a Firenze di Angarsk, la Pulita?
Sulle abitudini di vita le relazioni congressuali hanno poco effetto, come le smentite storiche sulle illusioni della mente, che occupano le profondità inattaccabili del nostro essere. C’è forse stato un declino dell’abitudine di fumare, da quando si parla dei rapporti tra fumo e cancro e altre malattie? La nevrotica ciminiera umana fuma con rabbia crescente, nelle città invase dai fumi; l’avvertimento cancerologico mette più pepe in quel vizio povero. Ti fumano in faccia dappertutto, anche se avverti mitemente di non gradire, per giusta intolleranza, l’effusione.
Due cancerologi di Bombay avevano parlato di un certo cancro della pelle, diffuso nel Cashmir, dove la gente ha l’abitudine di portare sotto gli abiti uno scaldino riempito di carboni roventi. Avranno smesso di portarlo? Palpateli onestamente, troverete di sicuro lo scaldino.
Una relazione ungherese – sempre a Mosca, nel 1962 – parlava di forte morbidità cancerosa in una regione lacustre, provocata da radiazioni di rocce radioattive. Se mi dicessero che, in quel luogo, hanno impiantato una bella centrale nucleare, utilizzando proprio le acque di quel lago, per il maggiore conforto della popolazione ignara, non troverei strano. Hanno stabilito che l’energia nucleare è pulita! Guai a dubitarne. Ingegneri, professori, presidenti di Enti e Commissioni si torcono per lo sdegno… Ah com’erano bravi i gesuiti di una volta! Hanno così bene insegnato a dire una cosa pensando il contrario! È vero che l’energia nucleare è pulita, la sua traccia è quella di un uccello nell’aria, mentre carbone e petrolio sporcano con corpulenza. Tuttavia, nel rovescio cancerologico e genetico, l’energia nucleare è la più tremenda delle sporcizie. Sia di pace che di guerra, è una sola peste: però non si annusa, e l’animale umano, senza la guida dell’odorato, cade nella trappola.
Questo dice un fisico californiano, John W. Gofman: «La capacità dei composti di particelle insolubili di plutonio di provocare il cancro, dovrebbe indurre ad una eliminazione mondiale dell’energia prodotta da fissione nucleare che impieghi un qualunque tipo di plutonio, da trattare o da riciclare». Con produttori di radiazioni alfa della forza del plutonio, materiale essenziale di tutte le lavorazioni nucleari, spruzzatore di radioattività attraverso le fughe, le scorie e le ricadute dal cielo, di quale difesa si può ancora parlare dal cancro ambientale? È più onesto dirci tenetevelo, com’è più filosofico pensare che quel che dovrebbe rendere immortali le industrie distruggerà la vita.
Su «Newsweek» ho visto qualcosa di molto istruttivo. Una donna con due bambini esibiva un cartello durante una protesta antinucleare: «Che cosa fare in caso di incidente nucleare – Baciate i vostri bambini – Addio». E chi non ha bambini? Qualcosa può fare anche lui, purché gli si dia una pistola. Così pochi e miti oppositori, e infiniti, incalcolabilmente imbecilli o tremendamenti potenti amici, fanno dubitare che l’Energia Nucleare, lo sterminatore assoluto, sia nelle nostre mani come una stecca da biliardo o un cucchiaio.
L’on. Bucalossi, che ha presieduto il congresso di Firenze, ha scritto che l’ipotesi degli ambientalisti non deve portare «ad un dannoso, inutile, generalizzato allarmismo». Stoltezza di politico, bavaglio al medico. In fatto di salute pubblica il medico deve gridare la verità qualunque sia, e se c’è motivo di allarme deve immensamente allarmare. I politici si sforzeranno sempre di coprire la verità, perché la loro dottrina unica, e non troppo segreta, in qualunque Stato di questo mondo, è che una moltiplicazione all’infinito dei letti di dolore per dilatare la potenza economica e militare, è un fatto accettabile. I medici non devono preoccuparsi dei danni politici ed economici che una loro denuncia può fare, perché sono danni fatti al male. Se temono l’allarmismo lascino fiorire il cancro.
La teoria ambientale è piena di fascino; il bene che può fare, data la tendenza universale, e la chiusura del potere a ogni luce, è però limitato. Non può cambiare la città umana e il suo fato, ma complica, tormenta, spreme e raffina la conoscenza. L’ambiente cancerigeno – impregnazione ristretta e nutrimenti terrestri, aria di un luogo e cielo del mondo – non è solo un problema medico e sociale, è un enigma del pensiero, uno dei fili vaganti, difficili da risalire, del destino umano. E altro cancro, dal cancro, è prodotto, attraverso i massacri sperimentali e farmacologici, patimenti di bestie e amoralità scientifica, perché l’ambiente assorbe e trasmette tutto. L’attività umana è tutta cancerigena, in senso grosso e in senso sottile, ed è un cancro per lo spazio e la vita che la subiscono. Sembra inoltre che l’umanità non possa esistere senza almeno una malattia universale unificatrice, adeguata ai suoi pensieri e ai suoi mutamenti.
Tratto da: Guido Ceronetti, La carta è stanca, Adelphi