CHI CI LIBERERÀ DALLA «CERTEZZA DEL FUTURO»?

Chi pretende gli sia data «certezza di futuro» o di «un futuro», e la voglia dallo Stato – futuro pronto, ben confezionato, addirittura preconfezionato e personalizzato – certamente non dimostra che un poco di pensiero lo abiti. Un vertice d’imbecillità è proprio del politico d’opposizione che rimprovera un governo di «non pensare al futuro dei giovani», e del politico al potere che replica al rimprovero con la formula di uguale forza che, al contrario, non fa che pensare «al futuro dei giovani» o perché «i giovani abbiano un futuro certo». Sono manette mentali. Si può dire che è giovane chiunque preservi la sua mente dalle manette e non ponga limiti all’inevitabile, necessaria, nobile, liberatrice incertezza del futuro. I venditori di futuri sono anime vendute. L’uomo pensa, altro non ha che il pensare – non al futuro, ma a Ciò-che-è. Ci sarebbe moltissimo da fare ripulendo le Napoli del linguaggio dai sacchi di materia guasta che si buttano per le vie della parola (e là rimangono) e diffondono colera e diossina ogni giorno. A volte mi stupisco: possibile, è appena uscito dall’infanzia e già in quella mente si sono ammucchiate tante immondizie da impedire alla mente di pensare! Lamento dell’incertezza di futuro: uguale città, cittadella mentale invasa dai rifiuti. I luoghi comuni non sono innocue scempiaggini senza senso. Sono banditi assetati di sangue, nemici osceni, maschere smorte, vampiri. Guardarsi da questo popolo dell’ombra. Qualunque cosa sia per essere, senza essersi ancora manifestata, è schiumare d’ombre. Stralcio due osservazioni fondamentali dal meraviglioso, inesauribile libro La filosofia degli assassini di Colin Wilson (Longanesi, 1972): «L’Occidente ha raggiunto da oltre cent’anni la società opulenta, e non è mai stato più chiaro d’oggi che l’uomo non è un essere che possa accontentarsi di benessere e comodità». All’inizio dell’ultimo capitolo ricorda il concetto fondamentale di Maslow: «La natura dell’uomo ha dei piani superiori ai quali innalzarsi». So ancora a memoria la conclusione del libro: «Privato dei significati che oltrepassano la sua esistenza quotidiana, l’uomo si riempie di disgusto e di livore, e in qualche caso passa alla violenza. E una società che non sappia aprire vie di sfogo alle passioni ideali degli uomini chiede di essere ridotta in macerie dalla violenza». La frustrazione dei giovani di questo oltreduemila che si annuncia violentissimo, e prodigiosamente insaziabile di comodità, benessere e lotterie, ha qui le sue radici. Nessuna università al mondo mi sembra in grado di poter comprendere una verità così semplice; così povera da non essere neppure discutibile. In grado di comprendere che dai binari dove corrono le locomotive dell’Alta Velocità verso il ponte crollato dove confluiscono, non arrivano voci che avvertano che fin dalla stazione anteriore alla partenza il binario era sbagliato. Fin dal 1968 le rivolte e le proteste sono e saranno segnate da una oscura barbarie, per ignoranza del fine del contendere: perché volere le stesse cose che il sistema tecno-industriale e la società dei consumi propongono è attrazione verso il proprio futuro male. Non c’è incertezza del futuro: c’è sciaguratamente la certezza che un altro futuro non sia neppure concepibile, sia di qua che di là dalle zone dove i cortei vanno a cozzare perché fondamentalmente ancora una volta incapaci di comprendere che dall’altra parte degli scudi alzati c’è uno smarrimento anche maggiore (non solo da noi ma dovunque): «Ma se gli offriamo proprio le stesse cose che pretendono!». Nel pensiero dominante non ci sono smagliature: l’opposizione legalitaria sostiene con un conformismo delirante: «È ridicolo quel che offrite! Noi gli daremo il doppio, il triplo, la certezza dalla nascita alla pensione, della casa, eccetera…». Non c’è analista politico che, sia pure senza pompa, con un secchiello di buon senso illuminato, versi altro che benzina in questi cori di demenze incrociate. Che gli sussurri la parola di Maslow: l’uomo ha dei piani superiori ai quali innalzarsi. Smaniosi di salire dietro a quella locomotiva, ne seguirete il destino. Ma la greca infallibile Némesis, chi ha studiato un po’, se l’è proprio scordata? È sempre viva. È sempre là. Se gli occhi mirabilmente si aprissero, sarebbe visibile dappertutto.

Tratto da: Guido Ceronetti, Tragico tascabile

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