Mi sia concesso dire che è per me un onore straordinario essere qui questa sera, e un grande piacere. Mi sento anche un po’ in soggezione, perché sono sicuro che tra voi ci sono persone che conoscono molto meglio di me ogni campo dello scibile di cui mi sono occupato. È vero che mi sono occupato di molti campi, e di fronte a ciascuno di voi potrei probabilmente dire che esiste un campo che egli non ha conosciuto e io sì; ma sono certo che per ciascuno di questi campi vi sono qui persone molto più esperte di me. Io non sono un filosofo colto, e la filosofia non è il mio mestiere; non sono un antropologo molto colto, e l’antropologia non è esattamente il mio mestiere.
Tuttavia io ho tentato di fare qualcosa che stava molto a cuore a Korzybski, e che sta molto a cuore a tutto il movimento semantico: ho studiato, cioè, l’àrea d’incontro tra il pensiero filosofico molto astratto e formale da una parte e la storia naturale dell’uomo e delle altre creature dall’altra. Quest’area in cui premesse formali e comportamento effettivo si sovrappongono è oggi, secondo me, di tremenda importanza. Ci troviamo davanti a un mondo che è minacciato non solo da vari tipi di disorganizzazione, ma anche dalla distruzione dell’ambiente e noi, oggi, non siamo ancora in grado di pensare con chiarezza ai rapporti che legano un organismo al suo ambiente. Ma, dopo tutto, che razza di cosa è questa che noi chiamiamo organismo più ambiente?
Rifacciamoci alla proposizione originale per la quale Korzybski va più famoso, la proposizione cioè che la mappa non è il territorio. Questa proposizione scaturì da un vastissimo fiume di riflessione filosofica, che risale alla Grecia e serpeggia attraverso la storia del pensiero europeo per tutti gli ultimi duemila anni. In tutta questa vicenda è insita una specie di grossolana dicotomia e si sono avute frequentemente profonde controversie, violenta ostilità e spargimento di sangue. Credo che tutto sia cominciato con l’atteggiamento assunto dai pitagorici verso i loro predecessori, e la controversia fu formulata così:
” Chiedi di che cosa sia fatto? Se di terra, fuoco, acqua o altro? Oppure chiedi: Qual è la sua forma? ” . Pitagora era per l’indagine sulla forma più che per l’indagine sulla sostanza. Questa controversia si è protratta nel tempo, e il partito pitagorico è stato nel complesso perdente fino a tempi recenti. Gli gnostici seguirono ai pitagorici, e gli alchimisti seguirono agli gnostici, e così via. La disputa raggiunse l’acme alla fine del Settecento, quando fu edificata e poi confutata una teoria evoluzionistica di sapore pitagorico, una teoria che implicava la Mente.
La teoria evoluzionistica della fine del Settecento, la teoria di Lamarck, che fu la prima organica teoria trasformista dell’evoluzione, fu costruita sulla base di una curiosa tradizione storica che è stata descritta da Lovejoy in The Great Chain of Being: prima di Lamarck si riteneva che il mondo organico, il mondo vivente, possedesse una struttura gerarchica, con la mente al vertice. La catena, o scala, scendeva attraverso gli angeli, gli uomini, le scimmie, giù giù fino agli infusori o protozoi, e ancora più in basso, alle piante e alle pietre.
Ciò che Lamarck fece fu di capovolgere quella catena. Egli osservò che sotto la pressione dell’ambiente gli animali cambiavano; egli naturalmente aveva torto nel credere che quei cambiamenti fossero ereditari, ma comunque essi erano per lui la prova dell’evoluzione. Quando ebbe capovolto la scala, ciò che era stata la spiegazione, cioè la mente al vertice, ora diveniva ciò che si doveva spiegare: il suo problema era di spiegare la Mente. Egli era convinto dell’evoluzione, e lì si fermava il suo interesse per essa, sicché leggendo la sua Philosophie Zoologique (1809) si vede che, mentre per il primo terzo essa è dedicata a risolvere il problema dell’evoluzione e a Capovolgere la tassonomia, il resto del libro è in realtà dedicato alla psicologia comparata, scienza da lui fondata. In verità, l’oggetto del suo interesse era la Mente. Egli si era servito dell’abitudine come di un fenomeno assiomatico nella sua teoria dell’evoluzione, e ciò lo aveva portato naturalmente al problema della psicologia comparata.
Ora, mente e forma, in quanto principi esplicativi che più di tutti richiedevano indagine, furono estromesse dal pensiero biologico nelle teorie evoluzionistiche successive, sviluppate verso la metà dell’Ottocento da Darwin, Huxley, eccetera. Vi furono ancora alcuni monelli, come Samuel Butler, che andavano affermando che la mente non poteva essere ignorata a quel modo, ma si trattava di voci isolate e tra l’altro essi non osservavano mai gli organismi. Penso che Butler non abbia mai osservato altro che il suo gatto, eppure ne sapeva sull’evoluzione più di alcuni dei pensatori più tradizionali. Infine ora, con la scoperta della cibernetica, della teoria dei sistemi, della teoria dell’informazione, eccetera, cominciamo ad avere una base formale che ci permette di riflettere sulla mente e ci permette di affrontare tutti questi problemi in un modo che era stato del tutto eterodosso dal 1850 circa a tutta la seconda guerra mondiale. Ciò di cui voglio parlare è di come si è prodotta la dislocazione della grande dicotomia dell’epistemologia sotto l’urto della cibernetica e della teoria dell’informazione. Possiamo ora dire (o, per lo meno, cominciare a dire) che cosa pensiamo sia una mente. Nei prossimi vent’anni vi saranno altre maniere di dirlo e, poiché le scoperte sono recenti, posso darvi soltanto la mia versione personale. Le vecchie versioni sono certo errate, ma quale delle revisioni sopravviverà non sappiamo.
Partiamo dal campo evoluzionistico. È ora chiaro su basi empiriche che la teoria evoluzionistica di Darwin conteneva un grossissimo errore relativo all’identificazione dell’unità di sopravvivenza nel contesto della selezione naturale. L’unità che veniva ritenuta cardinale, e intorno a cui era organizzata la teoria, era o l’individuo riproduttore o la famiglia o la sottospecie o qualche analogo insieme omogeneo di individui di una stessa specie. Ora io ritengo che gli ultimi cent’anni abbiano dimostrato empiricamente che se un organismo o un aggregato di organismi stabilisce di agire avendo di mira la propria sopravvivenza e pensa che questo sia il criterio per decidere le proprie mosse adattative, allora il suo ’progresso’ finisce col distruggere l’ambiente. Se l’organismo finisce col distruggere il suo ambiente, in effetti avrà distrutto se stesso. E può molto facilmente darsi che noi vedremo questo processo spinto alla sua reductio ad absurdum definitiva nei prossimi vent’anni. L’unità di sopravvivenza non è né l’organismo riproduttore, né la famiglia, né la società.
Il vecchio concetto di unità è già stato in parte corretto dai genetisti della popolazione, i quali hanno sottolineato che l’unità evolutiva non è in realtà omogenea. Un gruppo di individui di qualsiasi specie allo stato naturale consiste sempre in individui la cui costituzione genetica è molto varia; in altri termini la potenzialità e la prontezza al cambiamento sono già insite nell’unità di sopravvivenza. L’eterogeneità della popolazione allo stato naturale costituisce già una metà di quel metodo per tentativo ed errore che è necessario per affrontare l’ambiente.
Le popolazioni di animali e piante domestici, rese artificialmente omogenee, sono assai poco adatte alla lotta per la sopravvivenza.
E oggi è necessaria un’ulteriore correzione del concetto di unità. Insieme con un organismo flessibile, si deve considerare anche un ambiente flessibile, poiché, come ho già detto, l’organismo che distrugge il suo ambiente distrugge se stesso. L’unità di sopravvivenza è il complesso flessibile organismo-nel-suo-ambiente. Lasciamo ora da parte per un momento l’evoluzione per chiederci che cos’è l’unità mentale. Torniamo alla mappa e al territorio e chiediamoci: “Quali sono le parti del territorio che sono riportate sulla mappa?”. Sappiamo che il territorio non si trasferisce sulla mappa: questo è il punto centrale su cui qui siamo tutti d’accordo. Ora, se il territorio fosse uniforme, nulla verrebbe riportato sulla mappa se non i suoi confini, che sono i punti ove la sua uniformità cessa di contro a una più vasta matrice. Ciò che si trasferisce sulla mappa, di fatto, è la differenza, si tratti di una differenza di quota, o di vegetazione, o di struttura demografica, o di superficie, o insomma di qualunque tipo. Le differenze sono le cose che vengono riportate sulla mappa.
Ma che cos’è una differenza? Una differenza è un concetto molto peculiare e oscuro. Non è certo né una cosa né un evento. Questo pezzo di carta differisce dal legno di questo leggio; vi sono tra essi molte differenze, di colore, di grana, di forma, eccetera. Ma se cominciamo a porci domande sulla localizzazione di quelle differenze, cominciano le difficoltà. Ovviamente la differenza tra la carta e il legno non è nella carta; ovviamente non è neppure nel legno; ovviamente non è nello spazio che li separa; e non è ovviamente nel tempo che li separa. (Una differenza che si produce nel corso del tempo è ciò che chiamiamo ’cambiamento’).
Dunque una differenza è un’entità astratta.
Nelle scienze fisiche gli effetti, in generale, sono causati da condizioni o eventi piuttosto concreti: urti, forze e così via. Ma quando si entra nel mondo della comunicazione, dell’organizzazione, eccetera, ci si lascia alle spalle l’intero mondo in cui gli effetti sono prodotti da forze, urti e scambi di energia. Si entra in un mondo in cui gli ’effetti’ (e non sono sicuro che si debba usare la stessa parola) sono prodotti da differenze. Cioè essi sono prodotti da quel tipo di ’cosa’ che viene trasferita dal territorio alla mappa. Questa è la differenza.
La differenza si trasferisce dal legno e dalla carta nella mia retina; qui viene rilevata ed elaborata da quella bizzarra macchina calcolatrice che è nella mia testa. La relazione energetica è interamente diversa. Nel mondo della mente il nulla – ciò che non esiste – può essere una causa. Nelle scienze fisiche noi ricerchiamo le cause, e ci aspettiamo che queste esistano e siano ’reali’. Ma si rammenti che zero è diverso da uno, e poiché zero è diverso da uno, zero può essere una causa nel mondo della psicologia, nel mondo della comunicazione. Una lettera che non viene scritta può ricevere una risposta incollerita; e un modulo di dichiarazione dei redditi che non viene compilato può indurre a un’energica azione gli impiegati del Fisco, dal momento che anch’essi fanno colazione, pranzo, merenda e cena, e possono reagire con l’energia che traggono dal loro metabolismo. Una lettera mai esistita non può essere fonte di energia. Ne consegue, naturalmente, che dobbiamo mutare tutto il nostro modo di vedere il processo mentale e comunicativo. Le solite analogie con la teoria dell’energia che la gente prende a prestito dalle scienze fisiche per avere una base concettuale su cui cercar di edificare teorie della psicologia e del comportamento, quest’intera struttura alla Procuste, è insensata. È sbagliata.
Voglio ora tentare di dimostrarvi che la parola ’idea’, nella sua accezione più elementare, è sinonimo di ’differenza’. Nella Critica del Giudizio, Kant, se interpreto bene, afferma che l’atto estetico più elementare è la scelta di un fatto; egli sostiene che in un pezzo di gesso c’è un numero infinito di fatti potenziali. La Ding an sich, il pezzo di gesso, non può mai entrare nella comunicazione o nel processo mentale proprio a causa di questa infinità. I ricettori sensoriali non possono accettarla; la eliminano. Ciò che essi fanno è di trascegliere certi fatti dal pezzo di gesso, i quali fatti poi divengono, nella terminologia moderna, l’informazione.
Secondo me, modificando l’affermazione di Kant, si potrebbe dire che vi è un numero infinito di differenze intorno e dentro il pezzo di gesso. Vi sono differenze tra il gesso e il resto dell’universo, tra il gesso e il sole o la luna. E all’interno del pezzo di gesso c’è, per ogni molecola, un infinito numero di differenze tra la sua posizione e le posizioni in cui essa si sarebbe potuta trovare; da questa infinità noi ne scegliamo un numero limitatissimo, che diviene informazione. In effetti ciò che intendiamo per informazione (per unità elementare d’informazione) è una differenza che produce una differenza ed è in grado di produrre una differenza perché i canali neurali, lungo i quali essa viaggia e viene continuamente trasformata, sono anch’essi dotati di energia. Questi canali sono pronti per essere innescati. Si può dire addirittura che la questione è già implicita in essi. C’è tuttavia un importante contrasto fra la maggior parte dei canali d’informazione interni al corpo e la maggior parte dei canali esterni. Le differenze tra la carta e il legno sono dapprima trasformate in differenze nella propagazione della luce o del suono, e viaggiano sotto questa forma fino ai miei organi sensoriali periferici. Nella prima parte del loro viaggio essi ricevono energia nel solito modo della fisica, da ’dietro’; ma quando le differenze entrano nel mio corpo eccitando un organo periferico, questo tipo di propagazione è sostituito da una propagazione la cui energia è fornita a ogni passo dall’energia metabolica latente nel protoplasma che riceve la differenza, la rigenera o la trasforma e la passa avanti.
Quando colpisco con un martello la testa di un chiodo, un impulso viene trasmesso alla sua punta; ma è un errore semantico, una metafora fuorviante, dire che ciò che viaggia in un assone è un ’impulso’: correttamente si potrebbe dire che è la ’notizia di una differenza’.
Comunque sia, questa disparità tra canali interni ed esterni non è assoluta; si riscontrano eccezioni da una parte e dall’altra: alcune catene di eventi esterni ricevono energia da relé, mentre alcune catene di eventi interni al corpo ricevono energia da ’dietro’. In particolare l’interazione meccanica dei muscoli può essere usata come modello computazionale. Nonostante queste eccezioni, è pur vero di massima che la codificazione e la trasmissione delle differenze esterne al corpo sono assai diverse dalla codificazione e trasmissione interne, e questa diversità dev’essere menzionata, perché può indurci in errore. Di solito pensiamo al ’mondo fisico’ esterno come in qualche modo separato da un ’mondo mentale’ interno; io credo che questa distinzione sia basata sul contrasto nella modificazione e trasmissione all’interno e all’esterno del corpo. Il mondo mentale – la mente – il mondo dell’elaborazione dell’informazione – non è delimitato dall’epidermide. Torniamo ora al concetto che la trasformata di una differenza che viaggia in un circuito è un’idea elementare. Ammesso che ciò sia corretto, chiediamoci che cosa sia una mente. Diciamo che la mappa è diversa dal territorio; ma che cos’è il territorio? Da un punto di vista operativo, qualcuno con la sua retina, o con un metro, è andato a ricavare certe rappresentazioni che poi sono state riportate sulla carta. Ciò che si trova sulla carta topografica è una rappresentazione di ciò che si trovava nella rappresentazione retinica dell’uomo che ha tracciato la mappa; e se a questo punto si ripete la domanda, ciò che si trova è un regresso all’infinito, una serie infinita di mappe: il territorio non entra mai in scena. Il territorio è la Ding an sich, e con esso non c’è nulla da fare, poiché il procedimento di rappresentazione lo eliminerà sempre, cosicché il mondo mentale è costituito solo da mappe di mappe, ad infinitum? Tutti i ’fenomeni’ sono letteralmente ’apparenze’.
Oppure si può andare nel verso della catena. Io ricevo vari generi di mappe, che chiamo dati o informazioni; e, quando le ricevo, agisco. Ma le mie azioni, le mie contrazioni muscolari, sono trasformate di differenze nel materiale d’ingresso; e io ricevo dati che sono a loro volta trasformate delle mie azioni. Si ottiene così un quadro del mondo mentale che in qualche modo si è affrancato dal nostro quadro tradizionale del mondo fisico.
Questa non è una novità, e per precedenti storici possiamo risalire di nuovo agli alchimisti e agli gnostici. C.G. Jung scrisse un libriccino assai curioso, che raccomando a tutti voi, intitolato Septem Sermones ad Mortuos, Sette sermoni ai morti. Nei suoi Ricordi, Sogni e Riflessioni, Jung ci dice che la sua casa era piena di fantasmi, che erano molto rumorosi e che disturbavano lui, disturbavano sua moglie e disturbavano i bambini. Nel gergo corrente della psichiatria, potremmo dire The tutti in quella casa erano pazzi da legare, e ne avevano ottime ragioni. Se s’intorbida la propria epistemologia, si diviene psicopatici, e Jung stava attraversando una crisi epistemologica. Allora si sedette al tavolino, prese una penna e cominciò a scrivere. Appena cominciò a scrivere, tutti i fantasmi scomparvero, ed egli scrisse questo libricino. È a questo che egli fa risalire tutte le sue intuizioni posteriori. Lo firmò ’Basilide’, famoso gnostico alessandrino del II secolo. Egli osserva che vi sono due mondi. Noi potremmo chiamati due mondi esplicativi, lui invece li battezza il piero-ma e la creatura, che sono termini gnostici. Il pleroma è il mondo in cui gli eventi sono causati da forze e urti e nel quale non vi sono ’distinzioni’, o, come direi io, ’differenze’. Nella creatura, gli effetti sono provocati proprio dalla differenza. In effetti, eccoci davanti la solita vecchia dicotomia tra mente e sostanza. Possiamo studiare e descrivere il pleroma, ma in ogni caso le distinzioni che tracciamo sono attribuite al pleroma da noi. Il pleroma non sa nulla di differenze e distinzioni; esso non contiene alcuna ’idea’ nel senso in cui io impiego il termine. Quando studiamo e descriviamo la creatura, dobbiamo identificare in modo corretto le differenze agenti nel suo interno.
Direi che “pleroma” e “creatura” sono termini che si potrebbero utilmente adottare; quindi mette conto di considerare i ponti che collegano questi due ’mondi’. Dire che le ’scienze fisiche’ si occupano solo del pleroma e che le scienze della mente si occupano solo della creatura è un’eccessiva semplificazione. Le cose sono un po’ più complicate. In primo luogo, consideriamo la relazione tra energia ed entropia negativa. La classica macchina termica di Carnot consiste in un cilindro pieno di gas con un pistone. Questo cilindro è posto alternativamente in contatto con una sorgente calda e con una fredda; il gas nei cilindro si espande e si contrae quando è alternativamente scaldato o raffreddato dalla sorgente calda e dalla fredda; il pistone è perciò spinto avanti e indietro. Ma a ogni ciclo della macchina la differenza fra la temperatura della sorgente calda e quella della sorgente fredda si riduce. Quando tale differenza si annulla, la macchina si ferma.
Il fisico, descrivendo il pleroma, scriverà equazioni che traducano la differenza di temperatura in ’energia libera’, che assocerà a una ’entropia negativa’, e da lì procederà. Chi analizza la creatura osserverà che l’intero sistema è un organo di senso che è innescato dalla differenza di temperatura; egli chiamerà questa differenza che produce una differenza ’informazione’ o ’entropia negativa’. Per lui si tratta solo di un caso particolare, in cui la differenza efficace si trova a essere sotto forma di energia; ma è del pari interessato a tutte le differenze che possano attivare qualche organo di senso. Per lui, una qualunque differenza di questo tipo è ’entropia negativa’. Oppure si consideri il fenomeno che il neurofisiologo chiama di “sommazione sinaptica”: si osserva che in certi casi, quando due neuroni A e B sono connessi sinapticamente con un terzo neurone C, l’eccitazione di uno soltanto dei due non è sufficiente da sola a eccitare C; ma quando A e B sono eccitati simultaneamente (o quasi), i loro ’impulsi’ combinati faranno eccitare C.
Nel linguaggio del pleroma questo combinarsi di eventi fino al superamento di una soglia si chiama sommazione.
Ma dal punto di vista dello studioso della creatura (e il neurofisiologo deve certamente avere un piede nel pleroma e uno nella creatura), qui non si tratta affatto di sommazione: in realtà il sistema lavora per creare differenze. Vi sono due classi distinte di eccitazioni di A: quelle che sono accompagnate da eccitazioni di B, e quelle che non lo sono. Allo stesso modo vi sono due classi di eccitazioni di B. La cosiddetta ’sommazione’, quando ambedue sono eccitati, non è, da questo punto di vista, un processo additivo: è la formazione di un prodotto logico, un processo di frazionamento più che di sommazione.
La creatura è quindi il mondo visto come mente, ogni volta che questa visione sia appropriata. E ogni volta che questa visione è appropriata, interviene una complessità di un tipo che manca nella descrizione pleromatica: la descrizione della creatura è sempre gerarchica.
Ho detto che ciò che si trasferisce dal territorio alla mappa sono le trasformate delle differenze e che queste differenze (in qualche modo selezionate) sono idee elementari. Ma tra le differenze vi sono differenze. Ogni differenza efficace denota una demarcazione, una linea di classificazione, e tutte le classificazioni sono gerarchiche. In altre parole, le differenze debbono a loro volta esser differenziate e classificate. In questo contesto mi limiterò solo a un cenno sulla questione delle classi di differenze, poiché una più approfondita trattazione del problema ci porterebbe a questioni discusse nei Principia Mathematica.
Vi voglio invitare a un esperimento psicologico, fosse solo per dimostrare la fragilità del calcolatore uomo. Si osservi prima che le differenze di grana sono diverse: a) dalle differenze di colore. Si osservi ora che le differenze di dimensione sono diverse: b) dalle differenze di forma. Analogamente i rapporti sono diversi: c) dalle differenze sottrattive. Ora vi invito, in quanto discepoli di Korzyhski, a definire le differenze tra ’diverso a) ’, ’diverso b) ’ e ’diverso c)’ nel paragrafo qui sopra.
Il calcolatore situato nella nostra testa rifugge da questo compito. Ma non tutte le classi di differenze sono altrettanto scomode da trattare. Con una di queste classi avete tutti familiarità; precisamente la classe delle differenze che sono create dal processo di trasformazione per il quale le differenze immanenti nel territorio diventano differenze immanenti nella mappa. In un angolo di ogni mappa che si rispetti si troveranno specificate (di solito in parole) queste regole di trasformazione. Entro la mente umana è assolutamente necessario riconoscere le differenze di questa classe, e di fatto sono queste che costituiscono l’argomento principale di ” Science and Sanity “. Un’allucinazione, o un’immagine di sogno, è certamente una trasformata di qualcosa; ma di che cosa? E secondo quali regole di trasformazione?
Infine c’è quella gerarchia di differenze che i biologi chiamano ” livelli “. Intendo differenze come quella tra una cellula e un tessuto, tra tessuto e organo, organo e organismo, organismo e società.
Queste sono le gerarchie delle unità o Gestalten, in cui ogni subunità è una parte dell’unità successiva di più vasto ambito. E, sempre, in biologia, questa differenza o relazione che chiamo ’parte di’ è tale che certe differenze nella parte hanno effetto informazionale sull’unità più vasta e viceversa.
Avendo enunciato questa relazione fra la parte e il tutto in biologia, posso ora passare dalla nozione della creatura come Mente in generale alla questione di che cosa sia una mente.
Che cosa intendo per ’mia’ mente?
Direi che la delimitazione di una mente individuale debba sempre dipendere da quali fenomeni desideriamo comprendere o spiegare. Ovviamente c’è un sacco di canali d’informazione fuori dell’epidermide, e questi canali e i messaggi da essi trasportati devono essere considerati parte del sistema mentale ogni volta che siano pertinenti. Si consideri un albero, un uomo e un ascia, constatiamo che l’ascia fende dapprima l’aria e produce certi tipi di tacche in un preesistente taglio nel fianco dell’albero. Se ora vogliamo spiegare quest’insieme di fenomeni, ci dobbiamo occupare di differenze nel fianco intaccato dell’albero, differenze nella retina dell’uomo, differenze nel suo sistema nervoso centrale, differenze nei suoi messaggi neuronici efferenti, differenze nel comportamento dei suoi muscoli, differenze nel modo di avventarsi dell’ascia, fino a differenze che l’ascia poi produce sulla superficie del tronco. La nostra spiegazione (per certi fini) verterà sempre intorno a questo circuito. In linea di principio, se si vuole spiegare o capire qualcosa nel comportamento umano, si ha sempre a che fare con circuiti totali, completi. Questo è il pensiero cibernetico elementare. Il sistema cibernetico elementare coi suoi messaggi in circuito è di fatto l’unità mentale più semplice; e la trasformata di una differenza che viaggia in un circuito è l’idea elementare. Sistemi più complicati sono forse più degni di esser chiamati sistemi mentali, ma in sostanza ciò di cui stiamo parlando è questo. L’unità che presenta caratteristiche di funzionamento per tentativi ed errori sarà legittimamente chiamata un sistema mentale. Che posso allora dire di ’me’? Supponiamo che io sia cieco e che usi un bastone e vada tentoni. In quale punto comincio io? Il mio sistema mentale finisce all’impugnatura del bastone? O finisce con la mia epidermide? Comincia a metà del bastone? O alla punta del bastone? Tutte queste sono domande senza senso. Il bastone è un canale, lungo il quale vengono trasmesse trasformate di differenze. Il sistema va delimitato in modo che la linea di demarcazione non tagli alcuno di questi canali in modi che rendano le cose inesplicabili.
Se ciò che si vuol tentare di spiegare è un dato elemento di comportamento, ad esempio la marcia del cieco, allora a questo scopo sono necessari la strada, il bastone e l’uomo; la strada, il bastone, e così via, circolarmente.
Ma quando il cieco si siede per mangiare, il bastone e i suoi messaggi non saranno più pertinenti (se è il mangiare che si vuole capire). E oltre ciò che ho detto per definire la mente individuale, penso sia necessario includere le parti pertinenti della memoria e le ’banche’ di dati. Dopo tutto, si può dire che il più semplice circuito cibernetico possiede una memoria di tipo dinamico – non basata sulla registrazione statica, ma sulla circolazione dell’informazione lungo il circuito. Il comportamento del regolatore di una macchina a vapore all’istante 2 è in parte determinato dal suo comportamento all’istante 1 (dove l’intervallo tra l’istante i e l’istante 2 è il tempo necessario all’informazione per fare il giro completo del circuito). Si ricava dunque un quadro della mente come sinonimo di sistema cibernetico: il sistema totale che elabora l’informazione e che completa il procedimento per tentativi ed errori. E sappiamo che all’interno della mente nell’accezione più ampia ci sarà una gerarchia di sottosistemi, ciascuno dei quali possiamo chiamare mente individuale. Questo quadro d’altra parte coincide esattamente con quello cui ero giunto discutendo l’unità evolutiva. Ritengo che quest’identità sia la più importante proposizione generale che io sia in grado di offrirvi questa sera.
Quando ho considerato le unità evolutive, ho sostenuto che a ogni passo si debbono mettere in conto i canali completi fuori dell’aggregato protoplasmico, si tratti del DNA nella cellula, o della cellula nel corpo, o del corpo nell’ambiente. La struttura gerarchica non è una novità. Dianzi abbiamo parlato dell’individuo riproduttore o della famiglia o della specie, e così via. Ora ogni gradino della gerarchia dev’essere pensato come un sistema, e non come un pezzo tagliato via e visto in opposizione alla matrice circostante. Questa identità fra unità mentale e unità di sopravvivenza evolutiva è di grandissima importanza non solo teorica ma anche etica.
Essa significa, vedete, che ora riesco a collocare qualcosa che chiamo ’Mente’ come unità immanente nel grande sistema biologico, l’ecosistema. Ovvero, se traccio le frontiere del sistema a un diverso livello, allora la mente è immanente nella struttura evolutiva totale. Se questa identità fra unità mentale e unità evolutiva è grosso modo corretta, allora ci troviamo di fronte a numerosi cambiamenti nel ùostro modo di pensare. Consideriamo dapprima l’ecologia. L’ecologia è considerata oggi sotto due aspetti: c’è l’aspetto detto bio-energetico (l’economia dell’energia e della materia all’interno di un atollo corallifero, di una foresta di sequoie o di una città); e c’è poi un’economia dell’informazione, dell’entropia, dell’entropia negativa, eccetera. Questi due aspetti non vanno molto d’accordo, proprio perché le unità hanno nei due tipi di ecologia diverse frontiere. Nell’aspetto bio-energetico è naturale e opportuno pensare a unità delimitate dalla membrana cellulare o dall’epidermide; o a unità costituite da insiemi di individui della stessa specie. Queste sono allora le frontiere alle quali si possono compiere misure per determinare il bilancio energetico di tipo additivo-sottrattivo per l’unità considerata. Viceversa, l’ecologia informazionale o entropica si occupa di bilanci di canali e di probabilità; i corrispondenti bilanci sono partitivi (non sottrattivi): le frontiere debbono racchiudere, e non tagliare, i canali che interessano. Inoltre il significato stesso di ’sopravvivenza’ subisce un cambiamento quando smettiamo di parlare della sopravvivenza di qualcosa che è limitato dall’epidermide e cominciamo a pensare alla sopravvivenza del sistema di idee nel circuito. Il contenuto dell’epidermide dopo la morte viene ridistribuito casualmente e così pure i canali all’interno dell’epidermide; ma le idee, dopo ulteriori trasformazioni, possono sopravvivere nel mondo sotto forma di libri o di opere d’arte. Socrate come individuo bioenergetico è morto, ma molto di lui continua a vivere nella contemporanea ecologia delle idee. È anche chiaro che la teologia subisce un mutamento e forse un rinnovamento. Le religioni del Mediterraneo hanno oscillato per cinquemila anni tra immanenza e trascendenza: a Babilonia gli dèi erano entità trascendenti situate sulla cima delle colline; in Egitto la divinità era immanente nel Faraone; e il cristianesimo è una complessa combinazione di queste due credenze.
L’epistemologia cibernetica che vi ho presentato suggenirebbe un’altra impostazione. La mente individuale è immanente, ma non solo nel corpo: essa è immanente anche in canali e messaggi esterni al corpo; e vi è una più vasta Mente di cui la mente individuale è solo un sottosistema. Questa più vasta Mente è paragonabile a Dio, ed è forse ciò che alcuni intendono per ’Dio’, ma essa è ancora immanente nel sistema sociale totale interconnesso e nell’ecologia planetaria.
La psicologia freudiana ha dilatato il concetto di mente verso l’interno, fino a includervi l’intero sistema di comunicazione all’interno del corpo (la componente neurovegetativa, quella dell’abitudine, e la vasta gamma dei processi inconsci). Ciò che sto dicendo dilata la mente verso l’esterno. E tutti e due questi cambiamenti riducono l’ambito dell’io conscio. Si rivela opportuna una certa dose di umiltà, temperata dalla dignità o dalla gioia di far parte di qualcosa di assai più grande: parte, se si vuole, di Dio.
Se mettete Dio all’esterno e lo ponete di fronte alla sua creazione, e avete l’idea di essere stati creati a sua immagine, voi vi vedrete logicamente e naturalmente come fuori e contro le cose che vi circondano. E nel momento in cui vi arrogherete tutta la mente, tutto il mondo circostante vi apparirà senza mente e quindi senza diritto a considerazione morale o etica. L’ambiente vi sembrerà da sfruttare a vostro vantaggio. La vostra unità di sopravvivenza sarete voi e la vostra gente o gli individui della vostra specie, in antitesi con l’ambiente formato da altre unità sociali, da altre razze e dagli animali e dalle piante. Se questa è l’opinione che avete sul vostro rapporto con la natura e se possedete una tecnica progredita, la probabilità che avete di sopravvivere sarà quella di una palla di neve all’inferno. Voi morrete a causa dei sottoprodotti tossici del vostro stesso odio o, semplicemente, per il sovrappopolamento e l’esagerato sfruttamento delle riserve. Le materie prime del mondo sono limitate.
Se io sono nel giusto, allora il nostro atteggiamento mentale rispetto a ciò che siamo e a ciò che sono gli altri dev’essere ristrutturato. Non si tratta di uno scherzo, e non so quanto tempo abbiamo ancora prima della fine. Se continuiamo ad agire sulla base delle premesse che erano di moda nell’èra pre-cibernetica e che furono particolarmente messe in risalto e rafforzate durante la rivoluzione industriale quando sembravano convalidare l’unità di sopravvivenza ipotizzata da Darwin, potrebbero restarci ancora venti o trent’anni prima che la reductio ad absurdum logica delle nostre vecchie posizioni ci distrugga. Nessuno sa quanto tempo ci resti, nel sistema attuale, prima che si abbatta su di noi qualche disastro, più grave della distruzione di un qualunque gruppo di nazioni. Il compito più importante, oggi, è forse di imparare a pensare nella nuova maniera. Dirò che io non so come si faccia a pensare in questa maniera: dal punto di vista intellettuale, io posso star qui a fornirvi un’esposizione ragionata di questa materia; ma se mi metto ad abbattere un albero, penso ancora che è ’Gregory Bateson’ che sta abbattendo l’albero. Io sto abbattendo l’albero. ’Me stesso’ è ancora per me un oggetto troppo concreto, diverso dal resto di ciò che qui ho chiamato ’Mente’.
Il passaggio necessario per attuare (per rendere abituale) l’altra maniera di pensare (talché in modo spontaneo si pensi in quella maniera quando si prende un bicchiere d’acqua o si abbatte un albero), quel passaggio non è facile. Inoltre, e parlo seriamente, secondo me non dovremmo fidarci di alcuna decisione politica che provenga da persone che non hanno ancora quell’abito mentale.
Vi sono esperienze e discipline che possono aiutarmi a immaginare che effetto farebbe avere questo corretto abito mentale. Sotto l’effetto dell’LSD ho sperimentato, come molti altri, la scomparsa della distinzione tra l’io e la musica che ascoltavo. Il soggetto percipiente e la cosa percepita vengono stranamente uniti in una sola entità; questo stato è certo più corretto di quello in cui sembra che ’io ascolto la musica’. Il suono, dopo tutto, è la Ding an sich, ma la mia percezione di esso è una parte della mente. Si racconta che Bach a chi gli domandava come potesse suonare così divinamente rispondesse: ” Io suono le note in ordine, come sono scritte; è Dio che fa la musica “. Ma non molti di noi possono, vantarsi della stessa correttezza epistemologica di Bach; o di William Blake, il quale sapeva che la fantasia poetica era l’unica realtà. In tutte le età i poeti hanno sempre saputo queste cose, ma noi, gli altri uomini, ci siamo smarriti in ogni sorta di falsa reificazione dell’ ’io’ e di separazione tra 1’ ’io’ e 1’ ’esperienza Per me un altro indizio – un altro momento in cui la natura della mente mi è stata per un attimo chiara – è stato fornito dai famosi esperimenti di Adelbert Ames, Jr. Si tratta di illusioni ottiche nella percezione della profondità. Come la cavia di Ames, voi scoprite che i processi mentali coi quali create il mondo in una prospettiva tridimensionale sono dentro la vostra mente, ma del tutto inconsci e al di là del controllo volontario. Naturalmente noi tutti sappiamo che è così, cioè che la mente crea le Immagini che ’noi’ vediamo. Eppure l’esperienza diretta di questo fatto che sapevamo da sempre è un profondo trauma epistemologico.
Cercate di non fraintendermi. Quando dico che i poeti hanno sempre saputo queste cose, o che i processi mentali sono per lo più inconsci, non sto raccomandando un impiego più esteso dell’emozione o un uso più ridotto dell’intelletto. Solo che, se quello che dico qui stasera è più o meno vero, allora le nostre idee sul rapporto tra pensiero ed emozione debbono essere rivedute. Se i confini dell’ ’io’ sono stati tracciati male o addirittura sono del tutto fittizi, allora può non aver senso considerare le emozioni o i sogni o i nostri inconsci calcoli di prospettiva come ’estranei all’io’.
Noi viviamo in una strana epoca, in cui molti psicologi tentano di ’umanizzare’ la loro scienza predicando un vangelo anti-intellettuale. Essi, altrettanto ragionevolmente, potrebbero tentare di purificare la fisica bandendone gli strumenti della matematica. È il tentativo di separare l’intelletto dall’emozione che è mostruoso, e secondo me è altrettanto mostruoso (e pericoloso) tentare di separare la niente esterna da quella interna, o la mente dal corpo.
Blake osservò che ” Una lacrima è una cosa intellettuale “, e Pascal affermava che “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. Non dobbiamo essere sviati dal fatto che i ragionamenti del cuore (o dell’ipotalamo) sono accompagnati da sensazioni di gioia o di dolore. Questi ’ragionamenti’ riguardano questioni che sono vitali per i mammiferi, cioè questioni di relazione, e intendo dire amore, odio, rispetto, dipendenza, ammirazione, adempimento, autorità, e così via. Esse sono fondamentali nella vita di qualunque mammifero, e non vedo perché questi calcoli non si dovrebbero chiamare ’pensiero’, benché certo le unità di calcolo per le relazioni siano diverse dalle unità che usiamo per i calcoli sulle cose isolabili.
Ma vi sono collegamenti fra l’uno e l’altro tipo di pensiero e mi sembra che artisti e poeti si occupino in modo specifico di questi collegamenti. Non è che l’arte sia l’espressione dell’inconscio, ma piuttosto essa si occupa del rapporto tra i livelli del processo mentale. Da un’opera d’arte può esser possibile estrarre alcuni pensieri inconsci dell’artista, ma io credo ad esempio che l’analisi che Freud fa della Madonna col Bambino e S. Anna di Leonardo fallisca in pieno il suo scopo. L’abilità artistica è un combinare molti livelli mentali – inconsci, consci ed esterni -per asserire la loro combinazione. Non è questione di esprimere un unico livello.
Analogamente, quando diceva: ” Se potessi esprimerlo a parole, non avrei bisogno di danzano “, Isadora Duncan diceva una cosa senza senso, poiché la sua danza riguardava combinazioni di parola e movimento.
In effetti, se ciò che ho detto è in qualche modo corretto, l’intera base dell’estetica dovrà essere riesaminata. Sembra che noi annettiamo sentimenti non solo ai ragionamenti del cuore, ma anche a quelli che avvengono nei canali esterni della mente. È quando riconosciamo le operazioni della creatura (rispetto al pleroma) nel mondo esterno che abbiamo la sensazione della ’bellezza’ o della ’bruttezza’. La ’primula sulla proda del fiume’ è bella perché ci rendiamo conto che la combinazione di differenze di cui consta il suo aspetto avrebbe potuto attuarsi soltanto mediante un’elaborazione d’informazione, cioè mediante il pensiero. Riconosciamo un’altra mente entro la nostra stessa mente esterna.
E da ultimo c’è la morte. È comprensibile che in una civiltà che separa la mente dal corpo, si debba o cercare di dimenticare la morte o costruire mitologie sulla sopravvivenza della mente trascendente. Ma se la mente è immanente non solo nei canali d’informazione ubicati dentro il corpo, ma anche nei canali esterni, allora la morte assume un aspetto diverso. Il ganglio individuale di canali che io chiamo ’me’ non è più così prezioso perché quel ganglio è solo una parte di una mente più vasta. Le idee che sembravano essere me possono anche diventare immanenti in voi. Possano esse sopravvivere – se sono vere.
Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Parte 5 – par.4
[Questa è la conferenza per il diciannovesimo Annual Korzybski Memorial, tenuta il 9 gennaio 1970 sotto gli auspici dell’Institute of General Semantics]
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