«“La senia o noria oggi in disuso, era costituita da un sitema di secchielli inseriti in un nastro a catena che ruotavano con un congegno meccanico, a trazione animale (di solito asino o mulo) a mezzo di una manovella girata a mano per tirare dai pozzi l’acqua per l’irrigazione dei campi”, leggo nel libro di Oreste Girgenti su Bagheria, il solo libro organico che racconti la storia della cittadina.
Un uomo onesto questo Girgenti, meticoloso e molto amante della sua terra. Anche se si indovina, dietro le sue ricerche accurate, il terrore di offendere i notabili del paese, che siano sindaci, o prelati o nobili o “emeriti professori”. Un libro accurato e rassicurante, di assoluto ossequio alle “autorità”.
Nel libro compare la data del 1985 ma immagino che si tratti di una ristampa perché sembra uscito dai cassetti di uno studio dell’Ottocento. Anche le fotografie sembrano a cavallo del secolo, con il loro sobrio bianco e nero, e mostrano una Bagheria ormai inesistente, commovente nelle sue sfilate di scolaresche del Convitto Manzoni, o negli scorci di ville viste da lontano, sprofondate in mezzo agli ulivi che sono stati tagliati per lo meno da mezzo secolo.
Niente ci viene detto, da parte dell’onesto Girgenti, sullo scempio delle ville di Bagheria che pure lui ama e ammira.
“Tutto è cominciato con un esproprio voluto dal Comune di Bagheria verso la metà degli anni ‘50”, scrive Francesco Alliata, uno dei pochi fra i miei parenti che ha dimostrato una coscienza civica, assieme alla giovane nipote Vittoria. “Non fu possibile da parte di mia zia Caterina e di mio fratello Giuseppe di convincere il Comune a usare un’altra area vicina.”
Il pretesto era la costruzione di una scuola elementare. Ma chiaramente si trattava di una scusa perché la scuola si sarebbe benissimo potuta costruire un poco più in là, mentre le terre vincolate che contornavano villa Valguarnera facevano gola a chi voleva costruire in pieno centro di Bagheria. Uno dei preziosi “polmoni verdi”, uno degli spazi più deliziosamente arredati dai giardinieri di tre secoli fa è stato così brutalmente “ripulito” dei suoi alberi secolari, delle sue fontane, dei suoi vialetti, delle sue statue, delle sue balaustre in arenaria, per fare spazio a una orribile scuola che non ha nessuna vera necessità di stare dove sta.
Ma si trattava di una prima mossa, apparentemente nata da una considerazione di bene comune – chi si sarebbe opposto alla costruzione di una scuola pubblica? – per poi fare seguire le villette e i palazzi.
Che la zona fosse vincolata da precise leggi per la difesa del paesaggio, dei monumenti e del verde pubblico non preoccupa nessuno. All’esproprio segue la costruzione di una strada e poi di un’altra strada, più larga e infine ecco le lottizzazioni selvagge.
Solo nel ’65, a scempio avvenuto, per volontà del Partito comunista di Bagheria viene costruita una Commissione d’inchiesta presieduta dall’onorevole Giuseppe Speciale. Essa, dopo avere indagato con scrupolo per mesi, compila una serie di relazioni davvero angosciate e allarmanti in cui si denunciano, con nomi e cognomi, coloro che hanno contribuito allo sfacelo del primo e del secondo polmone verde di Bagheria per favorire quelli che a Roma si chiamano “palazzinari”, con la complicità a volte sfacciata, a volte sorniona e nascosta degli uomini del governo locale: sindaci, consiglieri comunali, assessori, tecnici eccetera.
“L’Amministrazione comunale”, scrive Rosario La Duca, uno dei più attenti osservatori delle cose siciliane, “ha volutamente ignorato gli strumenti di legge che erano predisposti nel tempo, ha favorito la speculazione privata, ha dato un eclatante esempio di malcostume politico e di corruzione […] Dopo villa Butera, il massacro urbanistico di Bagheria prosegue senza pietà…l’Amministrazione oggi, con questa inchiesta, viene chiamata a rispondere di fronte alla magistratura di gravi imputazioni che emergono dai risultati di una commissione d’inchiesta scrupolosa e vigile”.
Qualcuno ha accusato Francesco Alliata di esser coinvolto anche lui e di avere partecipato, attraverso sua zia e cugina Marianna Alliata, alla svendita del “polmone verde”. “Ma se anche i miei congiunti furono colpevoli”, risponde saviamente lui, “era comunque dovere di una Amministrazione comunale seria e responsabile impedirlo in quanto custode ed esecutore per legge dei vincoli imposti dallo Stato.”
Ho avuto fra le mani, grazie all’amicizia di una delle persone più oneste, amabili e intelligenti di Bagheria, il professor Antonio Morreale, appassionato studioso della storia di Sicilia, le relazioni della Commissione di inchiesta sull’attività dell’Assessorato ai Lavori Pubblici del Comune di Bagheria fatte nel 1965.
A leggere queste carte si rimane stupefatti dalla sfacciata arroganza, dalla sicurezza dell’impunità che accompagna le azioni di questi amministratori comunali senza scrupoli e senza vergogna.
“La manipolazione più grande dei terreni vincolati di Bagheria”, raccontano i commissari, “avviene nel luglio ’63.” Il personaggio che sbuca appena qualche pagina più avanti e che continuerà ad apparire dietro ogni contratto ambiguo, dietro ogni progetto, ogni lottizzazione è un altro, un certo ingegner Nicolò Giammanco. Un protagonista oscuro, minaccioso, tenace, che riesce, con le buone e con le cattive, a costringere tutti al suo volere. Ha qualcosa del demone, ma di un demone “meschino”, molto simile al personaggio segreto e infelice di Sologub.
Vengono interrogati i consiglieri comunali, i sindaci, ma nessuno sa niente, né ricorda niente. Altri si rifiutano perfino di andare a rispondere. Si barricano in casa, si danno malati, o sono “partiti”.
Uno dei segretari del Comune dichiara candidamente “di non ricordare di avere mai partecipato a una riunione della Giunta nel corso della quale si sarebbe discusso del prezzo concordato per l’area su cui sorge la scuola, nonché sull’ampliamento della zona da edificare al di là del limite segnato dal piano di fabbricazione. E soggiunge che probabilmente di questi argomenti si parlava dopo che gli argomenti regolarmente iscritti all’ordine del giorno erano stati esauriti ed egli di conseguenza si allontanava.”
Ma dove andava? nel corridoio “ a fumare una sigaretta? o si chiudeva nel cesso aspettando
che finissero di manomettere il piano approvato dai consiglieri, oppure se ne andava a casa? Questo non è detto nelle carte dei commissari.
“Il fatto”, dichiara il segretario comunale, “avveniva spesso e ricordo che tutte le volte che in Giunta venivano discussi argomenti relativi ai Lavori Pubblici la Giunta chiamava ad assistervi un funzionario dell’Ufficio Tecnico e che questo funzionario era quasi sempre l’ingegner Giammanco.”
Il sindaco, a sua volta interrogato, dice di non saperne niente. Tutti cascano dalle nuvole quasi che la Giunta fosse fatta di soli corpi vuoti, i cui cervelli e le cui memorie rimanevano fuori della porta.
Ci sono dei fatti, fra quelli raccontati dalla Commissione, che sfiorano il grottesco e farebbero ridere se non ci fosse da piangere per i risultati che ne sono seguiti, di impoverimento ai danni dei cittadini di Bagheria, di rovina delle bellezze e quindi delle ricchezze del paese, di distruzioni architettoniche e ambientali.
Il Comune, tanto per dirne una, concede a un dato momento il permesso di costruire un liceo, in piena zona vincolata, a una certa ditta Barone. La ditta comincia a buttare giù alberi antichi. Scava e butta cemento. Dopo qualche mese il Comune “si accorge” che i lavori non possono più andare avanti perché la zona è vincolata e per legge non vi si possono costruire edifici né pubblici né privati.
La ditta Barone giustamente chiede i danni. I magistrati danno ragione alla ditta e il Comune è chiamato a pagare poiché, “pur conoscendo e dovendo conoscere il vincolo di cui sopra, contrattò con il Barone in condizioni tali da rendere quanto meno prevedibile l’intervento delle competenti autorità per il rispetto del vincolo con la conseguente necessità di sospendere i lavori già iniziati e di rimaneggiare il progetto.”
Ma tutti sanno che è un incidente di percorso, non grave, che si troverà un rimedio alla pretesa di giustizia. Qualche intimidazione, qualche erogazione di denaro nero e i lavori ricominciano ben presto. In piena zona vincolata, senza il permesso della Soprintendenza vengono piantate le fondamenta di mostruose costruzioni a dieci piani. E i progetti sono regolarmente approvati da Assessori, Commissioni edili, Uffici tecnici del Comune.
In ognuno di questi progetti si trova però lo zampino dell’ingegner Giammanco. La Commissione addirittura ha scoperto che “da un sopralluogo effettuato nella zona risulta che una parte della strada è recintata con la proprietà dell’ingegner Giammanco.”
Il quale Giammanco è intanto diventato amico della principessa Alliata e con lei progetta un’altra sede di lotti “a monte della via Seconda malgrado il vincolo esistente dalla stessa Alliata portato a conoscenza del Comune in una lettera del 24.8.57”.
La Commissione scopre che spesso i permessi dell’Ufficio Tecnico, che è diretto dall’ingegner Giammanco, vengono scritti di pugno dell’ingegner Giammanco e poi firmati dal suo
capo. Inoltre “tutte le pratiche risultano incomplete: il rilascio delle licenze è irregolare, mancano i visti della Soprintendenza, manca il il deposito in Prefettura dei calcoli in C.A. [Cemento Armato], mancano tracce delle riunioni regolari della C.E. [Commissione Edilizia], manca il pagamento dei contributi dovuti per la Cassa di Provvidenza Ingengeri e Architetti”.
Tutti i contratti con privati risultano essere stati scritti alla presenza del notaio Di Liberto Di Chiara di Bagheria, “assistito dal professionista Nicolò Giammanco che è indicato dagli stessi come consulente tecnico”.
Quindi un controllo totale della situazione speculativa delle aree vincolate.
“Alcuni di questi lotti risultano inoltre acquistati dallo stesso ingegner Giammanco.”
La Soprintendenza, messa all’erta dalle relazioni della Commissione (ma possibile che non se
ne fosse accorta prima?), dichiara che non darà mai il permesso di costruire nelle zone vincolate. Ma nessuno evidentemente tiene conto delle dichiarazioni della Soprintendenza, poiché le “Amministrazioni comunali proprio in quel periodo autorizzavano la nuova lottizzazione sulla strada Seconda e lasciavano che si costruissero nuovi palazzi in zona verde”.
Insomma le relazioni della Commissione, come le parole della Soprintendenza sono rimaste lettera morta. I lavori hanno continuato a imperversare, e i due polmoni verdi di Bagheria sono stati “mangiati in due bocconi”. Al loro posto abbiamo una scuola elementare tirata su in un deserto di terra e fango, un liceo che non è mai stato finito e, per di più, un mare di case nuove, affastellate in dispregio di ogni regola architettonica e urbanistica.
Alla fine, quando le carte della Commissione sono state rese pubbliche e se ne è parlato anche sui giornali, anziché punire i colpevoli e riparare (nei limiti del possibile) ai danni fatti, si è risolto tutto con una sanatoria, un condono che mandava assolti gli speculatori con una piccola multa. Per la precisione: il signor Nicolò Giammanco è stato prosciolto nel ’73 dalle accuse di interessi privati in atti di ufficio e falsità ideologica per amnistia e per insufficienza di prove e, nel ’75, avendo lui ricorso in Appello, il suo caso è stato giudicato “inammissibile” e il signor Giammanco è stato condannato a pagare le spese di giudizio.
In questo modo le straordinarie ville settecentesche di Bagheria, che sono fra le più preziose ricchezze della Sicilia, sono state private dei loro contorni, rimanendo lì, in mezzo alle case, come testimoni intirizziti e malmenati di un passato che si ha fretta di distruggere.
Basti pensare ai famosi mostri in pietra arenaria della villa Palagonia, tanto originali e stravaganti da avere richiamato, ad ammirarli, a fotografarli, a scriverne, gente da tutto il mondo. Ma mentre una volta questi capolavori del grottesco barocco si stagliavano elegantemente contro il cielo, oggi sono come inghiottiti da una cortina di case, di appartamenti arrampicati gli uni sugli altri disordinatamente.
Ho chiesto al professor Nino Morreale se oggi l’atmosfera a Bagheria è cambiata. E lui mi ha risposto: “Finché un magistrato non si deciderà a studiare a fondo gli atti dell’amministrazione di Bagheria, e finché tutto rimane affidato alla buona volontà dei pochi cittadini che si prendono questa briga, non ci sono molte possibilità di cambiamento”.
tratto da Dacia Maraini, Bagheria, Milano 1993.
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