Emilio Sereni

41.

 IL « BEL PAESAGGIO » AGRARIO

NEL RINASCIMENTO ITALIANO

Nella seconda metà del sec. XV, e nei primi decenni del sec. XVI, l’evoluzione da noi accennata nei paragrafi precedenti, che finirà col porre le regioni dell’Italia padana all’avanguardia del progresso agrario del nostro paese, non è ancora sempre e tutta percepibile nei suoi effetti. « Giardini d’Italia » restano, per gli osservatori di questa età, in primo luogo le terre privilegiate del Mezzogiorno, della Toscana, di certi settori collinari della Venezia, con il ricamo sottile delle loro culture arboree e arbustive: le terre basse e grigie della Padana, ove ora si allargano le brumose distese dei prati irrigui, non sempre ancora attirano l’attenzione sull’eccellenza tutta tecnica del loro nuovo sistema agrario. Al nuovo gusto del « bel paesaggio » rinascimentale non resta estraneo, tuttavia, per il genio di Leonardo – che trascende il quadro delle scuole fiorentine e toscane –  il senso per la regolarità dei campi, dei canali, dei filari allineati per le pianure padane. Nel fervore di opere tutte umane e profane, che muove gli uomini di quell’età a improntare di nuove forme creatrici il paesaggio agrario, anche il paesaggio pittorico comincia per lui – come poi per la scuola veneziana ed emiliana – a conquistare una piena autonomia dei suoi valori. « Quello no’ fia universale – sentenzierà severamente Leonardo, nella sua polemica col Botticelli e coi toscani, che affettavano disprezzo per questo autonomo valore del paesaggio pittorico – quello no’ fia universale che non ama equalmente tutte le cose che si contengono nella pittura; come se uno no’ li piace li paesi »: e un geniale studio leonardesco di paesaggio – come quello da noi riprodotto nella tav. 30 – ci rivela, col reticolo lontano ma preciso che si allarga sulla pianura, un ideale paesaggistico che non è solo quello immaginoso, e quasi romantico, del primo piano, ma si concreta in opere razionali di campi regolarmente sistemati e ordinati per la cultura.

Si potrà osservare che, in questa sua particolare sensibilità e in questo suo particolare ideale di paesaggio pittorico, Leonardo resta, dapprima – fino ai veneziani e agli emiliani – quasi isolato, e semmai precursore di ancor più lontane innovazioni; mentre prevale, per ora, il gusto di un « bel paesaggio » più fastoso, più ricamato, e quasi decorativo, qual è quello del quale Benozzo Gozzoli è l’esponente più caratteristico. In realtà, le due correnti del gusto paesaggistico si sviluppano parallelamente, non senza talora confonder le loro acque, per tutto il Rinascimento ed oltre: riflettono, nell’elaborazione del paesaggio pittorico come di quello storicamente reale, tecniche pratiche, realtà sociali e culturali diverse, che abbiamo già cominciato a sfiorare nel raffronto fra gli elementi costitutivi del paesaggio agrario toscano e di quello padano. Si potrà rilevare, così, come proprio alla sensibilità di Leonardo sembrino accostarsi, sovente, quei pratici e quegli scrittori di cose agrarie, che del nuovo paesaggio della Padana sono i più attivi artefici. E sarà il Gallo, ad esempio, che ci parlerà de « le possessioni belle da vedere, comode nel coltivare » e – con uno stile tutto leonardesco – di campi « che si squadrino di pezzo in pezzo, non più lunghi di quaranta cavezzi l’uno, ne manco di trenta, o di venticinque, facendo i fossi attorno, e piantando da ogni lato gli arbori ». « Drizzare vie, quadrare campi, scavezzare tornature, carrettare cavedagne, uguagliare prati, fare ponti, argini, canali e chiaviche per adacquare » sono le opere che, per il Gallo, han fatto della sua pianura bresciana « tutto un bel giardino». Opere, certo, non ignote anche ai pratici dell’agricoltura toscana: ma che diversità di tono quando un toscano, l’Alamanni, ci dice la sua concezione della tecnica e del « bel paesaggio » agrario! Non è più quel geometrico « quadrar campi », non è più quella violenza fatta alla Natura ostile per strapparle i suoi tesori, ma anzi un secondarne le forme

e ‘n quella parte, ove natura inchina drizzar il passo, perché l’arte umana altro non è da dir ch’un dolce sprone, un corregger soave, un pio sostegno un esperto imitar, comporre accorto, un sollecito atar con studio e n’gegno la cagion natural, l’effetto e l’opra: e chi vuol contro andar del tutto a loro schernito dal vicin s’affanna indarno.

E per ora, certo, sarà questa più facile maniera toscana di elaborare il paesaggio pittorico, come quello agrario, che prevarrà, e darà i suoi splendidi frutti; ma è l’altra, quella più difficile e faticosa di Leonardo, che già segna le vie dell’avvenire.

 42.

 IL « BEL PAESAGGIO » IN TOSCANA

Quale che sia la diversità delle correnti culturali e dei gusti, cui l’elaborazione del « bel paesaggio » s’ispira nel Rinascimento, non sfuggirà al lettore ciò che accomuna questi paesaggi rinascimentali di contro a quelli (ed anche ai più elaborati) dell’età classica. Questa cura geniale, questa libera invenzione dei più minuti particolari, della più intima tessitura del « bel paesaggio » agrario, non può esser l’opera di un lavoro servile: presuppone, certo, uno sviluppo delle forze produttive sociali già di molto superiore a quello dell’antichità classica, ma rivela anche e soprattutto nuovi rapporti tra gli uomini, un apporto creativo che non può essere quello di un proprietario di schiavi e dei suoi servi alla catena, ma ha da essere quello di ogni livellario, di ogni colono, di ogni mezzadro.

Nel particolare del Viaggio dei Magi di Benozzo Gozzoli – da noi riprodotto nella tav. 33 – questo apporto individuale al quadro del « bel paesaggio » agrario toscano del Rinascimento risulta con tanto maggior rilievo, proprio per la sua apparente casualità: per inserirsi organicamente in una composizione così fastosa e sovrabbondante, ogni singolo elemento del paesaggio deve essere elaborato dal contadino e dall’architetto, dal boscaiolo e dal giardiniere secondo un gusto individuale sicuro, già educato alla spontanea congruenza di iniziative disperse e contrastanti. Questa spontanea congruenza dà il suo fascino non solo alla fiabesca composizione di Benozzo, ma al paesaggio agrario stesso del Rinascimento toscano; ha improntato, e sovente a tutt’oggi impronta di sé, tutte le forme della vita di quella regione, e nel gusto delle sue popolazioni ha lasciato una traccia duratura. Ma in quella squisita spontaneità è anche il limite storico del bel paesaggio rinascimentale toscano: che già nel fasto della composizione di Benozzo, d’altronde, tende a dissolversi in motivi puramente decorativi.

Può darsi, così che ai fini della composizione del « bel paesaggio » agrario, come di quello pittorico, le ripide pendici verso l’alto, a destra nella figura, dovessero essere liberate dal bosco che le copriva e le difendeva dall’erosione delle acque. Può darsi, anche, che – a parte ogni considerazione estetica – quel colono non trovasse, al piano, tra la foresta e i giardini del castello, un podere per impiegare la sua opera e per aver e di che sfamarsi. Ma quelle ripide pendici, intanto, egli le ha dissodate e ridotte a cultura: e ora i solchi a rittochino preparano, in questo bel paesaggio, una rapida degradazione che può venirgli fatale.

Della bella, intricata, fastosa complessità del paesaggio toscano, per intanto, quest’opera di bellezza sembra darci già l’espressione culminante. Siamo al limite – estetico e storico – della individuale spontaneità (per educata e scaltrita che sia) nell’elaborazione del paesaggio. Oltre questo limite, del suo ormai complesso intrico la individuale spontaneità non basterà più a dominare e ad ordinare le forme: sicché si vedranno degradate, o disgregate queste forme stesse ch’essa aveva genialmente elaborate, e decaduta la sua prima rivoluzionaria efficacia.

 

 

tratto da Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Roma-Bari 1961.