Eugenio Montale

Alberi

   In Israele gli alberi si direbbero d’importazione. Non è possibile che cipressi così alti siano nati da poco in uno Stato giovane e fino a pochi anni fa notevolmente brullo. Anche gli stupendi aranceti della Galilea suggeriscono idee di pianificazione. Ciò non toglie che la Galilea sia molto bella e che tutto il paesaggio israeliano dimostri la presenza di una stirpe forte e risoluta. Che cosa accadrebbe se tutti gli Ebri del mondo convergessero qui e ricostruissero il loro tempio? Il loro impero dilagherebbe in tutto il vasto territorio oggi occupato dagli Arabi: i quali, feroci sporadicamente, sono però incapaci di organizzarsi e di credere che l’uomo è nato per lavorare. Ma gli Ebrei della Diaspora non avrebbero nulla da guadagnare venendo qui: intendo nulla da guadagnare come collettività universale. Il destino del popolo di Israele sembra quello di essere disperso e insieme unificato, ma non in senso territoriale. La sua vera unità l’ha formata una volta per tutte Faraone – e chi legge la Bibbia non fatica a rendersene conto.

   Ma chiudo la divagazione e torno agli alberi. I più antichi alberi del mondo dovrebbero essere quelli dell’orto di Getsemani: sei o sette ulivi dai tronchi incredibilmente forti e nodosi, autentici laocoonti arborei. Un botanico non avrebbe però difficoltà a stabilirne l’età, che non è certo di duemila anni. Meno dubbia è invece l’ubicazione: si sente che i loro predecessori erano lì e non in altro luogo, perché altro spazio non c’è. Informazioni più vaghe corrono invece sui terebinti e sui sicomori che molti affermano di aver veduto in vari luoghi, senza precisare dove e come. Questi alberi hanno in ogni modo una loro vita perenne nelle pagine dei poeti. In Italia il sicomoro dev’essere l’albero di Giuda. Ma non ne sono certo.

 1964

Tratto da: Eugenio Montale, Fuori di casa, Milano 1975.

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