In Italia non tutti sanno che la maggior parte del patrimonio forestale (quello pubblico, e non ricadente in parchi nazionali, altre riserve e aree circoscritte), dipende dal Ministero delle politiche agricole, altrimenti detto Mipaaf.
Viene da chiedersi: cosa hanno in comune le foreste con i campi per la produzione agricola?
Il motivo è presto detto: i boschi vengono valutati in primo luogo per i loro aspetti produttivi.
Con questa petizione intendiamo chiedere una modifica del succitato paradigma, al fine di salvaguardare le foreste nella loro accezione di sistemi complessi, scrigno di preziosa biodiversità, nonché di speranza per il futuro delle prossime generazioni.
Non stiamo parlando di luoghi qualunque, ma di spazi vitali che serbano la memoria e il legame con gli aspetti più reconditi della nostra essenza, depositari di valori intrinseci di natura etica, storica, spirituale e paesistica.
Un patrimonio inestimabile che rischia di degradarsi ulteriormente da quando Alfonso Alessandrini definì l’Italia «Un Paese ricco di boschi poveri».
Eppure, nonostante una sempre maggiore presa di coscienza dei problemi ambientali da parte dell’opinione pubblica, in Italia si continua a ossequiare una visione improntata al riduzionismo economico che degrada le foreste a materia inerte da sfruttare.
Se gli interessi della filiera del legno sono ampiamente noti, cosa ben diversa accade per l’utilizzo dei boschi a fini energetici: occorre infatti rimarcare che la direttiva UE 2018/2001 sulle rinnovabili contempla anche l’uso di biomasse forestali.
Ora, sebbene frutto delle migliori intenzioni, l’aumento del target 2030 sulle rinnovabili rischia di incrementare questa pratica, sconfessata da un documento sottoscritto da circa 800 scienziati, nonché dall’European Academies Science Advisory Council, come pure da un recente studio pubblicato su “Nature”.
È importante sottolineare che gli effetti della gestione forestale sono rilevanti e possono alterare profondamente il bilancio del carbonio degli ecosistemi boschivi.
Le foreste funzionano come serbatoi, diventando fonte o pozzo in riferimento alla direzione che assumono i flussi di scambio con l’atmosfera: una fonte aumenterà la quantità di carbonio nell’atmosfera (emissioni di CO2), mentre un pozzo la catturerà (sequestro di CO2).
Da questo punto di vista, i boschi soggetti a taglio ceduo, da pozzo diventano sorgenti di CO2.
Rispetto invece ai dati sempre più incoraggianti sull’aumento della superficie forestale diffusi dal Mipaaf, occorre rimarcare che il computo in oggetto non comprende le volumetrie delle biomasse forestali, che risultano molto ridotte a seguito dei tagli. D’altra parte, il terzo inventario forestale nazionale (INFC 2015) non si è ancora concluso poiché non sono stati completati i rilievi a terra: in assenza di questa informazione è impossibile calcolare la densità e il volume complessivo.
Ogni stima è dunque provvisoria e non definitiva.
E a riprova dello “stato dell’arte” vi è l’approvazione da parte del Governo Gentiloni del Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali (TUFF), che benché privo dei decreti attuativi, sancisce di fatto l’ingresso dell’interventismo gestionale all’interno del nostro patrimonio boschivo.
Non che la situazione attuale sia più confortante: tutt’altro.
Già perché nel silenzio generale dei media, e in un contesto di crisi ambientale che sta mobilitando le coscienze e i governi di tanti Paesi, l’Italia è oggetto di un vero e proprio sacco boschivo, a causa di pratiche di “gestione” che prevedono un massiccio ricorso al taglio (spesso eseguito nel peggiore dei modi: cosiddetto ceduo “stecchino”), passando poi per la pressione delle succitate centrali a biomasse – peraltro lautamente finanziate con contributi pubblici –, senza contare i tagli abusivi che si succedono senza sosta (persino nei parchi nazionali, con particolare riferimento a quelli calabresi), e che generalmente trovano nella mera contravvenzione la loro sanzione giuridica.
Si aggiunga pure una nuova strategia adottata da molte amministrazioni comunali: la vendita di porzioni boschive – con conseguente abbattimento – al solo scopo di fare cassa. Emblematica la vicenda del Comune di Paola (CS): una superficie di 22 ettari di faggeta verrà tagliata per ricavare 54000 euro (N.B. A seguito di proteste e petizioni, il Sindaco ha poi deciso di fare marcia indietro).
Per tutte queste ragioni chiediamo a gran voce l’abbandono di una anacronistica gestione boschiva tarata sul produttivismo, a vantaggio di una improntata a criteri prettamente conservativi.
Troppo alta la posta in gioco: le foreste sono ecosistemi complessi adattativi e come tali richiedono una pianificazione e gestione adeguate, sia per garantire la conservazione dei boschi cosiddetti “funzionali”, sia per quanto concerne il restauro di quelli degradati.
Per far ciò, occorre innanzitutto che la delega sulle foreste passi dal Mipaaf al dicastero dell’Ambiente, e allo stesso tempo che quest’ultimo riceva in dote le giuste professionalità nonché gli strumenti adeguati per poter operare al meglio.
Ciò non vuol dire farsi promotori di richieste che hanno il sapore dell’utopia romantica: riteniamo infatti che la silvicoltura, mediante un processo di graduale transizione, debba essere sostituita dall’arboricoltura, cosicché una buona parte del fabbisogno di materia legnosa potrà provenire da foreste messe a dimora in spazi agricoli non utilizzati (come del resto già accade con la pioppicoltura).
Altresì pensiamo che il Ministero dell’Ambiente, in virtù delle nuove competenze, potrà acquisire al demanio dello Stato i cosiddetti “boschi di protezione”, ovverosia quelle formazioni forestali che difendono il territorio da valanghe e dissesto idrogeologico, in modo da sottrarli a qualsiasi ipotesi di taglio.
Infine, riteniamo prioritario riportare la competenza sui boschi pubblici e privati da regioni, province e comuni allo Stato centrale: dal momento che il patrimonio arboreo rappresenta un interesse strategico nazionale, esso va sottratto ai meccanismi di riduzione al criterio dell’utile.
Prima che sia troppo tardi.
Liberi pensatori a difesa della natura
Testo di Diego Infante | Firma le petizione
ENGLISH VERSION
In Italy, not everybody knows that most state-owned forests depend on the Ministry for Agriculture.
You might wonder what have forests in common with arable land. And the answer is very simple: woods and forests, as well as arable fields, are primarily valued as economic assets.
Hereby, we ask a radical paradigm shift to protect our forests as complex natural systems with all their invaluable biodiversity and as an indispensable source of hope for future generations.
Forests are vital spaces that conserve our memory, and links with the most deep aspects of our essence—places that carry intrinsic ethical, historical, spiritual, and aesthetic values.
An invaluable heritage constantly degrading ever since Alfonso Alessandrini defined Italy “A rich country with degraded woods.”
Yet, although the general public is becoming aware of environmental issues, in Italy, the economical system keeps being focused on exploitation of woods and forests, which are seen as mere inert matter.
The interests of logging companies are well known, but our woods are also used in order to produce energy. We need to highlight that the EU 2018/2001 directive on renewable energy includes the use of biomass as a possible source.
So, even though the target for renewable energies within 2030 was raised, it actually implies the risk of also increasing the amount of energy produced by using biomass, to the detriment of our woods and forests. A document signed by about 800 scientists, as well as the European Academies Science Advisory Council, and even a recent study published on “Nature” state that the use of biomass to produce energy is not, in fact, environmentally sustainable.
It is also important to highlight how the management and exploitation of our forests can considerably alter their balance of carbon.
Forests work as carbon tanks, becoming either sources or wells, according to their relation to the atmosphere: a source will increase the amount of carbon in the atmosphere (CO2 emissions), whilst a well will catch it (CO2 sequestration).
In light of the above, woods subject to coppicing become sources of CO2.
With regard to the encouraging data broadcast by Mipaaf about the widening surface of our forests, it’s worth pointing out that the computation doesn’t include the volume of biomass, which are considerably reduced as a direct result of coppicing. On the other hand, the third national inventory of forests (INFC 2015) has not been concluded yet, due to the lack of complete measurements on the ground. Without those data it is impossible to calculate the actual density and volume of our forests.
In light of the above, every estimate happens to be provisional and far from definitive.
The approval for the still incomplete so called “Testo Unico in Materia di Filiere Forestali” (TUFF) from the Gentiloni government, establishes, in fact, the right to exploit our woods and forests.
The situation is far from comforting. In the current global environmental crisis, which is mobilizing people and governments from all over the world, Italy, is subject to an actual looting, perpetrated by those who claim to properly manage our woods and forests. And that’s happening with the complicity of mass media, which avoid talking about the subject.
The so called “management” of our forests includes practices such as coppicing, the use of biomass to generate electricity (hugely funded with public money), and relentless illegal logging (even in national parks, especially in Reggio Calabria). In particular, the illegal logging is generally punished with a simple fine.
A new strategy adopted by many municipalities in order to get money fast, includes selling extensive portions of forests to logging companies.
What happened in the municipality of Paola (CS) is iconic: the mayor wanted to log a 22-hectare beech forest in order to get 54000 euros. After the backlash of residents followed by protests and petitions, the mayor changed his mind.
In light of the above, hereby we ask to quit exploiting our woods and forests in favour of a policy aimed to protect wildlife.
It isn’t worth it: forests are complex ecosystems, thus they require an adequate treatment to both protect and restore them.
In order to do so, it is necessary that the responsibility for those areas pass from the Ministry for Agriculture (Mipaaff) to the Ministry for Environment.
That’s not just some sort of romantic utopia. We want to gradually stop cutting trees from woods and forests and start planting them in unused agricultural areas, so that most wood comes from those already exploited areas instead of coming from natural wild forests.
The Ministry for Environment with its new powers will also be responsible for those woods that protect us from landslides, preventing logging companies from cutting them.
Last but not least, we see it as a priority that woods and forests, currently under the control of regional administrations, get under the control of the national Government because we firmly believe that wild areas are national strategic assets, not local economic ones. And by doing so we hope to free our woods and forests from a relentless mechanism of exploitation that sees revenue as the only target.
Before it’s too late.
Text by Diego Infante | Sign the petition
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