Kirchhorst, 18 aprile 1939
In giardino, scavato sentieri. I vermi che la vanga, affondando, fa a pezzi si attorcono saltellando – il dolore, di fronte a simili visioni, ci tocca per un momento, come con la punta di un bulino. Appare lampante perché il dolore trovi il suo simbolo nel verme, e perché l’uomo, fintanto che soffre inerme, sia paragonato a esso. C’è anzitutto la posizione, tutta a terra, che dà concretezza fisica all’idea di bassezza senza offrire, come alla serpe, la gratificazione della sveltezza nell’incedere, delle squame e delle armi d’attacco. E poi la pelle nuda, glabra e assolutamente priva di difese, la cecità e soprattutto la torsione, che trasforma l’intero corpo in uno specchio di vulnerabilità.
Sempre, vedendo un verme che si attorciglia, si prova un misto di ribrezzo e compassione, proprio come alla vista di un maiale, cui il verme sembra apparentato nel modo di soffrire. Suppongo che sia questa la liquidazione dell’esistenza spensierata – il verme vive nella terra grassa come nel paese di Cuccagna, e il maiale si è fatto degradare al ruolo di robusto mangione per il quale mostrava, se non proprio gradimento, per lo meno un’inclinazione. D’altra parte ci sono animali che si vedono soffrire con grande dignità.
Tra gli altri vermi che vivono da predatori, come gli erranti, e in particolare le sagitte, vi sono specie di bellezza superiore, che ho spesso ammirato in prossimità del mare. In questi casi si vede come sia lo stile di vita, e non già la parentela del sangue, a nobilitare. Il ceppo dei vermi è misterioso, e dovrebbe essere interpretato da occhi capaci di leggere la scrittura ideografica – vi è inscritto molto di quanto è in noi di natura sessuale.
Ancora sulla bassezza del dolore: non è forse vero che anche tra gli uomini siano inflitti aspri tormenti solo a caratteri molto ben determinati? Che certe atrocità siano cioè più facilmente dirette contro tipi che hanno un rapporto particolare con la sostanza materiale e corporale del soffrire? Proprio come ci sono femmine capaci di suscitare manifestamente la lussuria, così esiste un habitus che provoca il bruto alla violenza. Quel tipo di angoscia e di dolore sarà spesso riscontrato in persone completamente possedute dalla smania per i piaceri grassi e opulenti. I più esposti al rischio sono, per esempio, quelli che il popolo chiama vampiri, e le prostitute attraggono i carnefici. Anche la paura nuda e cruda si attira sempre addosso cose terribili. Così chi si dà alla fuga induce all’inseguimento; e così chi trama il male spia la sua vittima – l’ultima barriera cadrà non appena riconoscerà in lei un segnale di timore. Perciò è molto importante in caso di incontri sospetti, per esempio quando qualcuno ci rivolge la parola in un bosco, mantenere la sicurezza. In quanto uomini, portiamo impresso il sigillo della superiorità, assai difficile da infrangere, a meno che non siamo noi stessi a intaccarlo, e il cui potere è avvertito anche dagli animali. Basta sapere – come Mario – di essere inviolabili.
Kirchhorst, 21 aprile 1939
Il boschetto dietro casa nostra si chiama «Fillekuhle», e un tempo era il luogo dove si sotterrava il bestiame morto: fillen è appunto una forma verbale caduta in disuso che stava a significare «togliere il pelo», «scuoiare». Potrei forse impiegare questa parola nelle Scogliere di marmo: là dove si deve descrivere lo scorticatoio. Del resto anche qui, sebbene da lungo tempo non vi si seppellisca più nulla, aleggia l’alito dei luoghi infausti. Alla casa non vi si seppellisca più nulla, aleggia l’alito dei luoghi infausti. Alla casa, all’immagine dell’insediamento umano, appartiene sempre un posto del genere, dislocato per lo più ai margini della vista.
Finito: le lettere di Erasmo, un dono dell’astrologo Lindemann. Molte di esse, soprattutto quelle scritte in gioventù, sono imbevute di un’essenza ciceroniana che sempre mi disturba negli epistolari. Il fuoco del retore non riscalda e il piacere vanesio del discorso distrugge l’elemento comunicativo che deve in tutti i casi costituire il nocciolo della lettera. È sempre spiacevole per il destinatario notare che l’autore lo sta prendendo a pretesto per fare degli esercizi di fioretto. Certo poi vengono anche descrizioni molto belle, come quella di Tommaso Moro, del quale loda la vita domestica come una felicità predestinata di cui chiunque vivesse con lui poteva godere. Nel suo incontro con Lutero si manifesta la differenza tra gli spiriti che vivono nell’alveo dell’ordine e gli spiriti straordinari. Lo stesso Erasmo ha ben espresso questa distinzione in un passo di una lettera indirizzata a Caesarius: «Sono arrivato fino al limite estremo, quasi fino alle rive del mare; tradirò me stesso se non mi spingerò tra i flutti?» L’ingresso negli elementi gli è così precluso. La differenza che corre tra loro è anche quella tra due spiriti dei quali l’uno è fondamentalmente critico, e l’altro non conosce esitazioni. Considerando questi due schermitori si riconosce anche come erroneo quel passo in cui Nietzsche rimpiange che la Chiesa non sia giunta ad autosublimarsi. Anche il sistema storico, come il cosmo, si distrugge periodicamente tra le fiamme per potersi conservare. In maniera del tutto simile mi sono a volte augurato che la successione dei sovrani francesi proseguisse fino a oggi; vivremmo allora in un raffinatissimo Rococò e, invece della tecnica, avremmo una sofisticata chinoiserie. Ma lo spirito del mondo tollera i lavori di filigrana solo laddove un poco tentenna – così come dobbiamo le cose più raffinate agli attimi in cui quello spirito era distratto.
Tratto da: Ernst Jünger, Giardini e strade, Guanda Editore
Join the Discussion