Gilles Clément

Il genio naturale

Se, in nome della salvaguardia della diversità, ovvero della vita sulla Terra, l’informazione biologica deve prendere il sopravvento sulla forma come cardine nel progetto di paesaggio o di giardino, l’artista deve allora usare strumenti diversi per far emergere la sua opera, e, prima ancora, deve mutare sguardo. Considerare la densità del vivente, in un terreno incolto, come un sistema ordinato nel quale ciascun essere e ciascun comportamento rispondono a una logica biologica per entrare in dialogo – o anche solo per renderlo possibile –, significa rinunciare alla violenza della formalizzazione architettonica per iniziare un dialogo in cui il giardiniere, prima di intervenire, interpella il genio naturale.

Per genio naturale si deve intendere la capacità, propria delle specie animali e vegetali, di regolare naturalmente i loro rapporti al fine di potersi sviluppare al meglio nella dinamica quotidiana dell’evoluzione. La natura, nella sua complessità, ha messo a punto un considerevole numero di segnali, avvertimenti, innescatori di reazioni a catena, regolatori della sovrappopolazione, aiuti e predazioni che «giardinano» il territorio senza alcun intervento umano. Quest’orgia energetica avviene in realtà in un’economia di scambio, al ritmo di una musica naturale che chiunque può capire: il verso di un uccello, la stridulazione di un ortottero, il vento tra le foglie veicolano l’informazione criptata di un predatore o di un amico, mentre la distanza tra le fronde lascia vedere il cielo (fig. 6). Tutto è messaggio.

Tutta energia gratuita: il giardiniere non deve far altro che mettersi in ascolto, per approfittarne, non deve far altro che capire prima di agire, limitando così il suo intervento. Fare il più possibile con, il meno possibile contro. L’artista del giardino futuro dovrà così accettare la formidabile collaborazione della natura quale coautrice della sua opera. Non potrebbe certo essere l’autore dell’insieme, bensì, e soltanto, d’un frammento di spazio, e, per far durare la sua opera, deve adattarsi al tempo, imprimendo una flessione alle direzioni prese dalla natura, senza tuttavia contraddirle.

Se si volesse raffigurare la parte attiva dell’artista nell’avventura del giardino, bisognerebbe ridurla a un tratto, forse addirittura a un punto posto nell’insieme sontuoso e ampio del territorio lasciato alla natura. Il giardino è sempre il risultato dell’azione combinata dell’uomo e della natura, ma qui la spesa d’energia contraria è ricondotta alla sua più debole espressione: dev’esser collocata al posto giusto perché l’insieme dovuto al genio naturale divenga finalmente giardino. Qui interviene l’eccellenza dell’artista: egli esercita la sua arte nel trattamento dei limiti.

L’artista del paesaggio felice, capace di conservare e sviluppare la vita nel suo giardino, non interferisce nel rapporto naturale degli scambi, ma lo valorizza mediante un’appropriata scenografia. Uno zoccolo, una demarcazione, un dislivello, un limite – anche fitto come la bordura di un bosco – la cui forma si accordi sia al senso del progetto che si è proposto sia al rispetto della vita. Come si diventa artista dei limiti? Assegnare all’artista i soli interventi sui limiti non significherà confinarlo a un compito minore?

Entriamo qui nel campo allargato dell’immateria, nel territorio della conoscenza. In realtà, è ben più difficile trattare il limite in modo impercettibile, lasciando che il genio naturale si esprima al suo meglio, che non intervenire con violenza sull’insieme vivente al fine di far emergere unicamente il gesto finale dell’architettura. La prima strada presuppone infatti un sapere. L’intervento specifico e marginale del giardiniere dei limiti nasce dal riconoscimento preciso delle specie e dei comportamenti in gioco: osservare, determinare e comprendere il vivente. Ma, oggi, dove si viene addestrati all’osservazione, alla determinazione e alla comprensione del vivente? Esiste forse una scuola del giardino planetario, una scuola del genio naturale, un sistema educativo a disposizione di tutti ove la comprensione del vivente – a partire dall’alfabeto: saper nominare (ciò che ha un nome esiste, ciò che non ha un nome non esiste) – prevalga su tutte le altre discipline?

A parte rarissime eccezioni, in Francia questo sistema educativo alla portata di tutti non esiste. La botanica (l’alfabeto della flora), progressivamente abbandonata, viene insegnata, e in termini specifici e parziali, soltanto negli istituti specializzati per la formazione agricola, orticola e paesaggista. Le discipline fondamentali per la comprensione dell’ecosistema – l’entomologia e l’ornitologia, per esempio –, assenti nell’insegnamento ufficiale, sono materia per dilettanti ed eruditi isolati, come se la natura, troppo complicata, dovesse definitivamente restare appannaggio degli iperspecialisti o dei poeti9.

Abbiamo cambiato regno, abbiamo cambiato era, l’Antropocene ci assimila d’ufficio alla natura. Se non avremo l’umiltà di accettare questa assimilazione, continueremo a crederci distanti dalla natura per poterla dominare, vale a dire, in definitiva, per distruggerla. Nel mo mento in cui riconosciamo di essere al termine della catena di dipendenza che ci lega alla natura, non possiamo far altro che agire in un rapporto di cooperazione e di condivisione con essa.

Tratto da: Gilles Clément, Giardini, paesaggio e genio naturale, trad. it. Giuseppe Lucchesini, Macerata 2013.

Titolo originale Jardins, paysage et génie naturel; prima edizione Parigi 2012.

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