Una sera di fine maggio un uomo, che occasionalmente s’interessa di Coleotteri pur senza definirsi propriamente entomologo, passeggia sul crinale che fa da spartiacque tra Valdarno e Chianti. Lungo la strada bianca e ocra i quercioli dalle foglie come corone verdi protendono le loro ombre che, dato il contesto, è appropriato definire terra di Siena bruciata. All’uomo, che abitualmente abita in periferia e si occupa professionalmente di affari di finanza, i tronchi paiono ricamati di licheni, mentre le ginestre gialle e profumate tingono di giallo anche la scura lama dei cipressi. Da una parte appare la cavalcata di colline e di dossi serrati, adorni d’oro, dall’altra s’apre la valle dell’Arno col massiccio argenteo del Pratomagno e i suoi ruscelletti danteschi. Polvere. Sente sapore di polvere sui denti e le gengive mentre attraversa la macchia di rose canine mézze, cisti spampanati e verdi felci selvatiche. Torna sulla strada e trova un cerambice che gli è familiare e che da ragazzo rispondeva al nome di Dorcatypus tristis, ma che le revisioni tassonomiche hanno riclassificato. Lo vede incedere mollemente strascicando fra i trucioli di ghiaia color avorio; ne vede prima l’ombra, poi le antenne. Il cerambice si finge morto e in tanatosi mostra all’aria i tarsi larghi come pantofole, incipriati. Osserva la livrea cinerina, i quattro ocelli neri sulle elitre brune. Non è un caso se il “Linneo della Carniola”, al secolo Giovanni Scopoli, nel 1772, lo avesse battezzato come Cerambyx pulverulentus… Più avanti, seguendo la strada bianca, s’arriva all’antico monastero. Il sole inizia a calare sui vigneti. L’uomo lascia l’insetto al suo posto, all’interno di questa cornice, e inizia a grattare il suolo, la terra, rompendosi le unghie fragili di cittadino, screpolandosi le mani. Cerca forse qualcosa, se raspa come un segugio, svellendo radichette e erbe secche fino a giungere al galèstro. Vorrebbe avere le mani di un contadino, vorrebbe dimorare in terra come la larva del Dorcatypus, dormire tra le radici del Lapazio o dell’Artemisia e non desiderare nient’altro. Vorrebbe essere il cerambice. Non vorrebbe mai, per nessuna ragione, dover tornare in città.
Tommaso Lisa, IL CERAMBICE LUNGO IL SENTIERO, Herophila tristis ( Linneo, 1767 )