Da alcuni anni il biologo svizzero Max Spinder passa le sue vacanze a Emplos, un cumulo di casette bianche appollaiate attorno al grande parco dell’albergo “Peloponeso”, sulle rupi del promontorio di Antonosia. La scorsa estate, sotto i pini centenari del parco, egli conobbe l’archeologo americano John Harris Altenhower, che si trovava a Emplos per studiare il vicino sito delle rovine del tempio di Kanos e valutare l’opportunità d’impegnare l’Università di Cranstone in un intensivo programma di scavi. I due, che hanno in comune l’amore per la Grecia e la passione per l’esplorazione di mondi sconosciuti, presto divennero amici.
Una mattina decisero di fare una passeggiata lungo il sentiero che serpeggia, a picco sul mare, fra pini e mirtilli, fiancheggiando sulla destra, a quasi tre chilometri da Emplos, i candidi frammenti del tempio che, purificati dal sole, giacciono disseminati nella brughiera profumata. I due parlavano del loro lavoro di ricerca e lo Spinder deplorava l’incredulità con cui la scienza ufficiale, e persino alcuni colleghi di laboratorio, avevano accolto le notizie di fatti tuttora inspiegabili ma che egli era riuscito a verificare sperimentalmente. Giunti vicino alle rovine di Kanos, Altenhower lo interruppe e osservò che proprio nel luogo dove stavano ora passeggiando si era svolto, più di duemila anni prima, il famoso dialogo fra Eroclito e Teeteto, immortalato da Platone. Egli prese sotto braccio l’amico, come se volesse rivivere la scena, e con gesto ironicamente teatrale declamò la frase chiave del dialogo: «Ma se tu, Teeteto, dovessi scorgere fra i mirtilli una bacca bianca come una perla e quadra come un dado, la scarteresti con lo sdegno e il disgusto che si prova per un capriccio abominevole della natura, o la raccoglieresti con gioia e gratitudine come un dono divino di Thauma?»1. Fu allora che lo Spinder, con un gesto improvviso, si staccò dall’Altenhower, lasciò il sentiero e, facendosi faticosamente strada nel groviglio dei cespugli, si avvicinò a un pezzo di marmo bianco, forse un frammento di colonna, che giaceva, appena visibile, ad alcuni metri dal sentiero. Là si fermò, si chinò, e ovviamente sopraffatto dall’emozione chiamò l’amico. Quando questi, meravigliato, lo raggiunse, Spinder gli indicò due strane piantine nere, alte appena una ventina di centimetri, che si ergevano come piccole statue di bronzo nel centro di una minuscola piazza, un cerchietto di terra brulla e polverosa, racchiuso nella brughiera.
Dal mare arrivava una leggera brezza carica di un profumo misto di alghe e di timo, che faceva oscillare lievemente i rami più lunghi dei pini e tremare le foglioline dei cespugli, ma le due piantine rimanevano pesantemente immobili e sul terriccio argilloso proiettavano un’ombra vivacemente colorata e stranamente luminosa. Era come se i raggi del sole le avessero miracolosamente attraversate per stendersi sulla terra, scomposti in tutti i colori dell’arcobaleno.
I due erano esterrefatti e stettero lì un bel po’, gli occhi sbarrati e incapaci di dire una parola. Lo Spinder sapeva per esperienza che le piantine si sarebbero volatilizzate al primo tocco imprudente e così decise di ritornare a Emplos per prendere gli apparecchi fotografici.
Non riuscendo a staccare la mente dalla sconvolgente visione, camminarono in silenzio, finché Altenhower a un tratto si fermò e si dichiarò stupefatto dall’intuizione che aveva guidato lo Spinder a quelle piantine nascoste. Il biologo sorrise e disse: «Sono lusingato dai tuoi elogi, ma mi sorprende la tua ingenuità. Tu dovresti sapere che non vi è nulla di miracoloso. Nessuna bacchetta di rabdomante ha mai rivelato una sorgente. Il rabdomante crede agli impulsi della bacchetta, ma in verità, a sua insaputa, egli ha una percezione eccezionalmente sensibile a certi fatti naturali: colori, odori, forme di piante e di terreno, che derivano le loro particolari sfumature dalla presenza di acqua nel suolo sottostante. Come una rana che “intuisce” uno stagno a chilometri di distanza, egli, senza esserne cosciente, distingue variazioni di toni e di dimensioni che per noi sono impercettibili. E così l’archeologo, che “intuisce” sotto un campo arato un tempio sepolto, e il botanico che in un groviglio di mille piante “intuisce” la presenza di un fiore parallelo, leggono segni che a poco a poco, attraverso una continua e specializzata osservazione, si accumulano negli strati più profondi della memoria. Là giacciono, pronti a risuscitare, nella combinazione di automatiche analogie, immagini da tempo dimenticate e ora anticipate con istantanea chiarezza».
La scoperta sulle rupi dell’Antonosia delle due Perensae parumbrosae che Spinder, grazie a un nuovissimo procedimento di disabitazione, riuscì a trasportare intatte al suo laboratorio di Hemmungen, fu annunciata nell’ultimo numero della rivista statunitense “The American Botanist”. Fu la prima volta che l’autorevole organo della American Botany Association, i cui interessi sono tradizionalmente rivolti alla botanica normale, dedicò notevole spazio a un fenomeno parallelo. La testimonianza di Altenhower sulle circostanze del rinvenimento, la descrizione delle piantine, e soprattutto il fenomeno delle pseudo-ombre colorate, chiaramente visibili nelle foto eseguite dallo Spinder, suscitarono non poco clamore negli ambienti scientifici. Tuttora, ad alcuni mesi dalla notizia, quotidiani, riviste e radiogiornali di tutto il mondo dedicano all’avvenimento articoli, dibattiti, interviste.
Fra i primi a occuparsi del caso fu il quotidiano greco “Omonia” che per l’occasione intervistò il professor Spyros Rodokanakis, docente di botanica all’Università di Atene. L’anziano botanico è un personaggio ben noto agli ateniesi per le sue provocatorie polemiche contro ciò che egli chiama “l’invasione della ragione”. Qualche anno fa il suo vetrioleggiante sarcasmo non risparmiò neppure i colonnelli, i quali, non si sa per quali ragioni, fecero finta d’ignorare il violento attacco che, dalle pagine di “Botanika”, aveva sferrato contro il loro regime.
Ma le foghe polemiche di Rodokanakis spesso chiudono più porte di quante non ne aprano. Sovente egli si fa portavoce involontario di quanti, nel nome della tradizione, della saggezza, e persino di una libertà che non viene mai definita, si rifiutano, con stizzosa ostinazione, di uscire dall’aria caliginosa del loro status quo mentale. E fu così anche in occasione della breve intervista che egli concesse al quotidiano ateniese.
«È di moda» dichiarò «prendere di mira i mass media per il loro ruolo demoniaco nel promuovere pseudo-bisogni e il consumismo dilagante che ne consegue. Ma se l’assuefazione agli elettrodomestici e alle utilitarie può atrofizzare i nostri muscoli, vi sono, a mio parere, pericoli ben più gravi, più reali e più imminenti per la sopravvivenza dell’uomo. I cosiddetti persuasori occulti non sono che miseri ingenui bottegai paragonati a coloro che in nome della divulgazione culturale e scientifica inquinano la nostra intelligenza con idee e notizie che non possono avere altro fine che di frantumare la nostra capacità, già fragile per natura, di distinguere la percezione dalla fantasia, la realtà dalla finzione, la verità dalla menzogna. Questi signori ci hanno cinicamente venduto la telepatia, i raggi alfa, i dischi volanti, la spensierizzazione, l’agopuntura, il mostro di Lochness, le forchette piegate e la scatola orgonica. Ed ecco che ricercatori fantasma, in laboratori inesistenti, avrebbero scoperto nel mondo vegetale qualità antropomorfe che gli esseri umani stanno rapidamente perdendo: la capacità di gioire e di soffrire, l’autentico amore per le arti, la ribellione alla schiavitù e persino l’uso di un linguaggio comprensibile. Siamo informati che si può ingaggiare una sassifraga per spiare sul coniuge infedele. Ci incoraggiano a suonare tanghi e milonghe per far crescere più voluttuose e profumate le rose. Ci suggeriscono di recitare poesie di Verlaine per raddrizzare un ficus agonizzante nell’anticamera di un dentista parigino. E ci avvertono che mentre la voce della Gigliola Cinquetti indebolisce i garofani, quella della Renata Tebaldi ne rinforza lo stelo.
«Ora questa fantabotanica si è arricchita di una novità ancora più sbalorditiva: la scoperta, fra le sacre rovine di Kanos, nel luogo dove meditò Eroclito, di una piantina “parallela”, nera come l’inchiostro e la cui ombra sarebbe colorata e luminosa come le vetrate di Notre Dame. Non è lontano il giorno in cui avremo la notizia che un ciclamino è stato proclamato magnifico rettore dell’Università di Atene».
Nel disordine del rancore, il vecchio botanico raggruppa in un unico corpo di reato l’assurdo e il possibile, la follia e la ragione, il bene e il male. La sua pigrizia mentale gli fa scegliere gravosi e farraginosi rifiuti laddove una più lieve disponibilità, un più sereno ottimismo, una più generosa fiducia gli offrirebbero di certo la ricompensa d’insospettate felicità creative. Ma forse non ci dobbiamo meravigliare che la rivelazione di una flora parallela, splendidamente enigmatica, abbia potuto scatenare l’incredulità, lo scetticismo e qualche volta la diffidente ostilità di coloro i quali, con burocratica e miope rassegnazione, coltivano le piante familiari del nostro orto. Dobbiamo tuttavia riconoscere che nella scia di un comprensibile sgomento il fascino di organismi misteriosi e ambigui, strappati d’improvviso alla penombra segreta delle giungle e alle nebbie di mitiche vallate, ha provocato, a volte, l’elaborazione affrettata di teorie esoteriche e di azzardate ipotesi. Ma l’episodio delle Perensae parumbrosae è emblematico di quanto sta succedendo nel recente evolversi della botanica parallela. Le indagini, come abbiamo visto nella nostra rassegna, stanno proliferando in molte direzioni, e benché tuttora non vi siano l’appoggio di princìpi chiaramente definiti e i conforti di solide strutture, assistiamo all’emergere di uno “stile” di ricerca e di metodo che ci permette di presagire la specifica fisionomia di una nuova disciplina scientifica.
Le circostanze di ogni nuovo rinvenimento accrescono, come esperienza, le probabilità di altre rivelazioni. Speciali tecnologie ci consentono finalmente di trasportare piante che sino a pochissimi anni fa sembravano relegate per sempre nel buio del loro esilio segreto. Sui banchi di laboratorio, sparsi in tutto il mondo, piante sospese da millenni fra la vita e la morte attendono la spiegazione dei loro misteri esistenziali.
Rimettere in discussione i fattori che da sempre e uniformemente condizionano il nostro comportamento sensoriale e intellettivo richiede uno spirito d’inventiva, un’originalità di metodo, una libertà interpretativa che abitualmente vengono soffocati nel pesante repertorio nozionistico della tradizionale formazione scientifica. E così, nonostante l’opposizione dei gerenti della botanica ufficiale, un numero crescente di giovani scienziati rifiuta le ricerche predestinate a sicure soluzioni, per affrontare invece, con febbrile e gioioso impegno, l’esplorazione di un mondo ignoto, ricco di entusiasmanti prospettive.
Contro ogni ammonizione del buon senso e del tornaconto personale questi uomini hanno coraggiosamente vuotato il loro bagaglio culturale e scientifico delle nozioni ufficialmente consacrate e faticosamente acquisite, pronti a reinventare, ab initio, metodi d’indagine capaci di penetrare i misteri di una natura le cui leggi sono ancora nascoste in chissà quali zone remote e sconosciute della nostra immaginazione.
Si narra che il filosofo svedese Erud Kronengaard una volta disse a un amico: «Vi sono due categorie di uomini: quelli che sono capaci di sgomento e quelli che ne sono incapaci. Prego Dio che siano i primi a foggiare il nostro destino».
In questa affermazione riecheggia stranamente la domanda che Eroclito fece a Teeteto, e alla quale gli scienziati che oggi stanno esplorando l’“altra” realtà, di là dalla siepe, hanno già dato un’implicita ma enfatica risposta.
Note
1 Nella mitologia greca Thauma è la Dea della Meraviglia. Nel dialogo di Platone, citato da Altenhower, Socrate dice: «La meraviglia è il sentimento che muove il filosofo e la filosofia inizia con la meraviglia. Non era un cattivo geneologo colui che disse che Iride [la messaggera del cielo] è figlia di Thauma».
Tratto da: Leo Lionni, La botanica parallela, Roma 2012. Prima edizione 1976
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