Malgrado le nuvole d’inchiostro sollevate dalla tradizione ebraico-cristiana per smascherarla, nessuna situazione mi pare più tragica, più offensiva per il cuore e l’intelligenza, di quella di una umanità che coesiste con altre specie viventi su una terra di cui queste ultime condividono l’usufrutto e con le quali non può comunicare. Si comprende come i miti rifiutino di considerare questo vizio come originale; che essi vedano nella sua comparsa l’evento inaugurale della condizione umana e della sua debolezza.
In questo modo, infatti, venne a essere rotto un equilibrio vitale, basato sulla comunione di tutti gli esseri viventi, di questa rottura noi subiamo oggi le estreme conseguenze. Da aperta che era un tempo, l’umanità si è sempre più rinchiusa in se stessa. Tale antropocentrismo non riesce più a vedere, al di fuori dell’uomo, altro che oggetti. La natura nel suo complesso ne risulta sminuita. Un tempo, in lei tutto era segno, la natura stessa aveva un significato che ognuno nel suo intimo, percepiva. Avendolo perso, l’uomo oggi la distrugge, e con ciò si condanna.
tratto da Claude Lévi-Strauss , Il pensiero selvaggio, Milano 2010
Titolo originale 24, prima edizione Parigi 1962
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