Il sonno è ancora oggi uno dei grandi misteri della scienza, malgrado migliaia di filosofi e di ricercatori si siano interrogati sulla sua natura. Tra i primi, fu Aristotele a porsi delle domande sull’argomento:
Riguardo al sonno e alla veglia, dobbiamo considerare ciò che essi sono: se sono fenomeni peculiari dell’anima o del corpo, o comuni a entrambi; e se comuni, a quale parte dell’anima o del corpo essi appartengano. Inoltre, se sono essi (sonno e veglia) attributi degli animali, tutti gli animali li condividono, o alcuni di essi ne mostrano uno e altri l’altro, o alcuni nessuno?
A distanza di duemilatrecento anni, molte di queste domande sono ancora senza risposta. A cosa serve dormire? Come funzionano i sogni e cosa sono? Prima di Aristotele, il filosofo greco Eraclito di Efeso (535 a.C. – 475 a.C.) aveva detto: «L’uomo nella notte accende una luce per se stesso». Un’affermazione che sarà poi resa più chiara e ribadita dalla psicoanalisi, secondo la quale i sogni portano alla luce parti del nostro inconscio. Oggi sappiamo che il sonno ha effetti sui processi di apprendimento e razionalizzazione e che agisce quindi sulle funzioni più nobili del cervello. Per secoli la scienza ha ritenuto che solo l’uomo e pochi animali superiori fossero in grado di dormire e che fenomeni analoghi in animali inferiori o nelle piante non potessero essere definiti «sonno»: una posizione che somiglia molto da vicino a quella sull’intelligenza, e che ancora una volta cerca di attribuire all’uomo un primato, che però non esiste. Se fino a poco tempo fa i mammiferi e gli uccelli erano i soli animali ritenuti capaci di dormire, recentemente a questa eletta schiera si sono aggiunti gli insetti. Nel 2000, la scoperta che anche la Drosophila melanogaster – il comune moscerino della frutta – si addormenta, ha determinato una vera e propria rivoluzione nello studio del sonno negli animali. Se perfino il più semplice tra questi è in grado di dormire, bisogna allora ammettere che il sonno sia una delle componenti essenziali della vita!
E le piante allora? Dormono anche loro? Questa domanda è solo apparentemente oziosa e negli ultimi anni sta interessando un numero crescente di scienziati. In altre parole, se i vegetali sono dotati di intelligenza e della capacità di ragionare, il sonno potrebbe essere un’attività connessa a queste prerogative.
Come sappiamo, Somnus plantarum è il titolo di un trattatello poco conosciuto scritto nel 1755 da Carlo Linneo a coronamento dei suoi studi sulla differente posizione assunta, durante la notte, dalle foglie e dai rami di alcune piante. Linneo aveva ricevuto in dono da François Boissier de Sauvages (1706-1767), celebre botanico di Montpellier, un esemplare di Lotus corniculatus di cui desiderava studiare la fioritura.
La delicata pianta, trasportata dalle rive del Mediterraneo fin nella fredda Uppsala, impiegò diversi mesi prima di adattarsi alle nuove condizioni climatiche, ma finalmente una mattina di maggio, in serra e grazie a continue cure, fiorì. Linneo, che aveva osservato questa prima fioritura mattutina, ritornò nel tardo pomeriggio dello stesso giorno a visitare ancora una volta la piantina e, con sua grande sorpresa, non trovò più i delicati fiori gialli che aveva ammirato solo poche ore prima. Dov’erano finiti? L’indomani mattina, andando ancora una volta a osservare la pianta, li ritrovò al loro posto, perfettamente freschi. Il mistero non tardò a svelarsi: il fenomeno a cui Linneo aveva assistito era un tipico esempio di ciò che i botanici moderni chiamano «nictinastia» (dal greco núx, notte, e nastós, compatto) ovvero la capacità che hanno molte piante di cambiare la posizione delle proprie foglie e dei propri fiori fra giorno e notte. Nel caso del Lotus corniculatus, Linneo si accorse che all’approssimarsi della notte il loto sollevava le foglie distese e le riuniva intorno a ciascun gruppo di fiori, che diventavano così invisibili agli sguardi più attenti. Nello stesso tempo i peduncoli si piegavano un poco e i ramoscelli si inclinavano verso terra. Fu questo il punto di partenza dell’interesse di Linneo per il cosiddetto «sonno delle piante», che lo condusse fino alla progettazione di un giardino-orologio in cui fosse possibile conoscere l’ora semplicemente osservando il comportamento delle piante in esso contenute.
In realtà le prime osservazioni riguardanti i movimenti ritmici dei vegetali sono di molto precedenti al secolo di Linneo e risalgono ai Greci. Nel IV secolo a.C Androstene, scriba di Alessandro il Grande, annotava che le foglie del tamarindo erano aperte durante il giorno e si chiudevano durante la notte. Simili osservazioni si trovano spesso nelle opere dei botanici, in tempi e luoghi diversi. Nel 1260, Alberto Magno (1206-1280) descriveva nel De vegetalibus (Libro dei vegetali) il movimento periodico giornaliero delle foglie pennate di alcune leguminose, mentre nel 1686 John Ray (1627-1705), nella sua Historia plantarum (Storia delle piante), per la prima volta parlava dei fenomeni «fitodinamici» dei vegetali fra giorno e notte. Nel 1729, Jean Jacques d’Ortous de Mairan (1678-1771), studiando le piante di mimosa che aprono e chiudono le loro foglie circa ogni ventiquattr’ore, concluse che esse dovevano possedere un qualche tipo di orologio interno che ne controllava il movimento. Il sonno delle piante era stato dunque osservato diverse volte prima di Linneo, ma certo spetta al grande botanico il merito di aver affrontato per primo l’argomento in modo sistematico. Linneo non diede una spiegazione del perché le piante si comportino in questa maniera, sebbene avesse intuito come la causa fondamentale del movimento delle foglie sia la luce e non la temperatura. Egli si limitò piuttosto a classificare tutte le piante che mostrano questo fenomeno e ad attribuire il nome di «sonno delle piante» alla posizione assunta durante le ore della notte.
Tratto da: Stefano Mancuso Alessandra Viola, Verde Brillante – Sensibilità intelligenza del mondo vegetale, Firenze 2014.
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