“Il tempo è fuori squadra” è il titolo che Gregory Bateson assegna ad un memorandum del 1978, come monito ed invito per chi ha la responsabilità di formare le giovani generazioni. Si tratta, a suo avviso, di una missione che implica la presa di coscienza dello stato di obsolescenza dei presupposti del pensiero più comuni e consolidati. L‟antropologo di Grantchester, che in quello stesso anno sta completando Mente e natura, l‟opera che racchiude gli esiti del suo multiforme percorso intellettuale, annuncia l‟inattualità di alcune nozioni particolarmente diffuse come il dualismo cartesiano che separa la mente dalla materia o l‟assunto che tutti i fenomeni (anche quelli mentali) debbano essere studiati e considerati in termini quantitativi. Le modalità conoscitive lineari e deterministiche si rivelano, infatti, inadeguate alla comprensione non solo dei fenomeni propriamente fisici, ma anche dei fenomeni viventi che rispondono ad esigenze primariamente “creaturali” e vanno perciò compresi con linguaggi inediti, ancora da inventare. Linguaggi che non seguono contrapposizioni dualistiche (natura-cultura, mente-corpo, individuo-società, io-tu, etc.), ma si esprimono nella “danza” interattiva della relazione, che si nutre del contributo di tutti i suoi componenti.
La mente stessa, oggetto primario della sua riflessione in questa opera della piena maturità, viene assunta come un aggregato di parti interagenti, un insieme interconnesso, un plot policentrico ed interattivo i cui elementi sono costitutivamente in relazione reciproca. La sua è una teoria della mente olistica e, «come ogni olismo serio, si basa sulla premessa della differenziazione e dell‟interazione delle parti» (Bateson 2008, p. 128). Quella teorizzata da Bateson è, infatti, una nozione di mente inedita e innovativa che oltrepassa il tradizionale dualismo cartesiano, nonché la contrapposizione fra principi antitetici e si presenta come processo interattivo, non collocabile in nessuna singola componente dell‟organismo (scatola cranica, anima, personalità), ma in una unità più ampia strettamente connessa all‟ambiente. Come afferma Mauro Ceruti (1998), oggi è iniziato un percorso di riformulazione delle identità tradizionali all‟interno di ecologie concettuali unitarie: per ciascuna delle polarità, delle dicotomie, delle coppie concettuali, onnipresenti nelle nostre narrazioni e teorie della storia naturale e del tempo profondo, perde di senso sia la metafora dello „scontro frontale‟ fra le due polarità, che dovrebbe condurre alla vittoria e alla scelta di una delle due, sia la ricerca di un punto di vista sintetico, a metà strada nell‟angusta linea che le interconnette.
L‟idea di mente come processo interattivo, autocorrettivo ed evolutivo rimanda ad un‟impostazione ecologica alla quale i vari elementi contribuiscono secondo nessi di relazione e scambio reciproci. Mentre la tradizione oggettivista riteneva che l‟individuo fosse un‟entità fissa e determinata, dotata di una mente delimitata e circoscritta, per Bateson «la relazione viene per prima, precede» (p. 179). Al posto di un mondo popolato da “io” isolati e ben definiti, egli annuncia comunità circolari e comunicanti di soggetti che esistono in quanto sono, per definizione, in relazione con altri soggetti. Il “cogito ergo sum” cartesiano viene così sostituito dal “penso dunque siamo” di Heinz von Fœrster, per il quale la formulazione di ogni pensiero, pur appartenendo al singolo individuo, deriva dall‟interazione con un meccanismo mentale più vasto. Del resto Bateson, prendendo le distanze da Sigmund Freud che apriva la mente verso l‟interno riportando tutti i processi all‟interno del corpo, estende invece la mente al mondo esterno. Come affermava già in Verso un‟ecologia della mente, la mente può essere considerata come un processo ecologico simile a quello attivato da un individuo che stia abbattendo un albero con un‟ascia, che deve correggere ogni colpo a seconda dell‟intaccatura lasciata dal colpo precedente. Il complesso “albero-occhi-cervello-muscoli- ascia-colpo-albero” si configura come un sistema totale che ha le stesse caratteristiche del processo mentale. Come sostiene Tim Ingold, a partire dalla metafora dell‟uomo cieco il cui bastone rappresenta una vera e propria estensione del corpo secondo una linea di continuità che non ci permette di sapere se la mente sia collocata nella testa oppure fuori dal corpo, nel mondo toccato dalla canna, Bateson spiega come la mente sia «unfolding of the whole system of relations constituted by the multi-sensory involvement of the perceiver in his or her environment» (Ingold 2000, p. 18). Criticando l‟identificazione della mente con il cervello come punto fisso ed immutabile a cui arrivano i dati dall‟esterno, egli ritiene possibile l‟informazione solo se questa viene intesa come interazione del soggetto con il suo contesto ambientale. Ogni immagine o raffigurazione di un oggetto resta impercettibile se non ci poniamo in relazione con esso. Come l‟uomo cieco costruisce configurazioni del mondo muovendo il bastone sul terreno, così l‟uomo vedente realizza lo stesso processo attraverso i suoi occhi. Per Bateson «the world opens out to the mind through a process of revelation»
Questa impostazione ecologico-relazionale comporta che parole ed azioni assumano significato solo entro quadri più generali di riferimento, ovvero – per dirla con Bateson – contesti: Prive di contesto, le parole e le azioni non hanno alcun significato. Ciò vale non solo per la comunicazione verbale umana ma per qualunque comunicazione, per tutti i processi mentali, per tutta la mente, compreso ciò che dice all‟anemone di mare come deve crescere e all‟ameba cosa fare il momento successivo.
È solo definendo il significato di un contesto che un‟azione assume valenza positiva o negativa, un pensiero diviene corretto o inefficace, un gesto adeguato o sbagliato. La mente si configura quindi come un aggregato simile ad un vero e proprio sistema in senso ecologico.
Anche nel caso di patologie schizofreniche Bateson attribuisce un ruolo non secondario ai circuiti interattivi che coinvolgono tutti gli attori di una relazione, aprendo un filone di studi seguito poi da molti psicoterapeuti. L‟individuo deve essere inserito in un contesto più ampio della sua singolarità, secondo un criterio ecologico, poiché «solo mantenendo ben saldi il primato e la priorità della relazione si potranno evitare spiegazioni dormitive» (p. 179). Infatti, «non ha senso parlare di „dipendenza‟, di „aggressività‟ o di „orgoglio‟ e così via. Tutte queste parole affondano le loro radici in ciò che accade tra una persona e l‟altra, non in qualcosa che sta dentro una sola persona
Definendo l‟ecologia della mente come un nuovo modo di pensare la natura dell‟ordine e dell‟organizzazione nei sistemi viventi Bateson inaugura un‟inedita analogia tra il mondo della mente e il complesso dei viventi, tra il processo dell‟apprendimento e i meccanismi biologico-evolutivi del sistema naturale. Come spiega egli stesso, «stavo superando quel confine che si suppone racchiuda l‟essere umano. In altre parole, mentre scrivevo, la mente diventò, per me, un riflesso di vaste e numerose porzioni del mondo naturale esterno all‟essere pensante» (p. 17). Inizia così la sua presa di coscienza non soltanto di un metodo di comprensione dei processi cognitivi e mentali, ma di un «più ampio sapere che è la colla che tiene insieme le stelle e gli anemoni di mare, le foreste di sequoie e le commissioni e i consigli umani»
Se ogni atto di conoscenza ci mette in relazione con il mondo intero, questo significa che la mente si configura come un processo immanente il cosmo, mediante una continua interazione con l‟insieme complessivo dei viventi. Secondo l‟interpretazione di Brian Goodwin, la biologia risulta finalmente aggiornata con la concezione di Bateson sulla creatività organica e naturale, che giunge alla conclusione che i membri di una specie «make meaning of their inherited text by generating a form (a distinctive morphology and behaviour pattern) that is dependent on both genetic text and external context»
Siamo di fronte all‟intuizione batesoniana dell‟unità del tutto che ha messo in discussione paradigmi e riduzionismi del passato e che rappresenta, ancora oggi, una imprescindibile categoria di analisi della nostra condizione umana. Esortando a pensare in maniera unitaria mente e natura e a stimare la conoscenza non come la rappresentazione dell‟oggetto da parte di un pensiero o di uno spirito indipendente, Bateson ci restituisce una visione creativa e non deterministica del sapere, come pure un‟inedita e innovativa ecologia della vita. Se, come scrivono Humberto Maturana e Francisco Varela, «ogni atto di conoscenza ci porta un mondo fra le mani» (Maturana e Varela 1999, p. 45), quello avviato da Bateson è un processo di rifondazione epistemologica e anche di ricollocazione dell‟uomo in un tutto interconnesso. La stessa parola “animale” nel suo significato di «dotato di mente o di spirito» (p. 18), traducendo il complesso intreccio di componenti cui è sottoposto l‟essere umano, lo posiziona in una cornice sistemica che riconosce «il nostro essere parte di come condizione ineludibile della nostra esistenza» (Manghi 2004, p. 93).
Rilettura – Mente e natura 263 BIBLIOGRAFIA
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Tratto da: Mary Malucchi, Rilettura, Mente e natura, Gregory Bateson Adelphi, Milano, 2008
Un percorso intellettuale, quello di Bateson, certamente interessante. Quello che mi domando, è se esistano Filosofi, intellettuali impegnati nel campo della filosofia, che possano avvicinarsi o raccogliere le intuizioni di Bateson o che forse siano da indicare come influenze. Il campi scientifici toccati dall’autore sono molteplici, così come complesso è il suo approccio epistemologico, spaziano dall’antropologia, la sociologia etc. etc. La filosofia? Saluti e grazie per questi articoli.