(12 novembre).
In viaggio per Palermo, leggo L’Éducation sentimentale.
Lamezia, un luogo texano, italianamente inesistente.
Dal volume della Morale Cattolica esce un vecchio articolo, interessante, di Giorgio De Rienzo, che avevo conservato, sulla gelosia di Manzoni: ne spiega la ritrosia estrema a trattare di Lucia come una sua morbosità di geloso del personaggio, che non può soffrire di veder toccato da mani maschili (anche legittime: ne ritarda le nozze quanto piú può), avendolo sentito, immaginato, patito come fosse la stessa Henriette. Si può notare che questa gelosia è minore al tempo della prima stesura, quando Henriette è ancora al mondo, e si fa implacabile nella creazione definitiva, quasi che Manzoni si volesse custode dell’onore di una morta. Dunque per lui Lucia è un fantasma, una pietra sacra da non toccare: ragioni del suo essere poco umana.
Può essere una degenerazione della religione biblica, questo irredentismo giuliano e trentino che nel passaggio da un governo che sta sul Danubio, imperialregio, a uno che sta sul Tevere, regio, faceva consistere tutta la redenzione di alcune città e popolazioni? Nel 1918 Trieste, Trento, Pola si dichiarano, si sentono redente… Nient’altro che della storia scambiata per Messia, una follia del secolo XIX (sionista, non meno che triestina). Strana religione dei confini orientali… Ho vagato per le sue zone sacre, i suoi luoghi di culto mitriaco, dove il toro sgozzato sopra il fosso era il fante sulla trincea.
VOTA BAGNATO. Lo squallore intollerabile di Nicastro… un funebre vacare di giovani nei bar, raggruppati intorno al Niente… Come si può vivere in un luogo cosí brutto?
«… e le cose visibili s’intendono per la notizia delle cose invisibili» (cosí deve parlare un vero storico!) Ma non è facile leggere Manzoni con un televisore che mi trapana il cranio in una sala di ristorante grande come un cimitero, mentre aspetto una pasta e fagioli che immagino sarà mediocrissima…
Non mediocre: era immangiabile.
(Questo posto mi era stato indicato come ottimo locale).
NO ALLA CALABRIA COME HIROSHIMA E NAGASAKI. (Non lo sanno, ma qui l’hanno già avuta la bomba… Nicastro sembra una ricostruzione post-atomica, talmente affrettata e stracciona da far rimpiangere quando la bomba aveva fatto il deserto). Qualche avanzo povero, che sarà demolito per fare posto al disumano… Mio Dio, quant’è brutta l’Italia! Di bellezza restano poche, assurde tracce: beato chi le ritrova e le segue, fuori di questo mondo.
Qualche bel topo lungo i binari della ferrovia.
Vernice rossa e croci nazi: BOMBE SU TEL AVIV BEIRUT CHIEDE VENDETTA. HITLER COME BACK BEGIN PORCO. NÉ DESTRA NÉ SINISTRA: RIVOLUZIONE.
Facce concentrate hanno tutti i calabresi. Sembrano, anche non pensando, una nazione di filosofi.
SERAFINO GRIDA (gridano anche i serafini… non sanno piú arpeggiare…)
Nel cimitero di Lamezia (dove scivolo disperato per tanta bruttezza) una splendida, grassa, lucente lucertola annuncia tripudiante l’Anàstasis a Giorgio Fragalà il quale «dedicò ogni suo atto alla Famiglia e al suo Impiego». (Forse è da interpretare: a come impiegare, nel senso di adoperare, la Famiglia). A VILLELLA ANNA IN PARADISO… COLLETTIVO DI ANIMAZIONE DEL QUARTIERE (è una porticina, dà sull’inanimato).
Il barbiere sta radendo un vecchio decrepitissimo con la nuca ispessita dai segni degli anni, duecento almeno. E intanto musica, fischi di treno, mai pace… Manzoni riesce a essere scrittore piú perfetto, specialmente piú interiore, di Leopardi ma, per maestro, meglio Leopardi. Manzoni fu uomo troppo impaurito per poter essere assunto a guida, a nave ammiraglia… Si sente troppo nel suo attaccamento alla Chiesa il morso del naufrago al pezzo di legno: quel che lo scampa dai terrori, la sua infinita gratitudine proclama salvezza del mondo, ma scambiare per verità assoluta il proprio amuleto ideale è mentire. Allora meglio chi è lanterna nel buio senza sapere lui stesso dove va (Rien ne m’est seür que la chose incertaine). A Manzoni lo sforzo di credere integralmente alla Chiesa, di accettare, cosí critico, i suoi dogmi, dev’essere costato tanto, da agevolargli, come un travaglio minore, la creazione di uno stile d’inuguagliabile difficoltà.
Sarà piacevole, per un barbiere, passare l’insaponatura su una faccia cosí flaccida, come per rianimarla. Apro un giornale che fa da strame. C’è una faccia: ERA UN DROGATO SARÀ UN PRETE. Una pagina di réclame è occupata per intero da un Culo sul quale posano tre dita, un articolo di Nicola Abbagnano risponde alla domanda: MA CHE COS’È QUESTO AMORE? La conclusione: «… perché la vita è sempre una speranza d’amore».
Se il Sud finirà per essere la rovina del resto d’Italia (la cosa è in atto) sarà per una specie di vendetta cieca, contro tutti, dei Mani dei suoi popoli che patirono troppo sotto i loro signori. Una specie di Bronte silenziosa, per mezzo delle carriere burocratiche, delle organizzazioni criminali, delle folle sguazzanti nella moneta svalutata, delle industrie inquinanti imposte ai governi e ai sindacati, dell’emigrazione interna che snatura città e campagne.
(Palermo, 13 novembre).
– Ora, bambini, si fa ringraziamento a Dio per aver creato l’universo e per averlo consegnato nelle mani dell’uomo!
– Noi ti ringraziamo, Signore, per le creature che ci hai messo a disposizione…
«Gli abitanti onesti della VUCCIRIA partecipano il loro DOLORE e la loro VERGOGNA perché anche nel nostro quartiere, per un po’ di sporco denaro, qualcuno vende la DROGA, che uccide, ai figli degli altri…»
Chiesa di San Domenico, tutta busti e lapidi: «Non superbí per onori gli seppe ben meritare…» «FRANCESCO BARUCCO spento dall’Indica Lue a dí 17 Ag. 1854 lasciò vedova sposa…»
IN CHE LUNGO E SQUALLIDO ESILIO LASCI
LA TUA POVERA GAETANA
FINCHÉ IO TI RIABBIA DOVE NON SI MUORE!
Giovanni Salemi, chirurgo «la Legione d’Onore meritar seppe non accattar turpemente»; nonostante questo «nel suo 44° anno il dí 21 nov. 1849 inconscio di sua mano si diede la morte». Pietro Noveli «tra i dipintori siciliani massimo imitator della natura» non raggiunse però Gaetano Scovazzo «miracolo di onnigena sapienza» né il colonnello Luigi Tukory che FULMINEO D’ARDIRE RUENTO DI VITTORIA IN UN RUGGITO DI TRIONFO AI CIELI PROCOMBEA DISSERRANDO UN PIÚ FULGIDO VARCO A LA LIBERTÀ… PROPUGNÒ AVVINTE TUTTE LE RAZZE IN UN AMPLESSO SOLO… PALERMO LO VOLLE FIGLIO LA MORTE EROE.
Tutte quelle razze avvinte in un amplesso… una sterminata copula di cani da esposizione…
Vincenzo Riolo alla patria pittura esanimita | diè vaghe tinte ombre gagliarde e vita, ma lo supera GIUSEPPE VELASQUES DA PALERMO, morto nel 1827:
diè alla pittura che giaceva informe
vere purgate ed eleganti forme
Il professore di patologia Michele Pandolfini, morto nel 1861, fu invece «di celebrati volumi aureo scrittore». Voglio leggerli tutti. Ma è domenica, compro una rosa da mettermi nel bicchiere.
LA VIOLENZA SULLE DONNE È VIOLENZA DELLO STATO CAPITALISTA. (Questo rende superflui i tribunali).
Sera, semicerchio di case, larghissimo, destinate all’abbattimento come pecore schierate, qua e là ancora l’occhio di un lume, un gatto su un balcone, fili d’erba come spuntati da un teschio, finestre sventrate saracinesche ingobbite fittissima gabbia mentale che accentuano le ringhiere e i ferri battuti centinaia di punte di lancia arrugginite vita e morte e miseria passate di là in un turbine durato qualche secolo, un vorticare di piaghe, e un sorriso abita ancora quella sfinitezza resa aristocratica da tanta presenza di dolore, un sorriso di moribondo che se ne va contento.
Non c’è nessuno, qui, che non sia un vinto, umano e storico, un messo a terra per sempre. Tutti quanti, andalusi, cretesi, turchi, arabi, occitani, armeni, siciliani, greci vixerunt, anche se di fuori sgambettano, la loro anima giace strangolata nel sottosuolo della storia, lo spettacolo, la scena, le parole sono sfoghi di vento, non c’è nulla dietro, popoli finiti… Sono i Mediterranei, gli Atlantici della finestra di fronte, morti come il loro mare, una specie mentalmente estinta, anche se in spermatozoi vivace ancora, ma non riproducono che sfinimento…
Weininger diceva che i popoli meridionali sono sadisti. Un istinto del genere, in popoli vinti e fiaccati, può essere micidiale.
Una scarica da quattromila Volt nel cervello, in cervelli già malconci, questa è la rinascita dell’ex povero Sud. Li hanno buttati in un vortice, non ne usciranno piú… Ogni cento facce, un vero volto appare; a volte è la rivelazione di qualcosa di unico, l’infinito del sorriso, che è soltanto di queste sponde, e soltanto di terre, civiltà che hanno esperienza e realtà di antico. È l’infinito irreprimibile dell’anima umana che si rivela in un pallido grazie di sofferenza per una parola scambiata, come di un malato senza speranza che ne riceva una, il mettersi in moto di tutta l’aristocrazia e la dignità segreta dell’anima per affiorare nel gesto affettuoso che indica la via allo sconosciuto, senza fargli capire bene dov’è il luogo, si perderebbe il vago, ma illuminandolo di gentilezza, in cui consiste il vero scopo di quella premura, la ragione di quel sorriso.
Altri grandi pezzi di vecchia Palermo in demolizione. Una volta abbattute tutte queste case, dove emigrerà il sorriso che le abita, inseparabile dal marcio, dal tanfo, dalla disperazione? Scomparirà del tutto, semplicemente. Dagli occhi giovani, abbattuto l’agnello del sorriso, l’animale feroce farà un salto, non ubbidirà che all’istinto di preda e di morte: aparta o te destrozo.
IL PAPA A PALERMO annunciano i manifesti. In sacrestia, un prete è in affari matrimoniali con una coppia: – … appena passata questa storia del papa, combineremo –. FLORIBUS PANHORMITANAE ECCLESIAE NEC ROSAE NEC LILIA DESUNT (cappella con formidabili sarcofaghi di santi, ma dove sono le rose e i gigli?) Dall’altare, una ragazza legge un passo di Daniele che non si sa bene a chi si rivolga. (Il latino almeno mascherava un po’ l’usurpazione cristiana del Vecchio Testamento).
Alla Martorana, tra fumi d’incenso, c’era a mezzogiorno uno sponsalizio di due vecchi, l’uomo con bei baffi bianchi ben tirati, sulla settantina, la sposa sui sessanta, belli, sereni, sorridenti; il prete gli parlava, per escluderla, della fine: – Fine non significa Punto e Basta! Fine significa Punto e A CAPO. Dio non distrugge quel che ha creato! Fine significa Trasformazione. Prenderemo quella forma di esistenza che ha per tempo l’Eternità…
Il finanziere di guardia mi lascia entrare per vedere il porto. Ma il porto mi sembra pochissimo interessante e in realtà quel che io cerco è uno zampillo per sciacquarmi la bocca, avendo appena mangiato. Non avevo che questa preoccupazione igienica (trovo sorprendente che la gente mangi e non corra subito subito a nettarsi perfettamente la bocca; veri antri di decomposizione; e quasi tutti hanno denti guastissimi e apparecchi pieni di passaggi, tasche, cunicoli, fessure) ma per non insospettire il finanziere passo un paio di volte davanti ai natanti deserti.
– Noi il Signore a volte ce l’immaginiamo come un Puparo e pensiamo che noi siamo come suoi Pupi… NIENTE AFFATTO! Dio è un padre, e ci tratta non come Pupi ma come Persone… La vita può anche essere una lotta talvolta… Bisogna pensare spesso alla morte; tutti i ferri toccati di questo mondo non possono allontanarla… Cari fratelli, l’Inferno è verità! La Madonna ai fanciulli di Fatima lo fece vedere, l’Inferno… APPUNTO PERCHÉ È BUONO, appunto perché ci rispetta, DIO CI LASCIA ANDARE ALL’INFERNO… Non è lui che ci manda, siamo NOI CHE CI ANDIAMO…
Nel salone del Grande Albergo eccheggiavano le voci dei poeti. Vedevo le loro mani cercare di restare attaccate alla liscia parete dell’Io un momento prima di precipitare, silenziosamente come nei sogni, nel pozzo senza applausi della sua affermazione delusa. Dopo ogni lettura, concessa per due o tre minuti a ciascuno, la tribunetta coi serpenti ingoiatori di suono vibrava del grido: IO SONO L’AUTORE! a cui seguiva una scarica di fucili da esecuzione simbolica, e l’autore ancora fremente di smorfia era portato via nella cassa preparata. (Mentre i veri poeti non sono gli autori dei loro versi, i falsi lo sono: questa illusione infernale che è il loro castigo li rende sospettosi e noiosi, a volte intensamente cattivi).
La novità erano due russi, piccoli e rotondi, esuli o spie, applauditissimi. Tiravano le corde del sentimento fino allo scempio, alla rottura, con stridori verticali di pathos messianico abbominevole. Tutta la Madre Russia con la sua mania predicante, la sua mancanza d’argini alle piene di lacrime… (Dietro però ci sono Gog e Magog, TUN! TUN! TUN! col loro passo implacabile e feroce: diffidare sempre). Ludmilla, prodigando sorrisi immacolati, cattura tutti i favori; l’applaudo anch’io. La sua poesia s’intitola Femminilità. La conclusione, nella traduzione che segue la dizione, proclama: «Vinco come un uomo, cedo come una donna». Un altro autore canta un duello rusticano: una scrofa lotta con un falco, ferocemente, lo vince e lo spenna coi morsi.
Altra Russia. Un autista ladro mi porta a un Laboratorio Teatrale dove si assiste a un esperimento di Andrea Wajda su L’Idiota, piú che mai passivo e paziente. In uno stanzone buio immerso in un fumo d’incenso che bizantinifica i polmoni, Myskin e Rogozin uno di faccia all’altro, davanti a un tavolo, discutono… Myskin è abbastanza sobrio, Rogozin urla, si dimena, sputa parole in polacco senza quasi mai interrompersi, ha qualche problema che l’ossessiona… La spranga della noia, nell’ombra fitta dove sono le teste degli spettatori, lavora implacabilmente.
(15 novembre). Mercato della Vucciría. C’è magnificenza di colore, sparso con talento ma con cuore angustiato e freddo. Le facce sono tirate e mute, sfuggenti e tetre, di ilare non c’è che l’inanimato. Troppi ammazzamenti tra quella trippa e quelle arance; è gente oppressa dalla paura, dall’obbligo di tacere e di ingoiare.
– La bandiera a mezz’asta si mette solo nelle occasioni di lutto nazionale… Però è una bandiera sporca, fetente… – Compro da una di queste mummie col coperchio un po’ di zucca e fichi; poi qualche foglia di eucalipto all’Erboristeria Terra delle Mosche (nome esoterico del quartiere; ora c’è il Ddt) per barattare qualche parola di genere umano con l’erborista. Tanto pesce, qualche capretto insanguinato ai ganci, lenticchie e fave secche, banane gassate, biscotti all’ammoniaca, ricotta, transistors, numismatica… L’umanità è perduta, dice l’ultimo bodhisattva allargando le braccia: il piú bell’atto di compassione è di lasciarla andare dove sta andando, in perdizione, senza disturbarla con prediche e rimorsi, perché se ne aumenterebbero i mali.
Duomo di Monreale. È un luogo certamente emanato dalla sefirà Tifèret ma questa angelica perfezione, dopo ore tra rumori e stridori, oggetti volgari, quartieri obitoriali, permanenza di durata incredibile sull’autobus che non può procedere, non mi sventaglia la spossatezza, né mi cancella dagli occhi impregnati il brutto. Sono uno in coma a cui l’ossigeno è inutile. In questo perimetro della luce vago imbrattato di tenebra, cadavere mentale; l’eccesso di disarmonia esterna mi ha stordito la facoltà di apprendere qui l’armonia che fu deposta per staccare un poco gli uomini dal loro peso di materia. Sono ridotto come il turista inerme, che non distingue tra fuori e dentro; e dentro, dove ancora respira il centro, viaggia come su ruote nell’indifferente.
Tratto da: Guido Ceronetti, Un viaggio in Italia, Einaudi Ed.