Ippolito Pizzetti

Passo per Battipaglia

Tornando da Valva, siamo costretti ad attraversare Battipaglia.

Più vado avanti negli anni più mi feriscono queste città mostruose senza disegno composte soltanto di una architettura laida, che è miseria comunque, sia che contenga o non contenga umana miseria. L’orrore della miseria mi cresce dentro fino a dolermi quasi nelle viscere. Non è paura: è il sentimento dell’impotenza del mondo a salire di qualche gradino, a esprimere e generare un insieme di oggetti che abbia un volto di dignità e bellezza. È un fatto tutto mio personale, e io mi sento partecipe di questo fallimento, vorrei scuotermi di dosso la memoria di questi luoghi come polvere, sono del tutto incapace di avvertire in questa volgarità e bruttezza un segno della vita.

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La finestra aperta

Mi piace in camera da letto lasciare la finestra aperta quando non ci sono. Perché così anche quando non ci sono giorno per giorno notte dopo notte possono entrare le lune piene le lune mezze e le lune sottili come un’unghia, anche quando ci sono e non le vedo e dimentico di guardarle; le stelle, i colori dei tramonti, il rumore dei tuoni, gli odori che si porta il vento e il canto dei merli; anche quando non li avverto e ne resti pure il più piccolo residuo, un’ombra impercettibile: può darsi che attraverso questa loro traccia ricuperi la luna le stelle i tramonti la transumanza delle nuvole e quanto d’altro le stagioni portano, il gracchiare delle mie cornacchie, e li ritrovi dentro i sogni.

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Primavera

L’altro giorno dagli F. sulla Salaria: attorno a casa loro erano tutti frutteti, i peschi rosa, i susini più grossi e più porpora, meli e peri bianchi e tutto, il fiorire degli alberi fioriti, nuvole nell’aria resa più morbida dalla primavera. Come durano poco. Uno a primavera dovrebbe sempre viaggiare. È questo il senso del Wandern, che oggi non si ha più, il movimento l’incontro con qualcosa che cambia.

La natura si desta: dal Taugenichts al Parsifal.

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Che modo strano

Che modo strano di arrivare ha la primavera: noi parliamo d’inverno e primavera, abbiamo dato loro un corpo e un volto. Invece dove si toccano è tutto una frangia: un mattino ci svegliamo, ed è una giornata stupenda: il sole è caldo, c’è grande movimento sugli alberi, e le gemme si gonfiano: è primavera per il nostro cuore. Poi, il giorno dopo, il cielo è coperto in modo uniforme, fa freddo, tutto è grigio, gli uccelli si tacciono, è inverno di nuovo, si è tornati a ritroso nella vecchia stagione.

L’incontro avviene per sussulti, per sortite e ritirate, per sacche come una guerra.

O come in un film per dissolvenze.

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Nel frattempo la primavera

Nel frattempo la primavera ha galoppato. Lungo il ruscello crscono fitte le pervinche, fiorisce l’Alliaria, tutto il corso dell’acqua è disseminato di felci novelle, la scolopendra è frequentissima e così la felce femmina.

Sono belli soprattutto i colori dei salici; uno di un verde più tenero degli altri, con fronde più morbide e una fioritura tutta diffusa attira la nostra attenzione: è un albero d’oro, è il Salix pentandra.

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La luce di Firenze

La luce sulle case di Firenze, la luce sull’intonaco delle case di Firenze, la luce sulla pietra di Firenze, la luce sulle acque dell’Arno di Firenze.

Le case di Firenze non riflettono la luce, se ne nutrono. È come l’incarnato sotto la pelle, per tutte le vie nei suoi grigi nei suoi ocra nei suoi crema nei suoi cinabri, come fa una città a mangiare tanta luce e a non lasciare vuoto tutto quello che è attorno?

È che altrove la luce si distribuisce male, ne va perduta molta, c’è un grande spreco di luce.

Invece a Firenze c’è questa attitudine degli oggetti e della pietra delle case del selciato delle strade a nutrirsene così che il mondo appare fuori sempre in una luce sobria misurata pulita non c’è un inutile ammasso di luce attorno c’è questo equilibrio della luce che non ho visto mai in nessun altro posto.

tratto da Ippolito Pizzetti, Robinson in città. Vita privata di un giardiniere matto, Milano 1998.