Jung e l’I Ching: Archetipi e Processo d’individuazione

“Perché non tentare un dialogo con un antico libro che pretende di essere animato?”

Ẻ inevitabile! Si parla del Libro dei Mutamenti e sempre si finisce per parlare di Jung.
Eppure l’I Ching non ne avrebbe bisogno, visto che gode di ottima longevità. Ma è grazie a Jung se l’oracolo può esibire una seconda giovinezza passando dal mondo delle cosiddette superstizioni a quello civilissimo della ragione occidentale. Non varrebbe la pena dilungarsi troppo su Jung nell’esclusiva relazione con l’ I Ching, pena un certo snaturamento della natura spirituale di questo come degli altri oracoli. Eppure è indubbio che tutti noi, adepti dei Mutamenti, abbiamo un debito con lo psicanalista. Anzi molti debiti, primo fra tutti l’aver deviato il corso della psicoanalisi verso la china troppo scientista che pretenderebbero i freudiani e non solo; così come aver insegnato agli europei a non porre la propria civiltà al di sopra delle altre, poiché la madre di tutte le civiltà è inconsciamente collettiva.

Il Libro dei Mutamenti è un libro affascinante e misterioso come ben pochi pervenutici dall’antichità. Per chi ha fede il testo sarebbe animato da uno spirito, lo shen. Tuttavia coloro che in Occidente sono stati chiamati dal destino a confrontarsi con il Libro dei Mutamenti, oltre a se stessi e al Libro, dichiarano di sperimentare, con il continuo uso, l’effettiva presenza di una terza entità definibile come paranormale: lo spirito sopracitato. Molti che abitualmente lo consultano possono confermare le stesse parole tratte dal Ta Chuan: “I Mutamenti sono un libro dal quale non si può stare lontani”. Non pensiate che queste siano affermazioni frutto di bizzarre suggestioni dovute ad un delirio collettivo, anche lo psicoanalista Jung giunse alla stessa nostra conclusione. Si potrebbe dire allora che basterebbe evitare di farsi coinvolgere da un approccio al testo di natura fantasiosa e limitarsi alla razionalità; ciò però non è possibile in quanto nel passaggio dalla teoria all’applicazione pratica il testo si configura come un perfetto oracolo. Esso come tale ci impone di buttare a mare i nostri pregiudizi occidentali e di sospendere il nostro modo di pensare esclusivamente causalistico. Solo con queste premesse l’utilizzo dell’I Ching acquista il senso e la logica che l’ha reso un best-seller in tutto il mondo, come autentica guida spirituale (similmente alla lettura qabalistica del Vecchio Testamento in cui l’albero delle Sephiroth è paragonabile all’esagramma dell’I Ching).

“Il senso (Tao) si oscura se si considerano soltanto piccoli settori finiti dell’esistenza”

Nella prefazione al testo Jung afferma che: “Questo modo di procedere, pur rientrando nell’ambito della filosofia taoista, può sembrare a noi oltremodo bizzarro. Ma la stranezza delle allucinazioni dei dementi o delle superstizioni primitive non mi ha mai sgomentato. Ho sempre tentato di rimanere imparziale e curioso. Perché non tentare un dialogo con un antico libro che pretende di essere animato?”

Dialogo è la parola che si impone: dialogo interculturale, dialogo fra filosofia e religione, tra scienza ed esperienza, tra l’uomo e l’anima; aprire un dialogo con l’oracolo del Libro dei Mutamenti equivale ad approfondire il proprio dialogo interiore. Un dialogo non limitato al benessere del raggiungimento di uno scopo (i piccoli settori finiti dell’esistenza) bensì alla conoscenza di sé nel personale iter esistenziale inserito nel vasto contesto delle trasformazioni operate dalle leggi che regolano l’armonica struttura dell’universo. Un altrettanto famoso oracolo, quello di Delfi, similmente recita: Conosci te stesso e conoscerai la saggezza degli dei e dell’universo. Il passaggio dalla sfera delle applicazioni psicologiche, attraverso l’analisi del complesso gioco di “proiezioni simboliche” contenute negli esagrammi, fino a giungere alla sfera spirituale, la conoscenza delle leggi che regolano l’Unità nella dinamica degli opposti: la Coniunctio oppositorum junghiana, è concepibile solo a patto che quel dialogo personale venga sacralizzato. Sacralizzato vuol dire proiettarlo “oltre” gli angusti confini dell’Io.

“Lo stato in cui Io e non-Io non formano più alcun contrasto si chiama perno del Tao (senso)” afferma Chuang Tze. Animato – come afferma Jung – non vuol dire solo che è vivo, ma anche che è vivo grazie all’attivazione di quell’entità, superiore alla psiche, che comunemente chiamiamo anima. Solo in questa prospettiva l’interrogante, ponendosi nel mezzo delle dinamiche di Cielo e Terra, yin e yang, può coglierne gli effetti su di sé: i mutamenti.

I Mutamenti sono un libro vasto e grande, nel quale ogni cosa è contenuta compiutamente: In esso è il Senso del Cielo, in esso è il Senso della Terra e in esso è il Senso dell’uomo. Esso riunisce queste tre potenze fondamentali (Shuo Kua 375).

Nulla può escludere, come accadde a Jung, di considerare le dinamiche di Cielo e Terra nell’ottica della teoria della sincronicità di Tempo e Spazio, tanto cara allo psicoanalista.

Seppur animato l’I Ching non ama far sfoggio di sé, il Libro appare nella nostra esistenza quando, in nome di una nostra necessità evolutiva, il suo spirito si è sentito chiamato o attratto dal nostro spirito interiore. A ben vedere l’I Ching non pone selezioni di sorta, men che mai di tipo culturale. Chiunque ben animato vi può accedere. Che ne faccia un uso psicologico, o spirituale o semplicemente per interesse filosofico non ha importanza, quel che conta è che sempre si creerà una perfetta sintonia sulle finalità dell’uso.

Dopo dialogo, “attrazione” è la seconda parola chiave che animò la ricerca junghiana.

Al di là delle mode e al di là di certi ambienti sempre attenti alle tematiche esoteriche, alcune domande sorgono spontanee: perché mai noi, così come Jung (uomo di cultura occidentale) dovremmo sentire la necessità di essere attratti dal dialogo con un testo considerato dai più alla stregua di una superstizione? E perché Jung fu attratto da questo testo ermetico e misteriosissimo per la sua epoca? Che tipo di risposte si aspettava (e ottenne) per lanciarsi in una ricerca così complessa tanto da allargare l’orizzonte su altri due testi complicati: Il Mistero del Fiore d’ oro e Il libro tibetano dei morti? Cosa accomunava queste tre opere nella mente di Jung?

Leggendo anche gli altri due testi, ci si accorge subito che si tratta dei tre pilastri fondamentali per comprendere gli strumenti psicodinamici, teorici e pratici, della psicologia sino-tibetana e di come l’Oriente abbia continuamente dato risalto a quel processo di sviluppo psicologico, e insieme di crescita spirituale, che lo psicoanalista vuol far corrispondere alla sua teoria del Processo d’individuazione. Con l’aiuto del sinologo e traduttore R. Wilhelm, Jung intuì che nell’I Ching era contenuto l’intero impianto filosofico che i cinesi avevano edificato intorno alla concezione del mondo visto come macrocosmo, e dell’uomo come microcosmo, quindi della relazione fisica e psichica allo stesso tempo che lega queste dimensioni, attraverso l’esperienza della Sincronicità, visto che per i cinesi l’universo sarebbe governato da una mente cibernetica (secondo l’attuale definizione cui si è giunti in Occidente con le teorie di G. Bateson) attraverso reti energetiche integrate psico-fisiche. Quale strumento migliore quindi dell’oracolo dell’I Ching per studiare sul campo, a partire da se stessi, la teoria della Sincronicità deve essersi chiesto Jung?

Nel Mistero del fiore d’oro egli deve aver ravvisato le dinamiche psico-fisiologiche che si generano nella pratica di individuazione dello yoga cinese detto Qi Gong, attraverso gli esercizi psico-fisiologici di questa tecnica, detti della Piccola e Grande Rotazione Celeste. Modificazioni di cui solo ora con l’utilizzo della risonanza magnetica ci sono le prove scientifiche. Se il libro dell’I Ching è il classico dei Mutamenti, nel Libro tibetano dei morti vengono descritte le modalità di conduzione delle trasformazioni dei propri stati di coscienza, a partire dal momento della morte che coinvolge l’essere umano nella rete delle energie cosmiche, coinvolgendo le dinamiche psicologiche del defunto (in particolare i meccanismi di difesa operanti contro il cambiamento) frutto del desiderio di ritornare, regredire, alla passata condizione esistenziale. Paura della morte intesa come paura del cambiamento, esattamente simile ai meccanismi di difesa tipici di ogni nostra trasformazione psicologica durante l’evoluzione della personalità, così come scoperti dallo stesso Freud. In realtà Jung concentrò gli sforzi principalmente sull’I Ching, in quanto della pratica del Qi Gong contenuta nel Mistero del fiore d’oro, all’epoca non se ne sapeva molto in Europa, tanto da confonderla con lo Yoga indiano, di cui Jung aveva avuto diretta conoscenza in India, ma di cui i gesuiti, che erano già stati in Cina, conoscevano e utilizzarono i principi per i loro esercizi spirituali.

Processo d’individuazione e archetipi

Oltre alla Sincronicità, come vedremo in seguito, crediamo che Jung sia rimasto affascinato dall’enorme interesse dei cinesi per gli archetipi, casualmente concepiti nella stessa ottica junghiana, intesi come accumulatori di energia psichica, rappresentati negli esagrammi (simboli composti da 6 linee intere o spezzate tipici dell’I Ching) a partire dalle immagini naturalistiche degli 8 trigrammi (simboli composti da 3 linee) e dei 5 elementi contenuti nelle due ruote del re Wen e di Fu Xi. Straordinaria coincidenza con la stessa teoria dell’Inconscio Collettivo, tanto straordinaria quanto è collettiva la stessa simile produzione archetipica tra l’Alchimia cinese e quella europea medioevale, tra quella greca del Tutto scorre di Eraclito e quella simbolica del percorso di ricerca di Iside con Osiride, dell’antico Egitto (vedi Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche,1947-1954). Purtroppo in quegli anni non era molto conosciuta in Europa la medicina cinese così come descritta nel testo classico, Il canone dell’imperatore Giallo, Huangdi Neijing Lingshu, dove nella seconda parte: il Lingshu, all’ottavo capitolo, Ben Shen, viene trattata la parte concernente la psicologia e il ruolo delle emozioni. Se Jung infatti l’avesse letto, avrebbe scoperto il ruolo energetico degli archetipi nella mente umana e in relazione alla mente universale ugualmente agita dagli stessi archetipi in una sorta di inconscio collettivo universale. Leggi che si intuiscono ugualmente anche dall’I Ching stesso, come il testo recita nello Shuo Kua (e che porremmo a confronto con la stessa definizione junghiana di archetipo):

“Quando Pao Hsi governava il mondo nella più remota antichità, egli innalzò lo sguardo e contemplò le immagini nel cielo, abbassò lo sguardo e contemplò gli avvenimenti sulla terra. Egli contemplò i disegni degli uccelli e degli animali e l’adattamento ai luoghi. Direttamente egli partì da se stesso, indirettamente egli partì dalle cose. Così inventò gli otto trigrammi per entrare in comunicazione con le virtù degli dei luminosi e per mettere ordine nelle condizioni di tutti gli esseri. (354)

Nel II capitolo viene spiegato come tutte le conquiste della civiltà siano nate come riproduzioni di ideali immagini primigenie. Ogni invenzione nasce come immagine nella mente dell’inventore prima di comparire quale cosa compiuta, poi come strumento. Dai 64 esagrammi si possono far derivare le invenzioni umane che hanno condotto allo sviluppo della civiltà. Il processo d’individuazione junghiano altro non è che una continua e personale rielaborazione evoluta del principio di piacere in principio di realtà. Come afferma Freud: sublimare il piacere, sospendendone l’immediata soddisfazione, per convogliarlo in creatività del pensiero, immaginando così lo sviluppo successivo di scoperte maggiormente soddisfacenti: la nascita della civiltà ordinata dalla regole e dalla morale. Nella filosofia indiana ciò corrisponde al passaggio dal secondo al sesto chakra e nell’I Ching dalla seconda alla quinta linea dell’esagramma, la linea del principe. Il Pai Hu T’ung descrive lo stato primordiale della società umana:

Nei tempi primitivi non esisteva ancora nessun ordinamento morale e sociale. Gli uomini conoscevano soltanto la propria madre, non il loro padre. Affamati, ricercavano cibo; sazi, buttavano via i resti… Allora venne Fu Hsi e guardò in alto e contemplò le immagini nel cielo, guardò in basso e contemplò gli eventi sulla terra… Egli tracciò gli otto segni [trigrammi] per governare il mondo. (355)

Per questo motivo Lao Tze afferma che: Il Tao veste e nutre tutti gli esseri e non si atteggia a loro signore.

Proviamo a fare un confronto con la stessa definizione di Jung:

É affermazione unanime di tutti i platonici che, come nel mondo degli archetipi tutto è in tutto, così anche in questo mondo corporeo tutto è in tutto, ma in maniera diversa a seconda della natura degli esseri o delle cose che accolgono. Così pure gli elementi non sono solo in questo mondo inferiore, ma anche in cielo, nelle stelle, nei demoni, negli angeli e infine (anche) nel creatore e archetipo del tutto.

Cos’altro deve essergli sembrata la tavola dei 64 esagrammi dell’I Ching se non una guida logica alle coincidenze significative che determinano i mutamenti che rendono l’uomo un essere individuale (principium individuationis)?

L’Oriente ci apre invece una via diversa di comprensione, più ampia, più profonda legata all’esperienza: la comprensione attraverso la consapevolezza della vita.

Sempre da Jung ci proviene una pietra miliare della nostra cultura psicologica occidentale. Libido: simboli di trasformazione, un testo indispensabile per un occidentale affinché meglio possa comprendere lo spirito mercuriale contenuto nella libido, Qi o della Kundalini, che sempre lega le opposte dimensioni di Cielo e Terra, il tempo e lo spazio degli accadimenti sincronici. L’uomo, la creatura, è sempre al centro vivificata dallo spirito come avvolto da un serpente di Luce, il serpente della vera conoscenza degli opposti archetipi: del Bene e del Male, propizio e sciagura.

La Sincronicità e l’Alchimia: Come in alto così in basso
Un’altra intuizione di Jung riguardo alle pratiche psicofisiche taoiste fu di aver constatato che l’I Ching rappresentava la possibilità concreta di poter applicare all’essere umano gli stessi procedimenti della scomparsa Alchimia europea come trasmutazione psicologica. Jung non era interessato alla diffusione pratica dello yoga indiano o cinese che considerava culturalmente inutili, impossibili e fuorvianti per gli occidentali, per cui, animato soltanto da scopi intellettuali, cercava unicamente il confronto possibile con approcci culturali lontani ma riconducibili alle sue stesse teorie e al suo modo intuitivo di fare ricerca in campi come quello psicologico dove il metodo scientifico non può essere esaustivo di tutto l’orizzonte psichico umano.
Proponendo con successo in Europa l’interesse per le filosofie orientali, Jung compì quell’operazione di re-suscitare con linfa ancora vitale (vedi: il Crogiuolo, nella prefazione all’I Ching), l’interesse per l’alchimia europea medioevale in quella parte almeno dove occulto è sinonimo di inconscio, che come sappiamo costituisce le fondamenta esoteriche della psicologia analitica junghiana.

La scienza è lo strumento dello spirito occidentale, e con essa si possono aprire più porte che con le sole mani. L’Oriente ci apre invece una via diversa di comprensione, più ampia, più profonda ed elevata: la comprensione attraverso la vita. L’imitazione occidentale si riduce ad una tragica incomprensione della psicologia orientale ed è inoltre sempre così sterile… Non di questo si deve trattare, non di imitare in modo disorganico un mondo straniero, ma piuttosto di riedificare nella sede sua propria la cultura occidentale e condurvi il vero europeo, nella sua quotidianità occidentale, con i suoi problemi coniugali, con le sue nevrosi, i vaneggiamenti sociali e politici, e con le sue sbigottite incertezze riguardo a una visione del mondo. Per questo è così penoso vedere l’europeo rinunciare a sé stesso e imitare in modo affettato l’Oriente. Il mero intelletto non è in grado di comprendere l’importanza pratica che per noi potrebbero assumere le idee orientali e perciò riesce (soltanto) a classificarle tra le curiosità filosofiche ed etnologiche. L’incomprensione giunge a un punto tale che persino dotti sinologi non hanno inteso l’applicazione pratica dello I Ching (Yi Jing) e considerano questo testo null’altro che una raccolta di astruse formule magiche.
Per quanto Jung possa essere considerato un padre della New Age, si può affermare che egli fu un precursore nel modo di fare ricerca a tutto campo, interdisciplinariamente, e questo modo di pensare lo riprese certamente dal fare ricerca come concepito dagli alchimisti, creando un legame diretto tra quel virtute et conoscenza di dantesca memoria. Ecco alcune risposte al motivo di tanto interesse per il pensiero cinese direttamente dal Saggio sulla Sincronicità come principio di nessi acausali, edito da Jung nel 1952.

Per noi i particolari contano sempre in sé e per sé; per lo spirito orientale essi integrano sempre un quadro generale. Ora in questa totalità sono comprese, come lo erano già nella psicologia primitiva o nella nostra psicologia medioevale prescientifica (e tale lo è ancora in parte), cose il cui rapporto con le altre cose non può ancora essere inteso che come casuale, cioè come coincidenza la cui significatività sembra arbitraria. In questo quadro rientra la teoria medioevale della filosofia naturale sulla Correspondentia, in particolare la concezione già propria degli antichi della simpatia di tutte le cose. Ippocrate dice: “Un unico confluire, un unico cospirare (conflatio), sentendo tutto insieme. Tutto in rapporto alla totalità, ma in rapporto alla parte le parti (presenti) in ogni parte con intenzione all’effetto. Il grande principio va fino alla parte estrema, dalla parte estrema al grande principio: un’unica natura, l’Essere e il Non-Essere. Ma il principio universale si trova anche nella più piccola parte, la quale perciò coincide con il tutto”.

Sempre riguardo all’incessante bisogno di ricercare leggi supreme alla base della comunicazione all’interno dell’universo, da cui ricavare leggi sul principio di sincronicità, egli afferma che: Fino ad oggi non sappiamo che questo: deve esistere un principio che sta alla base di tutti i fenomeni del genere, e che potrebbe spiegarli. Sia la concezione primitiva sia la concezione antica e medioevale della natura presuppongono l’esistenza, accanto alla casusalità, di un simile principio. Fino a Leibniz la causalità non è né unica né predominante. Nel corso del diciottesimo secolo essa è poi diventata il principio esclusivo delle scienze naturali. Con l’ascesa delle scienze naturali nel diciannovesimo secolo la correspondentia è tuttavia scomparsa dal quadro, e di conseguenza il mondo magico di epoche precedenti, sembrò definitivamente tramontato, finché verso la fine del secolo i fondatori della Society for Psychical Research tornarono a mettere sul tavolo il problema in via indiretta, cioè tramite l’indagine del cosiddetto fenomeno telepatico. I cinesi però fecero quel qualcosa in più che destò l’interesse di Jung, poiché egli stesso afferma che: É ovvio che a livello primitivo la sincronicità sembri non un concetto a sé, ma una causalità magica. Questa rappresenta la forma primitiva del nostro classico concetto di causalità, mentre l’evoluzione della filosofia cinese ha sviluppato dalla significanza del magico il concetto di Tao, della coincidenza significativa, ma non una scienza naturale fondata sulla causalità.

Prendendo spunto dalla citata Bussola d’oro, è doveroso aggiungere che dopo aver iniziato con Ippocrate, Jung nel suo saggio, ci descrive minuziosamente lo sviluppo sia del concetto di Legge Universale, la quale per simpatia sostiene tutte le leggi del particolare, che di scienza del “generale” da cui dipendono le scienze specialistiche. Egli ci ripropone anche tutti i sistemi dell’Ars combinatoria, costituiti da ruote e macchine, ideate nel medioevo da Raimondo Lullo, fino all’Horologium vitae di Leibniz, e che corrispondono nei principi alle due ruote taoiste del Re Wen e di Fu Xi. L’obiettivo dell’arte combinatoria era il corretto uso dell’intelligenza attraverso apparecchi logici, vere e proprie macchine inferenziali capaci di dimostrare la verità o la falsità di un’asserzione.
L’intelligenza – affermava Lullo – chiede imperiosamente una scienza generale applicabile a tutte le conoscenze, ed è quasi inevitabile vedere in lui un precursore delle moderne ricerche relative all’intelligenza artificiale, anche perché il filosofo non si accontentò di indagini teoriche, ma passò decisamente alla costruzione concreta delle macchine combinatorie. La sua idea era quella di disporre su un circolo gli elementi fondamentali, simboli, che formano una nozione (per esempio, relativamente all’idea di Dio: bontà, grandezza, onnipotenza e così via).

Queste caselle concettuali vanno poi messe in relazione fra loro da particolari schemi grafici che si possono disegnare al centro delle ruote. Poiché ogni ragionamento è una forma di collegamento fra nozioni, diventa così possibile una rappresentazione della conoscenza e dei suoi procedimenti secondo moduli geometrici.
Nella terminologia moderna il lullismo consiste in una descrizione topologica delle operazioni mentali, in cui cioè i rapporti tra le nozioni che formano il discorso sono espresse da collegamenti di tipo spaziale. Questi diagrammi dovrebbero permettere di scoprire le leggi del pensiero associativo; Lullo dimostrò che nelle ruote dedicate a problemi naturali prevale sempre lo schema del quadrato degli opposti: terra e acqua opposte ad aria e fuoco, primavera ed estate opposte ad autunno e inverno, e così via.
Moltiplicando il numero delle ruote concettuali e ponendole in rotazione attorno al centro, diventava possibile creare nuove ed inusitate associazioni mentali. In questo modo la Ars demostrandi(capacità di dimostrare ) perseguita da Lullo tendeva a trasformarsi in Ars inveniendi (possibilità di far scoperte). Ma R. Lullo (1232-1315) è preceduto nella descrizione di Jung da Filone ( 25 a.C.- 42 d.C. ) del quale cita: Avendo Dio voluto far accordare sotto di sé inizio e fine del divenuto, così che le cose siano legate da necessità ad amicizia, ha fatto come inizio il cielo, ma come fine ha fatto l’uomo; il cielo lo creò come la più perfetta delle cose percepibili imperiture, l’uomo come il migliore degli esseri perituri nati dalla terra, come – se dobbiamo dire la verità – un piccolo cielo che reca in sé le immagini delle molte nature simili alle stelle… Ora poiché ciò che é perituro e ciò che è imperituro sono contrapposti, egli ha dato a entrambi, al principio e alla fine, la più splendida forma: all’inizio come abbiamo detto quella del cielo, alla fine quella dell’ uomo.

Sempre continuando sulla relazione tra macro e micro-dimensioni, Jung cita anche Teofrasto (371-288 a. C. ) e Plotino: Secondo Teofrasto ciò che è sovrasensoriale e ciò che è sensoriale sono legati insieme da un legame di comunanza. Questo legame non può essere la matematica, ma presumibilmente solo la divinità. Analogamente le anime individuali che in Plotino nascono da una sola anima universale sono simpatiche o antipatiche in rapporto reciproco, e la distanza non ha importanza alcuna. L’excursus junghiano della storia (e utilità) della casualità, continua con citazioni da Pico della Mirandola: In primo luogo c’è nelle cose la unità, grazie alla quale ogni cosa è una con se stessa, consiste di sé stessa ed è in rapporto con sé stessa. In secondo luogo e grazie ad essa (unità) che una creatura viene unita alle altre e infine tutte le parti del mondo formano un solo mondo.

Per rafforzare il concetto, e anche perché citati in altri testi da Jung, riportiamo anche Nicola Cusano, Giordano Bruno e Marsilio Ficino.
Fu Cusano che per primo parlò della Coincidentia oppositorum a proposito di eventi che secondo la causalità appaiono come insanabilmente contraddittori per la mente umana a meno di non ricorrere ad un altro modo di pensare, tipo per congetture e analogie geometriche, come nel caso dell’infinità di Dio. Per esempio la retta e il cerchio sono figure diverse (finite), ma se si estende un cerchio all’infinito, diventa impossibile distinguerlo da una retta.
Marsilio Ficino ripropose inconsapevolmente il concetto taoista di equidistanza dell’uomo, microcosmo, sia dal cielo superiore che dalla terra inferiore, sintetizzando il concetto di uomo copula mundi: esso è il centro di simmetria fra il mondo superiore e inferiore.
Il termine medio in cui è posto l’uomo per Ficino, che corrisponde alla linea di mezzo dei trigrammi dell’I Ching, fa sì che l’individuo, al pari della concezione taoista, possa liberamente tendere verso l’alto della spirito o verso il basso della materia. Di analogo significato è l’uomo camaleonte proposto da Pico della Mirandola. L’effetto continuo del panpsichismo sull’individuo i cinesi lo rilevano sul corpo come energia sostanziale, che scorre nei meridiani, e sulla mente (diremo noi occidentali ) sotto forma di immagini archetipiche; questo concetto verrà affrontato nei successivi articoli sulla relazione energetica tra: floriterapia secondo Kramer e meridiani dell’agopuntura, e chakraterapia indiana.

Dopo aver affrontato questo lungo percorso sull’evoluzione del pensiero sincronistico, e avendolo paragonato con quello cinese, e avendo constatato quanto Jung lo considerasse sufficientemente già compiuto prima di quello europeo, ci siamo chiesti quale poteva esser stato per Jung l’utilizzo pratico dell’I Ching, e a questo punto non solo teorico.
Tutto ciò che sappiamo, e che abbiamo ricavato direttamente dal saggio sulla sincronicità e dalla prefazione al testo di Wilhelm, ci dice che Jung aveva un duplice rapporto con il testo. Il primo, quello del ricercatore che avendo trovato una miniera di un metallo sconosciuto si apprestava allo sfruttamento tanto atteso, costituito dalla dimostrazione pratica e sperimentale di un evento sincronistico, quale è quello che avviene durante l’operazione oracolare, in cui si ha la rivelazione, nel qui ed ora, della coincidenza dei due fattori psichico e fisico.
Sappiamo dalla Prefazione e da Sogni, ricordi e riflessioni che Jung sapeva interrogare e interpretare l’I Ching come un esperto taoista, ma ovviamente il suo intento era di trovare il modo di compiere un esperimento dimostrabile scientificamente e non solo a se stesso. Pur tuttavia osservava Jung, questi esperimenti, avevano conferito al fenomeno della sincronicità una base almeno statistica, ma non sufficiente, vista l’impossibilità di controllare in laboratorio le variabili di un fenomeno, dalle variabili appunto infinite, poiché fuori dalla causalità; che fare allora?
Questo fatto mi ha indotto a chiedermi se non esiste un metodo che da un lato provi il fenomeno della sincronicità e dall’altro permetta di riconoscere contenuti psichici in maniera che si possano almeno ricavare determinati punti fermi sulla natura del fattore psichico coinvolto. Mi sono domandato se non esiste un metodo che renda possibili risultati misurabili o numerabili, e che al tempo stesso ci sia modo di penetrare nei retroscena psichici della sincronicità. Partendo sempre dalla totalità, il metodo dell’ I Ching sembrava essere il migliore disponibile.

“L’uomo continua la creazione del mondo in quanto restituisce al cosmo in idee ciò che a lui viene offerto in fenomeni. Grazie a questo suo ruolo l’uomo è cittadino dei due mondi”. (Goethe)

Tratto da Lino Carriero, www.linocarriero.com

 

Bibliografia junghiana: Libido: simboli di trasformazione. Sogni, ricordi e riflessioni. Opere n.:11, 13 e 14.
Elisa Rossi: Shen, Casa editrice Ambrosiana, 2002
E. Rochat De La Vallèe: Ligshu, la psiche nella tradizione cinese, Jaca Book
Giulia Boschi: La radice e i fiori, Erga Edizioni
I testi degli articoli sono adattamenti dell’autore dalla tesi di laurea in Psicologia IL TAO E LA PSICOLOGIA, Teorie comparate sul processo d’individuazione: C.G.Jung e l’I Ching taoista. Lino Carriero

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *