Un giorno, molti anni fa, portai l’architetto tedesco Walter Gropius a visitare la mia Casa das Canoas, una casa che avevo progettato e costruito nella foresta che domina Rio de Janeiro e che si trova su un terreno scosceso verso il mare. E Gropius, dopo averla vista, mi si rivolse con queste parole: «La sua casa è molto bella, ma non è moltiplicabile».
Mi sembrò un’incredibile stupidaggine!
«Se avessi voluto una casa moltiplicabile» risposi «l’avrei costruita su un terreno pianeggiante.»
Rimasi molto stupito da quel punto di vista, soprattutto perché chi lo esprimeva era un personaggio dell’intelligenza di Walter Gropius. Ma il concetto era abbastanza chiaro, in realtà.
Spesso, nel corso degli anni, hanno scritto che il mio lavoro andava più nella direzione della scultura che dell’architettura. Non mi sono mai offeso. Le contestazioni non mi offendono, anzi. Sono naturali. Talvolta, le critiche sono giuste. Però io la penso diversamente.
Se si fanno opere in serie, ripetitive, non si è architetti, ma operai: e questo perché, dal mio punto di vista, l’architettura è invenzione, e, in quanto invenzione, è arte.
Il discorso vale anche per l’architettura popolare. Non è vero che l’architettura pensata per i quartieri popolari o per opere di pubblica utilità debba essere la più semplice possibile. È una posizione demagogica, paternalistica e, a ben vedere, inaccettabile. Ma chi l’ha deciso che l’architettura “utile” deve essere brutta? Se c’è qualcosa di brutto nella città di oggi non sono le differenze architettoniche e degli stili, ma la discriminazione sociale, le relazioni sociali improntate alle differenze di classe, i quartieri ricchi separati da quelli poveri, non solo dalla distanza ma anche nell’aspetto.
In certe città, tutto ciò è molto penoso. Qui a Rio, per esempio, i borghesi stanno di fronte al mare e i poveri là, dietro le montagne!
Esiste una sorta di paura delle differenze: ma in architettura le differenze non sono mai state un problema! Costruire un palazzo moderno a fianco di uno antico significa evidenziare le caratteristiche, sottolineare le peculiarità della singola opera.
La varietà è una qualità necessaria e può rivelarsi una forma di insegnamento.
Molti anni fa, fui chiamato nella città coloniale di Ouro Preto per costruire un nuovo hotel e gli amministratori locali volevano un edificio che rispettasse l’architettura tradizionale. Alla fine, però, prevalse la mia idea di erigere un albergo moderno e ciò non pregiudicò nulla, anzi, servì solo a mettere in rilievo la bellezza coloniale che lo circondava.
L’architettura si basa su regole eterne di equilibrio, proporzione e armonia, regole che si incontrano sempre nelle opere del passato: l’alternarsi di pieno e vuoto, di superfici piane e trasparenti, della linea retta e delle curve, oltre al contributo della scultura, della pittura e dei bassorilievi. Sono elementi che incontriamo sia nelle parti costitutive sia negli ornamenti.
Un esempio è il Palazzo Ducale di Venezia, capolavoro architettonico assoluto, con quei bellissimi archi arabescati, per mezzo dei quali l’architetto ha voluto un contrasto violento con le massicce pareti dei piani superiori.
Cosa avrebbe detto, mi chiedo, colui che ha concepito questo palazzo, di fronte ai dogmi puristi degli architetti attuali?
L’architettura può essere semplice e bella, insomma semplice e insieme diversa, dipende dall’idea di partenza. Per quanto mi riguarda, il punto di partenza è la tensione verso la bellezza, verso l’arte, in modo che la sorpresa, lo stupore, l’inatteso, come diceva Baudelaire, siano parte anche dell’opera architettonica. Così, chi passa per strada può fermarsi ad ammirare, restare stupito, farsi un’idea. Riflettere.
L’arte è un complemento importante, come nelle ville di Palladio i dipinti, le sculture: quando architettura e arte si incontrano è un momento eccezionale.
Per decorare i pannelli di vetro della cattedrale di Pampulha chiamai Candido Portinari, il quale realizzò un lavoro meraviglioso: l’insieme era talmente moderno che, per alcuni anni, le autorità ecclesiastiche non vollero consacrare la chiesa e il culto vi fu proibito. Poi cambiarono idea…
Se il luogo lo permette, anche l’architettura monumentale ha il suo valore: non mi sono mai tirato indietro di fronte alla richiesta di un’opera che provochi una forte emozione. Devono esserci però ragioni, argomenti che la giustifichino, come il Memoriale dell’America Latina, a San Paolo: mi piace l’idea che il cittadino, chiunque egli sia, quando passa di lì resti stupito, si interroghi, si sorprenda.
Ricordo quello che un giorno mi disse il presidente francese Georges Pompidou, scherzando ma non troppo, e senza nascondere il suo spirito reazionario, a proposito della sede che progettai per il Partito comunista francese: «È l’unica cosa bella che il Pcf ha realizzato!».
Ciò non significa che anche un’opera piccolissima non possa essere magnifica: c’è una chiesetta coloniale sperduta in una piccola città del Minas Gerais chiamata Sabará. La chiesa di Nossa Senhora do Ó è talmente piccola che è quasi un altare, ma è così bella!
La funzione, cioè l’uso che si fa di un’opera, non basta, anche la bellezza è utile. Ci sono opere del passato, certe chiese, certi palazzi, che oggi sono utilizzate in modo diverso, sono sopravvissute pur cambiando la loro funzione: ancora oggi le usiamo, le frequentiamo. Questo succede perché ciò che è rimasto non è l’utilità che avevano all’epoca, ma è la bellezza; la bellezza e la poesia sono sopravvissute al tempo.
Tratto da: Oscar Niemeyer, Il mondo è ingiusto