417. Il nutrimento
Il ventre! Il ventre! Ex ventre lux. Eravamo circondati di nutrimento. Un mare di nutrimento ci sommergeva. Montagne di nutrimento ci sovrastavano. Il sole del nutrimento ci riscaldava. I piedi sguazzavano nel nutrimento. Ecco l’uomo: il suo nutrimento. A immagine del nutrimento l’uomo è fatto. Nel nutrimento viviamo, ci moviamo e siamo. Le bandiere del Doganiere erano issate sui banchi del nutrimento. La gente festeggiava la presa di tutte le bastiglie della fame.
Sigè, che aveva addentato subito qualcosa, ebbe dolori viscerali e sintomi di soffocamento. Lo salvò un autorevole personaggio vestito da frate cappuccino, barba marmorea, occhiali d’oro, con un’erba tempestiva. Olàm riconobbe, sotto il travestimento, il venerabile medico della peste ateniese.
– Se c’è in giro Ippocrate, ci dev’essere anche il miasma epidemico in questo mercato.
Ecco là un altro imprudente che poco fa ha mangiato, per sfida, un grappolo d’uva. È un protofisico di gran nome che non voleva assolutamente ammettere la realtà del miasma, e per anni e anni non ha fatto che dire alla gente: mangiate pure, non c’è nessun pericolo.
Il poveretto aveva l’aria robusta, ma il dolore l’aveva subito stracciato. Tremava, vomitava, farneticava. Ippocrate gli prese il polso, lo scrutò in faccia e scosse la testa: – Ne avrà per pochi minuti –. Infallibile pronostico! Cinque o sei minuti durò l’agonia di quell’ottuso medico, che fu portato via da un paio di beccamorti in borghese che si aggiravano, con finta noncuranza, mescolati alla folla dei compratori, attorno ai banchi del nutrimento. Sigè, risanato, ma appena convalescente, fiutava la vicinanza del suo amico, che però non si mostrava.
Ci avvicinammo ai banchi di frutta, che di lontano parevano Esperidi e Hispaniole smaniose di essere saccheggiate. Da vicino, i frutti ci parvero malati di una laidissima perfezione. Erano più grossi del normale, tutti nati fuori della loro stagione, senza un’ammaccatura né un segno di corruzione, lucidi come scarpe di vernice. Sembravano dipinti: chi aveva mai visto, sugli alberi da frutto, quei falsi colori? Palpandoli, trovavi la durezza della pietra e il freddo della morte. Nessun profumo; solo un sentore triste di ospedale, di cripta mortuaria, di voltaggi esecutori di una sentenza.
– Vengono dai tropici e dagli orti vicini, – disse Ippocrate, – dalle valli alpine e dalle coste assolate; gioiosamente intatti da ogni corruzione naturale, gelidi e appestati.Vedemmo fragole che parevano fegati di bue, pomodori come piedi deformati dai calli e dalle storte, nocchiuti, gobbuti, linfatici, sclerotici. Ahi Tomate! Meraviglioso dono delle Indie Occidentali, quale maleficio aveva potuto ridurti in quell’orrido stato?
– Li generano il freddo e l’oscurità, – mormorò Ippocrate indicando le cassette in movimento – sono figli dell’Erebo e della Notte.
Nutrimento! Non era il Sole il padre dei frutti?
– In verità, – ci illuminò Ippocrate, – il signore delle Tenebre ha coperto del suo dominio tutta la parte di mercato che concerne il Nutrimento. Non troverete niente senza il suo terribile segno. Vi consiglio di non mangiare niente di quel che vedete. Sorvegliate il vostro cane. Se vedete bambini che desiderano qualche frutto, distraeteli con una favola. Tutto è contaminato. I formaggi, le uova, le carni, il pane, il miele, il latte, il burro, il vino… Soprattutto, non fidatevi del vino! Datteri africani, pompelmi della Guinea, prugne californiane, banane delle Antille… tutto quello che arriva qui, al Grande Mercato, proviene da un unico albero, l’albero di morte. Dolci, li fabbricano streghe e stregoni reclutati come coscritti, a ritmo acceleratissimo. I metalli più velenosi hanno corrotto la vita degli oceani. L’olio! Come può salvarvi l’olio? L’ulivo ci maledisce. Gettate quei barattoletti negli immondezzai. Il riso dell’oriente nasce dalla morte che gli ha portato l’occidente. Se ne mangerete, morrete… Non come morì Adamo della sua mela, alla quale sopravvisse novecento anni, ma di morte meno metafisica, perfettamente ippocratica.
Il maestro non voleva spaventarci: voleva solo avvertirci, comunicandoci il frutto delle sue osservazioni. Ma noi eravamo atterriti. Una madre gli presentò suo figlio, un bambino di due o tre anni, qualche briciola di torta sulle labbra; il bambino rantolava. – Salvalo, Ippocrate, tu che sei giusto!
Si vide Ippocrate versare tra le labbra del bambino, dopo averle accuratamente ripulite delle pericolose briciole, qualche goccia del suo hypocràs e fargli odorare una boccettina.
– Portalo a casa, dagli questo vomitivo e tuo figlio vivrà.
La donna gli baciò le mani e la barba.
– Dovrai però tenerlo lontano da ogni alimento, – disse il sommo medico.
– Con che cosa lo nutrirò, Maestro?
– Con le parole dei sapienti, – disse Ippocrate.
– Non fanno vivere.
– Fanno ben morire.
– Io voglio nutrirlo perché viva.
– In tutto questo mercato non c’è niente di buono per nutrirne tuo figlio.
– Allora perché me lo hai guarito?
– Perché tu mi hai detto: «Salvalo, Ippocrate». Io non potevo far altro che salvarlo. E se tu mi tornassi a chiedere la stessa cosa, tra un anno, quando tutto sarà peggiore, io cercherei di salvarlo di nuovo. Devo però metterti in guardia: l’unico limite al peggiorare del nutrimento è la cessazione del nutrimento. Se rifletterai su questo, donna, prima di avere scioccamente altri figli, verrai a chiedermi un’erba che guarisca l’utero dalla smania d’ingravidare.
– Perché non guarisci il nutrimento?
– Ha un male incurabile. Sono gli Dei che lo vogliono.
E Ippocrate sorrideva malinconico al bambino salvato. La donna si allontanò felice e rattristata.
Dopo l’avvertimento magistrale, ci astenevamo dal cibo; ma in un viaggio come questo è facile. La gente, invece, comprava e mangiava con voracità mai vista, e i due becchini di servizio presto morirono di sfinimento o, forse, di un formaggio. Ne vennero assunti altri, che ostentavano un bellissimo costume, moto simile a quello delle Guardie Svizzere del papa, e non avevano un momento di riposo.
Seduto su una cassa di pomodori vuota, c’era un addetto alla pulizia del mercato, che infischiandosene degli ammonimenti ippocratici mangiava tranquillamente pane, formaggio, melone e fichi, e si scolava senza paura anche un bel fiasco di vino. Si vedeva che stava benissimo. Allora, in quel mercato, c’era anche del nutrimento sano! Ma Sigè saltava intorno a quell’uomo come David davanti all’arca.
– Ecco il mio nemico, – disse Ippocrate.
– Ecco il mio, – disse l’angelo della morte, – scusate se continuo il mio pranzo, – (ci parlava masticando) – ma ho poco tempo.
Sigè voleva da lui del cibo, ma l’addetto alle pulizie saggiamente glielo rifiutò. Senza stupirci, trangugiò tre o quattro ostriche fresche, di cui due fidanzati, inesperti del mondo, erano morti poco prima.
– Dal tempo del morbo nell’Attica ci siamo incontrati parecchie volte, – disse l’angelo a Ippocrate, – ma qui la scena manca di grandezza, niente nobili colonne, niente cupole… vedete come sono vestito..
Noi eravamo molto meno potenti, ma certo molto meglio vestiti di lui. Enarchì aveva una piuma nuova. Qualunque momento è buono per un piccolo compiacimento.
– Questa volta, – disse Ippocrate, – il mio lavoro è più difficile e il tuo più facile. Come faccio a convincere la gente di non mangiare?
– Tanto più merito avrai, se qualcuno scamperà, – sorrise l’addetto alle pulizie, mettendo i denti in un panino alla mortadella, – ma la facilità di questo lavoro mi avvilisce. Inoltre, dovendo lavorare specialmente nelle ore del pranzo e della cena, sono costretto a mangiare in ore insolite, come adesso.
– Mi fa piacere che tu senta vergogna: ma perché avveleni il nutrimento?
– Non incolpare me; sta tutto scritto… – (e si spalmò sull’ultimo resto di pane un bel pezzo di gorgonzola poco rassicurante); – … al mio stile ripugna, ti assicuro… compiango gli uomini, credimi, la loro pazzia forzata, predestinata… un circolo senza scampo… E io vinco, come ho vinto sempre… – (dovette alzarsi, perché due sfarzose Guardie Svizzere gli chiesero la cassa di pomodori per un morto) – … ma tu che mi ostacoli, tu che non mi perdoni, tu che combatti, tu mi piacerai sempre, vecchio Ippocrate.
Il maestro ci accompagnò fino al limite del Nutrimento, conversando con pacatezza, e senza una parola vituperosa per il suo avversario. Vide con molta tristezza un gruppo di trafficanti che, con la complicità di autorevoli personaggi, stavano qua e là bruciando con risa e minacce i severi avvertimenti scritti da lui e dai suoi scolari per limitare il flagello. Ci salutò per tornare indietro, dove la sua presenza era sempre più necessaria. Così necessaria, da essere ormai inutile. (pp. 81-85)
Tratto da: Guido Ceronetti, La carta è stanca, Adelphi
Join the Discussion