Ha ragione Paolo Pejrone, ed io sono tutto con lui, quando nel suo libro In giardino non si è mai soli (2003) scrive: “Vedere i giardini da dietro un obiettivo è uno dei più errati e fuorvianti modi di vederli… Non c’è niente di più deprimente limitativo e “virtuale” della fotografia di un giardino: una fotografia, anche se bella e ben riuscita, può comunicare molto poco di un giardino.
Dove e come saranno i suoi rumori, i suoni, le temperature?… Dove saranno, in una fotografia, il ritornello armonico e ripetuto dei merli, quello allegro e vivace delle capinere?… La rugiada (o le brine) rendono i contorni più netti, definiti e brillanti. Le luci del mattino e quelle della sera conferiscono al giardino un maggiore carattere e un certo fascino insinuante. La luce del mezzogiorno, più forte e violenta, aumentandone i contrasti ne appiattisce le sfumature. Quelle sfumature che soltanto un giardino adulto può avere”.
E sono talmente d’accordo con lui che mi sono sempre rifiutato di far fotografare o fotografare io stesso i giardini che ho progettato e realizzato: “Visitare, passeggiare in un giardino – bello – è una delle più gradevoli sensazioni “artistiche” che si possono provare” conclude Paolo Pejrone.
Per giudicare e amare un giardino occorre prima di tutto frequentarlo, averlo conosciuto attraverso i propri occhi, i propri passi. C’è una unica eccezione che mi sento di fare (e non riguarda il giardino, ma le fotografie) in cui la fotografia non mente, ma solo riproduce e parla: è la mostra sugli Ulivi di Puglia che si è tenuta recentemente.
Perché oltre la qualità delle singole fotografie, conta più ancora, a mio avviso, la suggestione che esercita la vista di questi mostri (nel vecchio senso latino di monstrum), monumenti vegetali naturali, ciascuno lavorato nei secoli (perché non pochi di questi hanno più secoli di vita) dalle intemperie e dalla mano dell’uomo. Suggestione, almeno così opera su me e in me, che si traduce immediatamente in attrazione, nel desiderio di poterli avere sotto gli occhi e conservarli vivi nella memoria; di vederli, quegli Ulivi, nella loro luce marina, sparsi nella loro liberissima distribuzione, non mai in un disegno, come negli uliveti più tardi che siamo usi vedere in Puglia o in diverse altre regioni del nostro paese. E non conta poco anche la terra rossa da cui emergono.
Li ho visitati, questi luoghi, ormai diverse volte, ma mi è rimasto fitto dentro il desiderio di tornare, di muovere da uno all’altro, di esplorare metro per metro il loro regno, e riconoscerli, ciascuno nella sua forma.
E continuo ad augurarmi, oltre al pensiero più urgente che l’Unesco possa dichiarare questa intera area Patrimonio dell’Umanità e come tale proteggerla, che la provincia o non so chi per essa si adoperi affinché questi luoghi possano costituire una attrazione per i molti amanti del paesaggio, che certamente, se fossero fatti meglio conoscere, non mancherebbero – sono sicuro – di richiamare gli appassionati europei e non europei.
E voglio ancora ricordare che per me personalmente l’aver visto e visitato quest’area ripetutamente negli anni ha costituito una rivelazione, forse la lezione più importante sul disporre gli alberi che ho avuto nella vita; perché in nessun altro luogo come qui, dove sono in massima parte ottenuti (e divenuti quali sono) attraverso gli innesti operati sugli Olivastri selvatici, gli Ulivi sono nati e cresciuti come natura ha voluto sul luogo. Alberi isolati, conoscibili in ogni loro particolare da ogni lato, non mai ed in nessun momento privati della luce che li abbraccia, sono questi Ulivi il mio modello ideale; e se mai avessi la fortuna di progettare un parco, vorrei mostrare di aver appreso la loro lezione, assegnando a ciascun albero il proprio giusto spazio, quel tanto di vuoto necessario di cui abbisogna e la cornice che a ciascuno compete, secondo un dettato appreso in una lunghissima durata, tutta una vita di quasi ottanta anni di familiarità col mondo vegetale.
L’area su cui questi Ulivi pugliesi sono distribuiti non è certamente vasta, copre la costa molto prossima al mare tra Bari e Brindisi passando per Mola Polignano Monopoli Capitolo Fasano Egnazia Savelletri Carovigno.
Ed è tempo ormai che l’intera area venga protetta perché non si verifichino più le estirpazioni di questi monumenti vegetali per venderli ai privati – io non sono contrario a che si desideri avere una pianta o un ulivo annoso nel proprio giardino, a farne il centro, anzi, ma non mai uno di questi monumenti! Ci sono centinaia di uliveti nel nostro paese da cui si possono estrarre senza pericolo esemplari di una età decorosa senza andare per questo a distruggere un sacrario come questo pugliese; e peggio ancora, come si è fatto e tuttora ancora vien fatto, quando per adibire un campo a colture più redditizie non si esita ad abbattere gli Ulivi vecchi e non più produttivi.
È anche giusto che, ove finalmente si provveda a fare di questi spazi un’area protetta, i proprietari, contadini in massima parte, siano risarciti del danno economico che vengono a patire; non credo che si tratti di somme tali da non potersi spendere.
Se solo potessi e me ne fosse data la possibilità, vorrei, all’inizio del semestre universitario, condurre i miei studenti in questa area, perché la vista di quegli Ulivi possa costituire anche per loro la lezione, la migliore possibile, che ha già costituito per me.
Posso dichiararlo in tutta sincerità e senza nessuna enfasi, che se mai riuscissi coi miei sforzi che non ho risparmiato e non risparmio, assieme a Gianni Picella, che è stato il primo ad interessarsi alla salvezza di questi monumenti vegetali, a far sì che l’area fosse considerata Patrimonio dell’Umanità, riterrei ciò una mia conquista, anzi un mio merito, assai più grande e valido di tutto quanto ho fatto e scritto e sono riuscito a produrre nel mio campo.
Tratto da: Ippolito Pizzetti, Naturale inclinazione, Divagazioni coerenti di un paesaggista ribelle
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