Ditemi che cosa volete sapere: / Quanto alta una palma può diventare? / Qual è la noce di cocco più grossa che abbia mai visto? Quant’è lunga in media la foglia sul fusto? // Ma non aspettatevi che io sia breve /perché la storia della palma / è lunga da raccontare. John Agard, Palm Tree King, 1985
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Come molti dei più spettacolari dinosauri fossili, la palma rara detta coco de mer (Lodoicea maldivica) fu originariamente scoperta grazie a sue parti anatomiche sparpagliate in giro. Sulle spiagge delle Maldive furono ritrovate «doppie noci di cocco» gigantesche, grosse come palloni da basket troppo gonfiati; la specie fu quindi chiamata maldivica, anche se la palma madre di tali noci non vive alle Maldive. Si scoprì che la sua vera casa si trovava a duemilatrecento chilometri a sudovest da quell’arcipelago, su due isolette delle Seychelles. Il frutto del coco de mer contiene il seme più grande del mondo, e l’insieme, quando è in piena maturazione, può pesare addirittura ventitré chili. Più o meno come il bagaglio consentito se voli in classe economica.
Anche se viene chiamata «doppia», di norma questa noce contiene un seme soltanto; però sfoggia due ampi lobi tondeggianti che ricordano spudoratamente i glutei femminili. Una somiglianza che nel XVI e XVII secolo fece attribuire al coco chissà quali proprietà curative e afrodisiache: a Londra il prezzo di una sola noce poteva addirittura raggiungere le quattrocento sterline, anche dopo la scoperta della pianta madre nelle Seychelles. Questa associazione con la concupiscenza si è rivelata durevole, proprio come il sesso: nel 2003, nel quartiere londinese di Soho, è stato aperto un sexy shop d’alto bordo chiamato, appunto, «Coco de Mer».
Perché questa doppia noce di cocco è così grossa? Sembra che la risposta non abbia nulla a che vedere con il galleggiamento o la dispersione: i semi freschi della Lodoicea maldivica non galleggiano, e quelli che pure approdarono su spiagge lontane non germinarono mai, perciò i veri mezzi di dispersione della doppia noce di cocco non hanno niente a che vedere con quelli della sua quasi omonima Cocos nucifera, la palma da cocco famosissima per le sue traversate. Sarebbe più corretto chiamarla coco de terre che coco de mer. Esiste una pianta più incompresa di questa, con tanti nomi diversi — doppia noce di cocco, coco de mer, double coconut, Lodoicea maldivica — tutti sbagliati?
Dal momento che tutte le doppie noci di cocco che si allontanano dalle Seychelles muoiono, una dimensione così gigantesca non sarà stata progettata dall’evoluzione per farle viaggiare, ma per assicurare alle piantine che restano a casa tutte le sostanze nutritive necessarie alla sopravvivenza nel loro habitat originario. Ma che habitat potrà mai essere quello che richiede un seme così spropositato, e come si è evoluto? È quasi incredibile che l’unico tentativo di spiegare l’evoluzione di un mostro di natura tanto eccessivo e famoso sia stato pubblicato soltanto nel 2002: un articolo di Peter Edwards e colleghi della Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo a cui questo capitolo attinge a piene mani.80
Una delle due ultime roccaforti del coco de mer nelle Seychelles si trova sull’isola di Praslin, dove il Vallée de Mai National Park, in cui la palma vive, è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Geologicamente l’isola è antica, costituita da una montagna di granito: un frammento ribelle che probabilmente si staccò dall’India circa settantacinque milioni di anni fa, quando il subcontinente indiano si separò dal supercontinente meridionale di Gondwana per andarsene più a nord. Le piante autoctone che si trovano oggi nelle Seychelles sono dunque in gran parte viaggiatori di lungo corso, discendenti dalla flora arcaica gondwaniana, più che colonizzatori giunti di recente simili a quelli presenti in arcipelaghi di origine vulcanica più giovani come le Hawaii. Si ritiene che gli attuali parenti più stretti del coco de mer siano le palme del genere Borassus: nelle Seychelles non ce n’è nemmeno l’ombra, ma si trovano in Asia e in Africa, in habitat molto più secchi rispetto alla foresta tropicale in cui compare la Lodoicea . Il coco de mer, dunque, non soltanto è distante dal suo luogo d’origine, ma anche dal tipo di habitat cui i suoi antenati si erano probabilmente adattati. Come ha fatto l’evoluzione a trasformare una comunissima palma simile al Borassus — avvezza ad habitat savanici, e che magari produceva frutti contenenti diversi semi grandi come palline da golf — in un albero che dà frutti con un seme solo, ma grosso come una bomba?
Peter Edwards e i suoi colleghi hanno proposto una teoria ingegnosa che incastra perfettamente tutti i tasselli. Quando le Seychelles si spostarono a nord sulla scia dell’India, il loro clima sarebbe diventato più umido, comportando un graduale cambiamento: dall’habitat secco cui la palma Borassus poteva essersi adattata alle odierne condizioni di foresta tropicale. Quando su un continente il clima cambia, le piante migrano in un nuovo territorio appena questo diventa abitabile. Ed è esattamente quel che fecero gli alberi delle foreste di tutto l’emisfero boreale quando i ghiacciai si ritirarono, al termine dell’ultima era glaciale. Gli animali che si nutrono di semi, come i piccioni e le ghiandaie, sono le navi su cui viaggiano queste piante migranti che, grazie ai volatili, possono avanzare anche di un centi queste piante migranti che, grazie ai volatili, possono avanzare anche di un centinaio di chilometri. Tuttavia, quando il clima si modifica su un’isola oceanica come Praslin è difficile che i nuovi habitat si popolino di una casta di specie preadattate, poiché non c’è neanche una che aspetta di entrare in scena; l’isolamento, poi, rende improbabile che sbarchi qualcuno proveniente da altre parti. L’assenza di specie già adattate alle nuove condizioni offre alle specie già presenti una chance di evolversi per rispondere alle esigenze e opportunità di un ambiente in fase di trasformazione. La lentezza della deriva continentale — che garantisce un cambiamento climatico relativamente graduale — potrebbe avere facilitato anche il mutamento evolutivo.
Le foreste richiedono umidità, e l’umidità fa sì che gli alberi spuntino dal suolo ovunque ci siano semi. Nel momento in cui il clima delle Seychelles si fece più umido e la vegetazione più alta, le piantine di protococco, come potremmo definire questi progenitori, si sarebbero ritrovate a competere con piante sempre più alte per ottenere la luce. Sono quasi sempre gli individui con i semi più grandi a vincere una competizione di questo tipo; perciò, non appena l’altezza e la densità della vegetazione avessero iniziato ad aumentare parallelamente al grado di umidità, la selezione naturale avrebbe favorito le piante con semi sempre più grossi. Oggi il seme della noce di cocco sostiene la crescita della piantina così efficacemente che perfino la prima foglia ha un gambo lungo un metro e mezzo, e nell’arco di pochi anni un esemplare giovane può spingere le proprie foglie fino a dieci metri d’altezza.
Rispetto ad altri alberi, le palme hanno uno svantaggio innato: non sono in grado di aumentare la circonferenza del tronco man mano che crescono in altezza, come invece fanno, per esempio, le querce o i pini. In ragione di questa incapacità, una pianta giovane deve dotarsi di un tronco abbastanza massiccio e robusto da sostenere un albero perfettamente cresciuto trent’anni prima che di questo sostegno ci sia effettivo bisogno da un punto di vista ingegneristico. È come se ogni coppia di sposini novelli, subito dopo le nozze, fosse costretta a comprarsi — senza mutuo — una casa adatta a una famiglia numerosa, troppo grande per le sue esigenze immediate. L’unico modo per potersi permettere una cosa del genere è ricevere dai genitori un mucchio di soldi, oppure un seme bello grosso. Nella Londra del XVII secolo, per inciso, un seme di coco de mer avrebbe fruttato abbastanza per l’acquisto di una bella casa.
Probabilmente il protococco iniziò la sua carriera nello show business spinto dalla necessità di uscire dall’ombra; ma poi come ha fatto a ottenere la parte del protagonista? Dobbiamo sospettare che qui sia entrato in gioco un altro fattore. Più grossa diventava la noce del protococco, più vicina cadeva all’albero che l’aveva generata. Il posto peggiore dove ti puoi stabilire è giusto sotto la tua mamma, non soltanto perché sarà sempre più grande di te e ti farà costantemente ombra, ma anche perché lì vicino ci saranno tutti i tuoi fratelli e ti toccherà competere anche con loro. L’evoluzione risolse questo problema escogitando una soluzione di grande semplicità: se il seme è troppo grosso per spostarsi, facciamo muovere la piantina!
Il coco de mer e i suoi parenti continentali germinano in modo piuttosto insolito. Il seme sviluppa una specie di cordone ombelicale che sprofonda nel terreno e si allontana dall’origine raggiungendo una profondità che può andare dai trenta ai sessanta centimetri. È uno stratagemma evolutosi molto tempo fa tra gli antenati delle palme Borassus e Lodoicea, ma nell’adottarlo il cocco di mare si fece un po’ prendere la mano: il suo cordone può raggiungere anche i dieci metri di lunghezza prima che alla sua estremità spunti un virgulto. Il cordone, che può persistere per quattro anni, è il condotto che la giovane piantina utilizza per accedere alla riserva di cibo racchiusa nel seme. Questo meccanismo straordinario consente al coco de mer di trasformare le grandi dimensioni del seme — di norma, un ostacolo per la dispersione — in una risorsa che di fatto lo aiuta a disperdere la sua progenie. Rovesciando il rapporto classico tra raggio di dispersione e dimensione del seme, la Lodoicea ha aggirato uno degli inconvenienti che di solito limitano il vantaggio dei semi grossi: i discendenti troppo vicini finiscono per competere tra loro. Grazie al cordone, per le doppie noci di cocco «più grande» equivale a «più efficace» in ogni senso; e così l’evoluzione le ha instradate verso dimensioni senza precedenti.
La produzione di semi colossali comporta, ovviamente, costi significativi. Il loro sviluppo ha tempi molto lunghi: per raggiungere la piena maturità, una noce può impiegare anche dieci anni. Il numero di semi che una palma femmina può produrre nell’arco della sua vita è estremamente ridotto: in linea di massima, ben al di sotto del centinaio. Una palma adulta può ospitare nella corona una mezza tonnellata di frutti in fase di sviluppo, e questo peso spropositato è un handicap quando soffiano venti forti, che possono decapitare gli alberi femminili. La maggior parte delle palme non è in grado di ramificare, perciò la decapitazione risulta fatale. È un pericolo così grave per le femmine di coco de mer che nella riserva naturale di Vallée de Mai il rapporto tra esemplari adulti — che dovrebbe essere di 50:50 — pende decisamente a favore della popolazione maschile, con quasi due maschi per ogni femmina.
Il coco de mer è un mostro bizzarro e bellissimo, ma deve stare alle regole del gioco evolutivo come tutti gli altri: la selezione naturale favorisce i tratti che aiutano una pianta a produrre più discendenti. L’esito evolutivo di questa specifica palma è stato così insolito solo perché le circostanze lo erano altrettanto; e anche perché gli antenati avevano messo a punto e le avevano tramandato il trucchetto del cordone, che la palma poté sfruttare a suo vantaggio. Il risultato furono questi semi giganti.
Il range delle dimensioni dei semi delle diverse piante è vastissimo. La doppia noce di cocco è circa venti miliardi di volte più pesante dei più piccoli semi di orchidea, alcuni dei quali pesano soltanto un decimilionesimo di grammo. Semi così microscopici riescono a mantenersi vitali solo perché, nei primi anni di vita, le minuscole piantine di orchidea vivono parassitando determinati funghi. Tra le altre piante da seme, una parte significativa delle variazioni nel range dimensionale dei semi dipende dalle specifiche modalità di crescita delle specie.81 Gli alberi, di solito, hanno semi più grandi di quelli delle erbe, e tale differenza risale agli albori dell’evoluzione delle angiosperme. Le primissime piante da fiore erano erbacee, o piccole piante legnose, e avevano semi più piccoli delle gimnosperme loro progenitrici che, come le attuali gimnosperme, probabilmente erano alberi o arbusti legnosi. Questa tendenza verso semi più piccoli subì un’inversione nel momento in cui le palme si evolsero da antenati erbacei. In media, i semi delle palme come gruppo sono oltre quattrocento volte più grandi dei semi delle assai più piccole piante erbacee alle quali sono più strettamente imparentate.82
Un seme grande rappresenta evidentemente un vantaggio per una piantina giovane che, come la doppia noce di cocco, deve vedersela con piante molto più alte di lei; ma perché qualche pianta dovrebbe invece evolvere semi più piccoli? In che modo questi ultimi possono rappresentare un vantaggio? La risposta è che ogni seme è come un biglietto della lotteria per la sopravvivenza. Più ne hai, più alte sono le probabilità che almeno uno sia vincente. Dunque, se le circostanze consentono la sopravvivenza di semi più piccoli — magari perché la competizione è attenuata da elementi di disturbo o da qualche altro impedimento ambientale —, la selezione naturale favorirà le piante che producono semi piccoli in grande quantità rispetto a quelle che ne generano pochi ma di grandi dimensioni. Ecco perché, per usare i versi ispirati del nonno di Charles Darwin, «each pregnant oak ten thousand acorns forms». Ogni quercia madre forma diecimila ghiande.
Letture
Un libro di grande formato che racconta di grandi (e piccoli) semi anche attraverso raffinate foto artistiche: Rob Kessler e Wolfgang Stuppy, Seeds. Time Capsules of Life, Papadakis, London 2006.
Tratto da: Jonathan Silvertown, La vita segreta dei semi, Bollati Boringheri
Anna dice
grazie per aver segnalato questo bellissimo libro di Silvertown