La promessa di un campo

Un campo da qualche parte, appena fuori città. Per qualche milione di anni ha dormito sotto una coperta di ghiaccio. Poi un gruppo di individui con la mascella inferiore molto pronunciata vi si è insediato, ha acceso dei fuochi, su un piedistallo di pietra, ha sacrificato un animale a degli strani dei. I  milleni sono passati. E’ stato inventato l’aratro e qualcuno ha seminato il grano e l’orzo. Il campo è stato di proprietà di monaci, poi del re, poi di un mercante e infine di un agricoltore che ha ricevuto dal governo una somma generosa per cederlo alla colorata processione di ranuncoli, margherite e trifoglio rosso.

Questo campo ha avuto una vita movimentata. Un bombardiere tedesco, allontanandosi dal bersaglio, ci è volato sopra durante la guerra. I bambini hanno interrotto lunghi viaggi in macchina per vomitare ai suoi margini. La sera la gente ci si è coricata chiedendosi se le luci in cielo fossero stelle o satelliti. Gli ornitologi l’hanno calpestato con ai piedi calzini color sabbia alla ricerca di famiglie di codirossi spazzacamino. Durante un giro in bicicletta dalle Isole Britanniche due coppie di norvegesi vi si sono accampate per una notte e, nella loro tenda, hanno cantato Anne Knutsdotter e Mellom Bakkar og Berg. Le volpi si sono guardate attorno e i topi hanno compiuto viaggi d’esplorazione. I vermi non sono usciti dalle loro tane.

Ma per questo campo il tempo è  scaduto. L’appezzamento di tarassaco presto diventerà il soggiorno del numero 24. qualche metro più in là, tra i papaveri selvatici, ci sarà il garace del numero 25 e là, tra le licnidi bianche, la sala da pranzo dove qualcuno che non è ancora natoun giorno litigherà con in suoi genitori. Sopra la siepe ci sarà la camera dei bambini, disegnata da una donna al computer in un ufficio con l’aria condizionata in un complesso accanto a un’autostrada. In un aereoporto all’altro capo del mondo un uomo sentirà la mancanza della sua famiglia e penserà a casa sua, le cui fondamenta saranno state scavate dove ora c’è una pozzanghera. Il villaggio di Great Crosby farà del suo meglio per suggerre la sua età e la sua inevitabilità, ma non si dirà più nulla dei codirossi, dei picnic o della lunga serata estiva cui risuonavano le note di Mellom Bakkar or Berg.

Tratto da: Alain de Botton,  Architettura e felicità (The Architecture of Happiness)