La campagna elettorale è appena cominciata ed è già tutto chiaro. Siccome il Rosatellum impone le alleanze elettorali più larghe possibili, la coalizione favorita – la destra – tiene dentro tutti, mentre quella sfavorita – il centrosinistra – tiene dentro chi non ha i voti e fuori chi li ha. La destra litiga su chi fa il premier: Salvini e B., in picchiata nei sondaggi, non vogliono la Meloni, colpevole di essere prima. B. dice che “Meloni spaventa i nostri elettori”, che però sono un quinto di quelli di FdI, cioè molti meno di quanti ne spaventa lui. Se passa la regola del “vinca il peggiore”, alla fine a Palazzo Chigi andrà Lupi, o Cesa. Il Pd invece, avendo scelto di perdere, non ha il problema del premier: Letta parla solo di quello vecchio, sotto forma di Agenda Draghi. Seguiranno Portapenne Draghi, Gomma Draghi, Svuotatasche Draghi e tutto il set. Più che il premier, Letta vuol fare il “front runner”, che nessuno sa cosa sia, tranne che è come “un quadro di Van Gogh” (una natura morta) e ha “gli occhi di tigre”: la Tigre di Mompracem, anzi di Lexotan. Calenda invece rivuole Draghi e si allea con Letta solo se giura che non farà il premier. Se poi Draghi non vuole, “al massimo il premier lo faccio io”: si sacrifica lui.
Siccome il perimetro di Letta è l’Agenda Draghi, i 5Stelle sono fuori perché nell’ultima settimana non gli han votato la fiducia: invece Fratoianni, che non gliel’ha votata mai per 18 mesi, è dentro. E fa coppia fissa con l’ambientalista Bonelli nel Cocomero rosso-verde, simbolo ortofrutticolo della transizione ecologica che è l’opposto del programma del neoalleato Calenda. Il quale, se tutto va bene, porta con sé mezza FI: Brunetta, Gelmini, Carfagna e tal Giusy Versace, che “non riconoscono più i toni di Berlusconi” (in effetti è da un po’ che non dà dei “comunisti con le mani sanguinanti” ai pidini e dei “coglioni” ai loro elettori, non fa bisbocce con Putin, non mima il mitra alle giornaliste russe, non ripete che “i giudici sono un cancro da estirpare”, non loda il Duce e non racconta quella della mela al doppio gusto). Col Pd c’è anche il Partito dei Sindaci, nato da un furtivo amplesso fra Di Maio e Sala allo scopo di candidare Di Maio, che non è sindaco, e Pizzarotti, che non lo è più e ha passato gli ultimi cinque anni a insultare Di Maio. Sala invece sindaco lo è, ma non si candida, e come lui nessun altro sindaco: per entrare nel Partito dei Sindaci bisogna non essere sindaci. E ovviamente avere un simbolo, fornito da Tabacci, che l’ultima volta l’aveva prestato alla Bonino, che adesso sta con Calenda e ha liberato il posto. Ora manca l’insegna: Sala&Tabacci.
Conte corre da solo con i 5Stelle. E Grillo, dopo 18 mesi di impegno indefesso per affossarli, pare minacci di fare finalmente qualcosa per loro: andarsene.
MARCO TRAVAGLIO.
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