Se fino ad allora aveva lottato solo con sé stesso contro le difficoltà della vita, da questo momento in poi la lotta si fa più aspra, perché nella sua vita compare il più acerrimo nemico dell’umanità, il Male. Il male che nei Rig-Veda è personificato dal Dio Mara, colui che ferisce con le frecce prese in prestito da Kama il Dio dell’amore con il quale spesso viene confuso e che secondo i Rig-Veda, fu il primo seme generatore dell’anima ( Lib.X, 129° inno ) e che fa ricorso a tutte le sue arti malvagie per impedire a Siddhartha di diventare un’Illuminato. Mara il Dio dell’odio e dell’amore, del peccato e della morte perché il desiderio di vivere è condanna a morire. Lo tenta con le lusinghe, promettendogli di farne il Re dell’Universo ( Kakravartin ), cioè colui che governa un vastissimo territorio o Kakra, nome da attribuire al disco segno d’autorità che precedeva il Re quando si recava in visita negli sterminati territori che governava, ma il principe lo caccia via perché lui non era in cerca né di gloria né di tesori né di regni, lui cercava la scienza salvifica ( Bodhi ). Era il cuore della notte quando abbandonò la casa paterna per seguire il suo destino, nel cielo brillava l’astro Pushya, la stella che protegge i viandanti. Prima di allontanarsi da Kapilavastu si volta indietro per vedere un’ultima volta la città dove aveva vissuto gli anni più belli della sua vita, condividendo l’esistenza con quelle persone tanto amate che quella notte stava lasciando forse per sempre. Ancora una volta fu la sua forza di volontà a prendere il sopravvento, e salutata con un ultimo addio la sua città disse: “Io non ti rivedrò se non dopo aver ottenuto ciò che cerco, quando avrò vinto il dolore e la morte, quando sarò riuscito a spezzare l’eterna catena della transmigrazione, annullato per sempre il fatale succedersi dell’esistenza”. Per tutta la notte viaggiò in compagnia del suo fedele Chandaka e del cavallo Kantakanam nato nello stesso giorno del principe Siddhartha. Lasciatasi alle spalle la sua terra si diresse verso la città di Meneya. L’alba lo sorprese quando era veramente ben distante da Kapilavastu. Allora si spogliò dei suoi abiti principeschi e li scambiò con un logoro vestito di pelle di daino, di colore giallo, appartenenti ad un cacciatore incontrato sulla sua strada, con la spada si tagliò i lunghi capelli e affidò al suo fedele servitore Chandaka i suoi ornamenti da portare a sua madre Prajapati Gotami e il suo cavallo Kantakanan ( che morì di tristezza dopo l’abbandono del suo padrone ) e andò incontro da solo verso la sua nuova esistenza. Sua madre Prajapati Gotami con il cuore gonfio di tristezza non volle accettare i gioielli di Siddhartha perché gli avrebbero ricordato quel figlio ormai lontano dal mondo e li gettò nel pozzo, che da allora venne chiamato “ Il pozzo dei gioielli ( Abharanapushakri ).Yasodhara invece, nonostante fosse a conoscenza dell’irremovibilità del proposito di Siddharta, coltivò sempre in cuor suo la speranza di un suo ritorno e nonostante fosse preparata ad una così crudele separazione rimase inconsolabile, nonostante le parole di conforto del fedele Chandaka che le aveva predetto che un giorno avrebbe fatto ritorno a palazzo come un Buddha.
Si diresse verso la cittadina di Vaisali, una città al nord del Gange per ricevere gli insegnamenti di un dotto Brahmano di nome Arata Kalama,e per essere istruito nello studio della dottrina brahmanica. Entrò nella casa del suo Maestro come discepolo, ma ben presto il suo grado d’istruzione lo fece distinguere tra gli oltre trecento discepoli del maestro, il quale lo volle al suo fianco per condividere l’insegnamento. Siddhartha non aveva comunque trovato gli insegnamenti del maestro soddisfacenti, perché non rispondevano al suo prepotente bisogno di appagare lo spirito con il possesso della pura e vera dottrina. Rifiutò l’offerta e abbandonò Vaisali per recarsi a Rajagriha nel Magadha dove viveva Ruddraka Ramaputra, maestro di settecento allievi, la cui fama di uomo saggio non aveva uguali; decise di fermarsi lì per ascoltarne gli insegnamenti. All’arrivo di Siddharta, la folla accorse per incontrarlo, giacché la sua fama si era diffusa fino Rajagriha; Il re Bimbisara, re del Magadha volle incontrarlo personalmente per ascoltare le sue parole e anzi gli offrì ospitalità e ricchezze, che Siddharta puntualmente rifiutò. Bimbisara si convertì in seguito al Buddhismo nel XVI° anno del suo regno. La sua vita era stata molto simile a quella di Buddha, perciò fu inevitabile che tra i due si stabilisse da subito un buon rapporto; Secondo il Mahavansa, scritto attorno al V° sec.d.C. da Mahanama che lo compose studiando i più antichi documenti, rifiutò l’offerta del saggio Rudakra Ramaputra che al pari di Arata Kalama lo avrebbe voluto al suo fianco per condividere l’insegnamento. Siddharta dopo aver studiato col saggio Brahmano per un lungo periodo, prese congedo, non trovando più nella dottrina l’appagamento della sua sete spirituale. Prima di prendere congedo si rivolse al suo Maestro con queste parole: “ Questa scienza che mi avete insegnato, non ha la forza di liberarmi dalle passioni, né di porre termine a quell’eterno divenire che si chiama vita; non conduce all’indifferenza per le cose del mondo, non infonde la calma nell’animo, né porta all’acquisto della perfetta intelligenza”. Detto così, lasciò Rajagriha, seguito da cinque giovani Brahmani, Kaundinya, Bhadrika, Vashhpa, Mahanama e Ashvajit, i suoi primi discepoli. Una volta fuori dalla capitale di Magadha, Rajagriha, si diresse verso il villaggio di Uruvela città situata sulle rive del fiume Nairanjana, una città poco abitata luogo ideale per lo studio e alla meditazione, lì decise di fermarsi per iniziare la sua vita ascetica, conducendo una vita austera e sottoponendo il suo corpo ad inaudite mortificazioni a causa dei digiuni prolungati. Rimase in quei luoghi per sei anni tentando di accrescere la sua pazienza e la sua virtù, dedicandosi in particolare a quella scienza detta Pradhana che consisteva nel vivere a stretto contatto della natura, cercando di carpirne i segreti più reconditi, metodo ampiamente sfruttato dai saggi asceti indù per acquisire la perfetta conoscenza delle cose della terra. Trascorsi sei anni, nella sua mente si fece strada il dubbio che né tutte le mortificazioni, né tutto il tempo passato in contemplazione, né tutti i digiuni e le macerazioni del corpo che lo avevano portato allo sfinimento, erano bastate a raggiungere il perfezionamento che cercava e alla perfetta conoscenza delle cose mondo, decise di ritornare a vivere come prima, lasciandosi alle spalle tutti quegli anni di inutili e irragionevoli mortificazioni delle carni e dello spirito. Quando Siddhartha decise di ritornare a vivere, i suoi primi cinque discepoli lo osteggiarono, considerandolo privo di carattere per aver abbandonato la vita ascetica. Durante quei sei anni fu costretto anche a sostenere una lotta aspra e dura con Mara il quale ricorse ad ogni sorta di tentazione pur di indurlo ad abbandonare il sentiero attraverso il quale si era incamminato. “ I desideri, la noia , la collera, l’adulazione, la fama, la sete, le passioni, l’indolenza, il sonno, il timore, il dubbio, l’ipocrisia, le lodi e il biasimo, sono le pedine del demonio o di Mara il tentatore, che li usò tutti contro Siddhartha. Ma il bene comunque ebbe la vittoria e Mara si ritirò nei suoi domini sconfitto e umiliato. Siddhartha lasciato solo dai suoi discepoli continuò a vivere ad Uruvela, dedicandosi con rinnovato vigore allo studio e alla meditazione. Fu proprio ad Uruvela che cominciarono ad essere poste le prime pietre necessarie alla costruzione dell’edificio della nuova religione. Due giovani donne figliole del signore del vicino villaggio, Nanda e Nandabala, andavano tutti i giorni da lui portando in dono il riso e il latte, base della sua alimentazione. Altre fonti però raccontano di una fanciulla Sujati che sorprese Siddharta in meditazione sotto l’albero sacro. Sujati vedendolo lo adorò, scambiandolo per il Genio degli alberi, pregandolo affinchè le concedesse la grazia di fare un buon matrimonio rallegrato dalla nascita di un figlio. Sujata vide realizzati i suoi desideri e per riconoscenza continuò a portargli doni. In breve tempo recuperò le forze e la bellezza che i sei anni passati in continue macerazioni e mortificazione delle carni avevano distrutto. I vestiti del cacciatore ormai non erano altro che logori brandelli, erano stati indossati per sei lunghi anni trascorsi a girovagare di città in città, da una giungla all’altra spesso senza un rifugio, con la nuda terra come posto per riposarsi. Divenne allora necessario provvedere a sostituire gli abiti. Sujati la figlia del signore di Uruvela che era diventata una sua devota, continuava ad andare a portargli il cibo assistita da dieci fanciulle, aveva una serva chiamata Ruddha che era morta da poco ed era stata sepolta nel vicino cimitero, il suo corpo avvolto in un sudario di lino ( Sana ). Pochi giorni dopo la sua sepoltura, Siddhartha aprì la tomba e ne estrasse il sudario. Lavò egli stesso il sudario sporco di terra in un fossato e tagliò e cucì l’abito con le sue mani. Il posto dove si fermò per cucire l’abito fu chiamato Pansukula-Sivana cioè “ La cucitura del sudario “. Questa fu una delle ragioni per cui quando fondò l’ordine monastico volle che i suoi monaci fossero vestiti di abiti simili a quelli indossati dai fuori casta In altre storie, si parla invece di due fratelli Trapusha e Ballika che si assunsero il compito di nutrire il Buddha durante la sua permanenza ad Uruvela. Dopo questi episodi, finalmente Siddhartha riceve l’illuminazione diventato un Buddha uno Svegliato o un Illuminato, diventando possessore di quella scienza che stava rincorrendo disperatamente da sette anni. A Bodhimanda o Bodhi-Gaya , all’ombra di un gigantesco albero di Ficus religiosa, pianta simbolo delle foreste Indiane, il giovane Siddhartha divenne un Buddha ( Lo svegliato ). La leggenda ci tramanda quelle che pensiamo siano state le parole di Buddha pronunciate sotto l’albero sacro, quando la verità si fece prepotentemente strada per essere rivelata. “Ho trascorso egli disse, infinite esistenze, cercando l’artefice di questo ricettacolo di concupiscenza che si chiama uomo e con profondo dolore sempre rinacqui”.
…” Finalmente ti vidi e ti conobbi, o artefice di vita! E tu per me non fabbricherai più questo albergo di passione e di appetiti. Io spezzerò i tuoi arnesi; disperderò le tue pietre”… “ La mia mente riposa per sempre; le passioni sono spente né torneranno di nuovo”. Sette giorni durò la sua meditazione, sette giorni che egli trascorse gettando le fondamenta di quella che sarebbe stata la sua dottrina e finalmente trovò la risposta alle domande che si era sempre posto: “Qual’è la causa di tutte le miserie e di tutti i dolori che affliggono l’uomo?” “ di certo é l’esistenza? L’amore. L’amore nasce dal desiderio e dalla concupiscenza, e questa dai sensi, e i sensi sono turbati da quanto c’è nel mondo. Ma se ciò che è nel mondo tocca i sensi, li commuove e fa nascere la concupiscenza. L’amore, la vita, il dolore, è così perché l’uomo considera il mondo con mente vacillante e pregiudizievole. I mali sono causati dall’ignoranza. L’ignoranza è dunque la causa di tutti i mali; dall’ignoranza nasce il mondo e tutto quello che esso contiene. La scienza che dissipa le tenebre ha dissipato le tenebre che erano in me, ha dissolto ogni illusione, come la luce dissipa le tenebre, mi ha mostrato le cose nella loro realtà, e ho visto la vanità di tutto quello che mi circonda. Mentre nel mondo esiste solo afflizione e dolore. Gli esseri, miserabilmente trattenuti nel vortice della vita, sono trascinati qua e la dalle onde disordinate della concupiscenza; attratti da fallaci apparenze verso oggetti che non saziano i desideri. Solo la scienza può salvare l’umanità” La scienza di cui parla l’Illuminato , ha le sue basi nelle grandi “ quattro verità “ dette anche Katuraryani satyani, e sono :
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Il dolore è il retaggio di tutti gli esseri, in qualunque condizione essi siano ( Dei, uomini, animali, demoni ).
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L’infinito numero di desideri e di passioni che riempiono il cuore dei viventi, è la causa del dolore.
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Dominare le passioni e i desideri è il solo mezzo per stare bene.
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La distruzione delle passioni e dei desideri si trova nel Nirvana, o nella distruzione dell’essere.
Questi quattro pensieri furono il fulcro centrale del pensiero a cui giunse dopo anni di meditazione e su cui ancora oggi ruota il perno spirituale di tutto il pensiero Buddhististico. La verità gli fu rivelata mentre era in meditazione sotto l’albero Bhodi ( Bodhidruma ), Vicino all’albero della visione, Xuang Tchang vide una statua del Buddha fatta costruire da Maitreya uno dei suoi più famosi discepoli.
Qualunque Sakyamuni , dopo questa sua trasformazione in Buddha, avrebbe eretto sé stesso un gradino in su rispetto a tutto il resto dell’umanità, perché era riuscito a sottrarsi alle leggi che governavano la vita di tutti gli esseri. Ma il Dio del male era sempre in agguato; vedendo il suo regno approssimarsi alla fine, si presentò ancora una volta dal grande Saggio che si vantava di avere dominato le passioni e la concupiscenza e gli disse: : “” Uomini e dei vivono soggiogati dai sensi; e per i sensi, le passioni si aprono un varco nel cuore, lo circuiscono, lo seducono, e lo trattengono nelle catene di una irresistibile schiavitù. Sarai tu l’eccezione a questa universale condizione degli esseri? O uomo, tu puoi aver raggiunto il più alto grado di saggezza, ma non per questo ti potrai mai vantare d’essere al di la dei confini del mio regno. Ma il Buddha per nulla intimidito dimostrò ancora una volta che ogni tentazione era vana, lui si era liberato per sempre dalla servitù, in cui vivono tutte le creature; era arrivato ad appagare tutte le passioni che perturbano il cuore dell’uomo. Mara fu costretto a riconoscere a malincuore le virtù e la perfezione morale alla quale era giunto Buddha, e allora pieno di vergogna sprofondò nel profondo degli abissi. Tre delle sua figlie, Trishna, Rati e Ariti, vedendolo oltremodo afflitto si premunirono di chiedergli la ragione, egli a malincuore raccontò di come fosse stato sconfitto e del senso d’impotenza che lo assaliva al pensiero di dover ancora scontrarsi con lui. Le tre figliole udito il racconto lo consolarono, promettendo di andare loro a verificare lo stato delle cose, perché le arti malvagie sono meglio e più efficacemente esercitate delle donne piuttosto che dal demonio. Ma si resero conto fin troppo presto che Buddha era al di sopra di ogni uomo e di ogni Dio. Ora aveva finalmente trovato la verità che cercava, ma gli uomini avrebbero capito la sua verità , avrebbero ascoltato le sue parole, avrebbero percorso insieme a lui il cammino sul sentiero della saggezza? Per ottenere questo la lotta che avrebbe dovuto intraprendere si preannunciava ancora più aspra di quella sostenuta con Mara, i suoi mostri, i suoi demoni, le sue tentazioni. Questa volta c’era da combattere contro un mondo antico che lui non sentiva più suo, doveva abbattere le vecchie credenze, scontrarsi con la cattiveria di coloro che non credevano alla sua verità, il dubbio dell’incertezza fu sul punto di prendere il sopravvento, avrebbe tenuto per sé la rivelazione; ma grande era la miseria degli uomini, la sua legge avrebbe allontanato l’oscurità in cui l’uomo era sprofondato per l’ ignoranza e che senza il suo aiuto sarebbero andati inevitabilmente alla deriva. L’amore per gli uomini, (che solo Gesù ha provato con la stessa intensità ) lo spinse a prepararsi per portare a compimento la sua opera.
Si ricordò dei cinque discepoli che avevano condiviso con lui i sei anni di ritiro ad Uruvela. Costoro lo avevano abbandonato, delusi dal fatto che avesse deciso di abbandonare la vita ascetica alla quale si erano consacrati, avevano visto in questo un segno di debolezza del proprio maestro spirituale. Buddha temeva di ricevere da loro un rifiuto, peròcontava sul fatto che una volta rivelata loro la verità, essi l’avrebbero seguito e iniziato con lui la sua opera apostolica. Decise di partire alla loro ricerca, durante il tragitto fu fermato più volte dalla folla nelle città di Rohitavastu, Uruvela-Kalpa, Anali e Sarathi, dove ottenne ospitalità dalla gente del paese. Dovette anche attraversare il fiume Gange, ma era la stagione delle piogge, allora fu costretto a chiedere l’aiuto di un traghettatore per essere trasportato all’altra sponda ma non aveva i soldi per pagare il passaggio e fu costretto a fermarsi in attesa di poter guadare il fiume, fu allora e per sempre che il re Bimbisoara ricordando questo episodio,esonerò tutti i monaci dal pagamento delle tasse. Questo re che nella sua vita non fece mai mancare il suo appoggio al Buddha dopo la sua conversione, non fu imitato almeno inizialmente da suo figlio Ajatasatru, famoso per essersi macchiato di un crimine inaudito; per impossessarsi del trono fece imprigionare suo padre nelle segrete del palazzo facendolo morire d’inedia. Istigato da Dewadatta il perfido cugino di Buddha cercò in tutti i modi di ostacolare la propagazione della nuova fede, finché toccato profondamente dalle parole e dagli insegnamenti del Buddha, si convertì e confessò i suoi delitti. Un intero Sutra, “ Samanna-phala Sutra racconta della sua tormentata conversione e della sua parte nella grande riforma, si racconta inoltre che fu uno degli otto personaggi a che divise le reliquie del Buddha a Kusinagara luogo dove prese il commiato dal mondo. Li trovò nel bosco di Mrigadava chiamata anche Rishi-patana, che significa “ Parco delle Gazzelle “ vicino Varanasi. I cinque asceti ricordando quello che era successo e che ai loro occhi di uomini della classe superiore che vivevano la quarta fase della loro esistenza di Brahmani, quella della rinuncia al mondo o Sannayasa, era apparso come un chiaro indizio di debolezza, risolvettero di non concedergli gli onori riservati al proprio Maestro, un chiaro segno di mancanza di rispetto, impensabile per i rigidi osservatori delle Leggi Brahmaniche codificate nel Codice Manu. Mentre prendevano questa decisione, un istinto segreto li spinse ad alzarsi in piedi, incapaci di adempiere a quanto avevano concordato prima: Mostrano subito il loro segno di rispetto, toccandogli la tunica, i suoi indumenti religiosi e la ciotola delle elemosine. Distesero una stuoia e prepararono l’acqua per lavagli i piedi. “ Ayushmal ( Signore ) Gautama, benvenuto; degnati di sederti su questa stuoia” Dopo aver espletato i convenevoli di rito, dissero: “ I sensi di Ayushmat Gautama sono perfettamente purificati, la pelle è pura, l’ovale del viso è puro; Ayushmat Gautama sei forse in possesso del discernimento della venerabile saggezza?”Rispose.” Non chiamatemi Signore. Tanto tempo fa voi mi avete servito con devozione e io non ho saputo ricambiarvi. Si, adesso vedo la chiarezza dell’immortalità e il sentiero che conduce all’immortalità; ho sconfitto il peccato e sono un maestro di Legge, seguitemi, io insegnerò voi la Legge. Io vi istruirò e il vostro spirito sarà liberato dalla distruzione e dal male acquisterete la perfetta conoscenza di voi stessi. I cinque asceti prostrati ai suoi piedi confessarono le loro mancanze e acclamarono il Buddha “ Maestro del Mondo “,accettando la sua dottrina con tutta la fede e tutto il rispetto, diventando i primi convertiti alla nuova fede i suoi primi apostoli. A Sravasti nel Kosala a nord del Gange fece la sua prima predica e trascorse parte della vita.
Dopo aver girato in vari luoghi insieme ai suoi discepoli per portare la sua dottrina, arrivò il momento della separazione e riuniti tutti intorno a lui disse: Io sono libero da ogni passione che tengono sottomessi gli uomini e gli Dei: e voi ancora, docili alle istruzioni che avete ricevuto da me, godete del medesimo e glorioso privilegio. Ma un grande dovere incombe ora su tutti noi, quello di lavorare efficacemente a favore degli Dei e degli uomini, al fine di dare anche a loro l’impareggiabile beneficio. Per il successo dell’impresa, dobbiamo dividerci, separarci per le varie regioni… andate e predicate la mia Legge; esponetela con diligenza e amore in ogni sua parte; esponetela a tutti gli uomini senza eccezioni. La vita di Buddha non è altro che una serie interminabile di peregrinazioni, ovunque trovasse orecchie per udire la sua parola, egli si rivolgeva a tutti gli uomini dagli ultimi, quelli esclusi da ogni classe, fino ai principi e ai re, e ovunque raccoglieva folle di gente convertita dopo aver ascoltato la sua parola. Molti sono gli episodi che ci raccontano il modo che trovava per convertire e guarire l’animo umano dalle passioni che l’agitavano. In un episodio si racconta la storia di Thirima una splendida cortigiana che viveva a Rajagriha. Era una donna molto pia e non passava giorno che non distribuiva il cibo per l’elemosina dei discepoli di Buddha. Uno dei suoi giovani monaci, si innamorò perdutamente di quella donna, dimenticando l’osservanza della Legge a cui aveva consacrato la sua esistenza. Thirima si ammalò e in breve tempo morì. Il Buddha osservando lo stato in cui versava il suo giovane discepolo innamorato, portò i suoi discepoli a casa della cortigiana che giaceva ancora insepolta nel suo letto di morte. Il corpo irrigidito dal rigor mortis, cominciava a presentare i segni dell’avanzato stato di decomposizione, un fetore insopportabile ammorbava l’aria. Ecco il corpo di Thirima, disse il Buddha; ecco la donna che vendeva a cento monete d’ argento un istante di piacere: Qualcuno la vuole per la metà?….chi la vuole per un terzo?… chi la vuole per nulla?….Nessuno! Come tutto è fugace, come tutto è mutevole, guardate Thirima, la bella tra le belle, la donna più desiderata tra le donne. Iniziò così a fare un discorso sulla caducità delle cose umane; la storia racconta che durante quel sermone fece 82.000 conversioni, ma quello di esagerare il numero è stato un fenomeno diffuso in tutte le storie delle religioni. Da allora il giovane monaco guarì definitivamente dalla sua malattia d’amore.
Anni dopo la sua fuga dal palazzo, al re Suddhodana viene riferito che suo figlio, dopo sei anni di dure mortificazioni delle carni e dello spirito, aveva raggiunto la perfetta illuminazione, e sapendolo vicino a Rajagrha mandò un suo messaggero con questo messaggio: “ Tuo padre Suddhodana desidera vederti”. Il messaggero raggiunse il monastero mentre il maestro spiegava e colpito profondamente dalle sue parole chiese di entrare nell’ordine. Il Buddha lo accolse e divenne così indifferente alle cose del mondo da dimenticare di riferire il messaggio. Inviò un secondo messaggero ma anche costui fu colpito dalla Rivelazione da dimenticare il suo compito. Allora si rivolse al suo primo ministro Kaludayin e questi acconsentì solo alla condizione di ottenere il permesso di diventare monaco. “ Mio caro amico disse il re, ti lascio libero di scegliere, ma in nome della nostra amicizia ti chiedo solo di portare il mio messaggio, i mie giorni stanno per arrivare alla fine, voglio rivedere un’ultima volta mio figlio”. Quando Buddha ricevette il messaggio dall’ormai monaco Kaludayin, si incamminò verso Kapilavastu, aveva davanti a se due mesi di cammino. Durante il suo cammino continuava a crescere il numero dei suoi seguaci, soprattutto tra i mercanti, molti dei quali con estrema generosità iniziarono a costruire i primi monasteri per la comunità, luoghi di riposo e meditazione per i monaci durante la stagione delle piogge. Il monaco Xuanzang, durante il suo pellegrinaggio nei luoghi sacri del Buddhismo, trovò i resti del monastero di Jetavana a Sravasti, capitale del regno del re Prasenajit, luogo dove sorse una delle prime comunità monastiche che accolsero anche le donne. Fu il ricco mercante Suddhatta che desideroso di acquistare il terreno per edificare il monastero, si rivolse al principe Jetavana, il quale chiese tante monete d’oro da ricoprire completamente il pezzo di terra. Il mercante senza perdersi d’animo ricoprì il terreno di monete, ma giunto quasi al termine dell’operazione le monete finirono, fu così che Jetavana commosso dalla fede del mercante, si offrì di far costruire lui il monastero, perché il Buddhismo era un terreno fertile da seminare degnamente.
Giunto nei pressi di Kapilavastu con il suo numeroso seguito, inizialmente trovò una fredda accoglienza, perché non si era mai visto un principe di sangue reale bussare di uscio in uscio per mendicare il proprio sostentamento, ma poi giunto al palazzo viene accolto con tutti gli onori, la parte più commovente del ritorno a casa è quello tra sua moglie Yasodhara e il figlio Rahula, il quale pur nella sua tenera età dimostra di essere un forte sostenitore della dottrina del padre e chiede di poter entrare anche lui nell’ordine insieme a suo zio Nanda e al cugino Ananda, il più fedele discepolo del Maestro e destinato a diffondere ovunque la sua parola, tramandandola con i suoi scritti i suoi insegnamenti. Buddha leggendo ancora una volta la delusione negli occhi di suo padre, per averlo privato di nuovo degli eredi al trono, stabilisce di accettare nell’ordine solo coloro che avessero preventivamente ricevuto il consenso paterno. Il re Suddhodana, arrivato comunque alla fine dei suoi giorni, trova grande conforto ascoltando la parola dell’Illuminato e si converte anche lui alla nuova fede e muore nella più grande beatitudine.
Durante il suo ritorno a casa, trova anche il tempo di porre fine alla lotta tra i Sakya e i Kolya. Questa contesa era insorta a riguardo delle acque del fiume Rohini, acque che durante la stagione secca non erano sufficienti ad irrigare i campi delle due sponde. Buddha informato della ragione della sanguinosa contesa cosi parlò: “ Qual’è il valore dell’acqua?” chiese il Budha “ E’ veramente irrisorio “ risposero i principi. “ E qual’è quello della terra?” “ E’ anch’esso piuttosto scarso “ risposero. “ E quello della vita di un principe?” “ Non può essere misurato con l’oro” risposero. “ E allora perché volete distruggere quello che è un bene inestimabile per qualcosa che non ha valore ?
I suoi parenti Sakya dopo aver riflettuto su questo punto decisero di far pace con i Kolya, dopo questo episodio cinquecento di loro colpiti profondamente dalle parole di Buddha, si convertirono alla nuova fede. Dopo la morte del re Suddhodana, la regina rimasta vedova, decise di consacrare la sua vita ad un’esistenza superiore. Si tagliò i capelli, rinunciò ai suoi gioielli e ai suoi pregiatissimi vestimenti per dedicarsi all’eremitaggio. Accompagnata dalle mogli dei cinquecento Sakya che si erano convertiti prima dell’imminente battaglia con i Kolya, si recarono a piedi a Vaisali dal Buddha, chiedendo di essere ammesse nell’ordine, permesso che fu negato per ben tre volte dal Maestro, il quale temeva che l’ammissione delle donne all’ordine, avrebbe portato effetti negativi sulla Legge, il malcostume l’avrebbe svuotata, impoverita ed umiliata dei suoi contenuti. Ma alla fine cede alle preghiere di Ananda e accoglie le donne nell’ordine. La morte di Buddha,secondo quanto ci viene riferito da fonti attendibile ( Mahaparinibbanna-Sutra ) dell’India antica, avvenne attorno all’anno 480 a.C. Possediamo una relazione piuttosto dettagliata della sua vita e del suo ultimo grande viaggio che lo portò da Rajagarha a Kusinagara la meta ultima tappa del suo viaggio sulla terra. Da Rajagarha, la vecchia capitale di Magadha, il Buddha si diresse verso il Nord. Oltrepassò il Gange e la città di Paliputta che in seguito dovrà diventare una splendida e gloriosa città, continuò la sua lunga marcia per arrivare a Vesali. Nei pressi di Vesali, nel borgo di Beluva, prese congedò dal suo numero seguito di discepoli e si ritirò in un luogo solitario per trascorrere i tre mesi delle stagioni delle piogge. A Beluva fu colpito da una grave malattia, accompagnata da dolori violenti che lo conducono alla soglia della morte. In quel momento pensando ai suoi discepoli diceva tra sé: non è conveniente per me abbandonarli proprio ora, senza avere il tempo di rivolgermi alla comunità che ha ascoltato fedelmente la mia parola. Con la forza di volontà devo superare questa malattia, affinché possa avere il tempo di parlare con loro. Ananda il suo fedele discepolo, saputo della malattia del maestro e preoccupato del suo stato di salute si precipita al suo capezzale e lo trova guarito, allora per volere di Buddha convoca tutti i monaci che si trovavano nei pressi di Vesali. L’Illuminato si sedette in mezzo a loro e così parlò: Apprendete bene o discepoli, la scienza che ho acquisito e che vi ho fatto conoscere e incamminatevi per questo sentiero, seguitela, accrescetela, affinché questa via di santità possa durare per lungo tempo se perseguite la prosperità di fare del bene alle persone, la gioia del bene , della compassione per il mondo, per la salute, la gioia di Dio e degli uomini.. E’ questa la scienza che io ho acquisito e che vi ho fatto conoscere, che voi farete apprendere e praticare, esercitarla ed accrescerla. E qual’é questa scienza che io ho acquisito e che vi ho fatto conoscere e praticare esercitare ed accrescere, perché questa via di santità possa durare a lungo per prolungare la prosperità del bene delle persone, per la gioia del bene delle persone, per la compassione per il mondo, per la salute, la prosperità la gioia degli Dei e degli uomini? E’ la quadrupla vigilanza, la quadrupla buona osservanza, le quattro parti del santo potere, i cinque organi, le cinque forze, i sette termini delle conoscenza, il sacro cammino dagli otto rami. Questa è o discepoli, la scienza che io acquisii e che vi ho fatto conoscere…. E il Beato continua a parlare rivolgendosi ai monaci, volevo dirvi: tutte le cose sono destinate a perire, sono lotte senza sosta. Ancora un po’ di tempo, e questa sarà il Nirvana del Perfettissimo. Da qui a tre mesi, l’Illuminato entrerà nel Nirvana. Così parlò il Beato. E il maestro proseguì: La mia esistenza si sta approssimando alla fine, il tempo della mia vita è finito. Io vado, voi restate, per me c’è già pronto un posto in cui dimorare. Vigilate senza sosta e vivete sempre in santità, conservate, o miei discepoli, il vostro spirito sempre pronto. Colui che senza tentennamenti si mantiene incessantemente fedele alla parola della verità,colui che strappa dalle mani del ciclo della nascita e della morte arriva prontamente al termine di tutti i dolori. L’indomani il Buddha con un grosso seguito di fedeli, lascia Vesali per dirigersi verso Kusinagara, il luogo che aveva eletto per entrare nel Nirvana. Durante il cammino, a Pava viene colpito da quella malattia che doveva porre fine ai suoi giorni. La storia narra di una malattia che lo aveva colpito per aver mangiato del cibo avariato. Stanco e sofferente arriva sulla sponda del fiume Kakutta, fa un ultimo bagno purificatore nelle acque cristalline del fiume e dopo aver chiesto al suo discepolo Kunda di preparargli un giaciglio piegando in quattro il suo mantello si distende in preda alla febbre, assistito da Kunda. Stanco e affaticato arriva a Kusinagara, la sulla sponda del fiume Hiranyavati, c’era un bosco di alberi di sala e dice ad Ananda: Va o Ananda, e prepara per me un giaciglio tra due alberi di sala, la testa rivolta a Nord. Sono stanco, desidero riposare.
La stagione della fioritura degli alberi era passata ma si ricoprirono improvvisamente di fiori,. Sotto gli alberi in fiori si coricò come un vecchio leone ferito, una pioggia di fiori cadde sul suo corpo per concedergli gli ultimi onori della sua esistenza terrena. Una folla sterminata venne a rendere l’ultimo saluto al grande Maestro, tra questi il monaco Suddhana, appartenente ad una setta avversaria, il quale dopo aver visto la beatitudine sul volto di Buddha si converte al Buddhismo contribuendo a diffondere per il mondo la parola del Grande. Dopo aver consolato Ananda, rivolge ai presenti le sue ultime parole: “ In verità, o discepoli, io voglio dirvi che tutto quello che è stato creato è destinato a perire; lottate senza sosta “. Queste furono le sue ultime parole. Innanzi alla porta della città, dopo sette giorni, al levare del sole, i nobili di Kusinagara portarono il suo corpo al fiume con tutti gli onori che si rendono ad un sovrano universale, lo avvolsero di oli profumati e accesero la pira funebre che non bruciò fino all’arrivo di Kasyapa. Dopo che questi ebbe terminato le sue preghiere la pira prese fuoco spontaneamente. Buddha morì nell’ottavo anno di regno del re Ajatasatru, se la cronologia dei fatti riportata dai Testi Sacri Singalesi corrispondono al vero. Dalla storia della sua vita emergono comunque i caratteri salienti di quello che è passato alla storia come l’illuminato, non un semplice asceta dunque, ai suoi tempi erano in tanti a rifugiarsi nell’ascesi in cerca di quella pace che si poteva trovare solo nella quotidianità dell’estasi, non la sua lotta quotidiana contro la tentazione, comune anch’essa a tutta la storia e il significato della grande rinuncia ancora oggi fonte di ispirazione per gli scrittori e il cinema, una delle ultime produzioni cinematografiche liberamente inspirato alla vita di Buddha è stato il film “Samsara “, ma una vita fatta di una quotidiana frequentazione con il mondo, il rifiuto a tenere solo per sé stesso la beatitudine derivata dal raggiungimento della verità e il rifiuto a rifugiarsi in un misticismo per pochi eletti, il suo messaggio era diretto a chi voleva ascoltare. La sua vita dopo l’Illuminazione non era altro che una persuasiva predicazione ricca di calore e di amore per l’umanità sofferente, che seppe andare al di là del suo tempo e ne fece una guida e un maestro.
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