In tempi in cui ogni presa di posizione appare schiacciata sull’immediato presente, LeG vuole sottolineare la necessità di una riflessione che non possa confondersi né essere condizionata da prese di posizione aprioristiche.
È per questo che valuteremo l’attività del governo Draghi in base a ciò che farà e alle scelte politiche che di volta in volta matureranno sui molti temi. Temi sui quali intervenire è sempre più necessario per questo Paese e che rappresentano punti qualificanti del programma, per come esso è stato illustrato nelle sedi istituzionali.
Ma una valutazione sul modo in cui il governo Draghi è nato ed è stato accreditato presso l’opinione pubblica italiana crediamo sia necessaria, se non altro per alcune legittime preoccupazioni che esso reca con sé.
Il secondo governo Conte è stato oggetto di un’imboscata frutto dell’alleanza di Renzi con la Lega e Forza Italia, puntualmente tornati al potere. Che questo scardinamento dell’alleanza tra PD e M5S sia stato possibile dimostra la debolezza strutturale del PD, confermata dalle improvvise dimissioni del Segretario Zingaretti, che ha aperto una crisi che complica ancora di più il quadro politico. E questo non può̀ che allarmare chiunque mantenga un orientamento politico progressista.
Ancor più grave è che la scelta di chiamare Draghi al vertice di governo, a prescindere dalle valutazioni circa i suoi meriti, ha avuto il sapore di una radicale delegittimazione del ceto politico italiano, nella sua totalità. Tale delegittimazione ha finito col diventare una sorta di auto-delegittimazione: tutti i partiti hanno in sostanza condiviso questo giudizio negativo su loro stessi, riconoscendo di non essere più in grado di svolgere i compiti costituzionali per cui essi hanno ragione di esistere. Non ci sembra vi sia contezza della gravità di questa auto-delegittimazione, né un’assunzione di responsabilità su ciò che si deve fare per tornare agli intenti costituzionali espressi nell’art. 49. Più che a pensare come svolgere adeguatamente le proprie funzioni, i partiti sembrano oggi interessati semplicemente a far parte di un governo nato per redimere i loro difetti.
Un altro motivo di preoccupazione democratica è che questo governo operi in quasi totale assenza di una opposizione parlamentare. L’entusiasmo unanimista fa perdere forse un po’ di senso dell’orientamento democratico: siamo di fronte a un’assoluta anomalia. Misura di una buona democrazia non è la quiete dell’unanimismo, ma la dialettica tra maggioranza e opposizione.
In questo quadro, impressiona e inquieta osservare come anche gli organi di informazione, invece di rafforzare il proprio puntiglio critico in mancanza di opposizioni politiche, sono nella loro quasi totalità impegnati a magnificare l’avvento del governo Draghi, come fosse un’ancora di salvezza a fronte dell’acclarata incapacità “della politica” di affrontare efficacemente i problemi del Paese.
Non si vuole qui difendere le qualità dei nostri partiti politici, dei quali Libertà e Giustizia ha sempre criticato i meccanismi di selezione al contrario, basati sulla fedeltà anziché sulle capacità e il profilo etico.
Si vuole invece mettere in guardia dall’imporsi di una cultura che, dando per scontata l’insipienza dei politici, si affida acriticamente a “uomini della Provvidenza”, prescelti dall’alto anziché mediante il meccanismo elettorale dettato dalla nostra Costituzione. Uomini ai quali i cittadini, stanchi e delusi dalle difficoltà (inevitabilmente) connesse al governo della cosa pubblica, sono indotti a delegare ogni scelta.
Dietro la modalità di formazione del governo Draghi e la grancassa mediatica che lo ha invocato si intravede il rischio di altri – e meno qualificati – “uomini forti”, spinti dal cinismo e dalla volontà di comando, anziché da competenza e spirito di servizio. E magari la riproposizione, questa volta unanime, di “riforme” costituzionali intese a legittimare un sistema di potere “che promana dall’alto” e non tollera opposizioni.
In tempi eccezionali, proprio l’emergenza potrebbe essere strumentalizzata, da alcuni, per consolidare politiche nel segno di un aggravamento dell’ingiustizia sociale, di una sistemazione oligarchica delle forme democratiche, di un ridimensionamento della funzione del pubblico, persino di un “ripensamento” del radicamento antifascista della nostra Repubblica.
Noi di Libertà e Giustizia denunciamo con forza questa deriva della cultura politica del nostro Paese e i rischi derivanti dal contemporaneo operare di una situazione di emergenza sanitaria ed economica e della debolezza dei partiti di centro-sinistra, e chiediamo a questi partiti di vigilare e tutelare i fondamenti costituzionali del nostro sistema democratico. A noi e a tutti i cittadini italiani tocca l’esercizio della responsabilità culturale e politica, come sempre e tanto più in questo periodo così particolare.
Le firme della Presidenza di Libertà e Giustizia
Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare, Paul Ginsborg, Sergio Labate, Elisabetta Rubini, Fabrizio Tonello, Nadia Urbinati, Gustavo Zagrebelsky
Primo Piano | 5 marzo 2021 | 55 | di Presidenza Libertà e Giustizia
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