Offro questo aliante muschio filosofico, libero da ogni prepuzio, al caro amico Fellini: lo sosterrà certamente nella sua degenza. Il riferimento a Mussolini è quasi casuale: si tratta di architetture ideali, tra le quali non mancano mai i punti d’incontro.
Lo dedico speciali modo a Fellini come Lampada Perenne del mio Teatro dei Sensibili, da lui sostanziosamente beneficato. Gesto esemplare, che merita di trovare imitatori tra i suoi infiniti ammiratori, perché gli iscritti all’albo d’onore come Lampade Perenni sono finora pochissimi.
Entrambi, per diversi cammini, abbiamo trovato ristoro e pace nelle Arti Magiche: è provato che tradiscono meno dei Santi.
La luce di Amitabha sulle sue mani, la sua mente e il suo cuore.
Ah immergersi sprofondare navigare colare a picco trasvolare dissolversi dentro le architetture di Mussolini!
Mistiche ogive quadrate, odalistici colonnati, sudoripare mammelle di carrarino e traboccanti testicoli di pariolino – architetture di un giorno, architetture di Mussolini!
Archi, stadi, piscine, città nuove senza zanzare, acquedotti d’oltregiuba, fasci tricolori di binari, scali azzurri e bianchi, lastricati oceanici, pizzi di Balbo, frantumi di Nuvolari!
Con quel tanto di crepuscolare italico che i polmoni appena purgati di vigliacca TBC premussoliniana ossigenava carezzevolmente.
Sonori i nomi della banda musicale tra le alberate in fondo alle quali l’Architettura, anche la Penitenziaria, si rigenerava: Ildebrando Pizzetti, Ottorino Respighi, Luigi Dallapiccola, mentre le Vestali attizzavano il fuoco perenne nei tripodi. Architetture di Mussolini! E anche mobili, pavimenti, tubi, becchi a gas, suppellettili di Mussolini…
Là dove l’Operaio, in statue al di là di ogni Grecia, appare sempre più alto di un piano del Lingotto; dove un Alpino (di Cuneo o di Trento, in media di m 1,70, ma accettato dai distretti anche di 1,60) non è mai inferiore ai Cinque Metri; dove la figura rude della Madre proletaria, fiume di latte come la Vacca cosmica himalayana, allatta lupe di Romolo grosse come la balena di Melville!
Architetture, architetture di Mussolini! Inforchiamo la Realtà Virtuale per ritrovarle e al dondolarsi sui loro fondali con l’abbandono salace di flore sottomarine l’occhio si dilata e scopre che il naso dell’Alpino è corroso dal morbo gallico e cascherà tra poco nel lago artificiale di un immenso bacino idroelettrico dove nessuno l’andrà a cercare; scopre che il seno della Madre, dopo aver allattato per sessanta e più anni, da prima che i Caproni volassero su Madrid, è diventato letamico.
Ed ecco lo Studium Urbis, grande come un oceano! Un Polipo lo regge e pesci senza numero provano il piacere di trovarsi avvolti da reti senza fine, dopo aver deposto sui sedili d’anfiteatro dell’Aula Magna le loro uova, speranza dei Tempi Futuri, e io sono uno di loro, e nel groviglio di reti troverò – pensate! – il diploma che mi proclama, di fronte a tutto il mondo esterrefatto, Dottore!
Dottori siamo, perdutamente; dottori tra le architetture di Mussolini!
Viene la Donna e sarà mia sposa dentro le architetture di Mussolini, odorose di bianca vernice fresca. Prima che il gallo apra il becco, avrà già concepito! Non so che dire, sto cascando di sonno sui tasti pigri di una giganteggiante portatile dov’è quasi secco l’inchiostro. Vengono gli archeologi di Mussolini, che hanno scavato tra le rovine dell’Accademia d’Italia, e mi portano, freschi come fichi, quadrimillenari reperti di Ungarit.
A mezzogiorno, su uno scalino all’ombra di un paracadute, consumiamo il rancio nelle gavette: pollame scelto, baccalà con piselli, anguilla Marinetti, vino dell’Amba Alagi.
Impensabile, tra le architetture di Mussolini, il suicidio. Il deltaplano del Dovere spipistrella tra i colonnati che nulla, mai, potrà liquefàcere. Non si è mai soli, tra i ronzii di telegrafo delle architetture di Mussolini.
Non è anoressica la Sposa! Non è disappetente! Appeso il velo alle giberne dell’Alpino, macina bocconi grossi come il pugno.
Fuori da quegli spazi ideali sopravvive un piccolo albergo polveroso, non di Mussolini, con balcone in ferro, da cui si possono ammirare e fotografare, con poca spesa, le Architetture. Ma questo è il modesto piacere di chi non è in grado di vorticare nel loro interno.
Quando penso a una frase discretamente sublime, da lasciare allo stupore di quelli che mi saranno accanto con l’orecchio teso, perché la ripetano, la scrivano, la diffondano – una frase densa e laconica, degna di un Laureato dello Studium Urbis –, mi viene di mormorare con chiaro balbettio queste diritte sillabe estreme: «Oh! Come sono belle, le architetture di Mussolini!».
1993
Tratto da: Guido Ceronetti, Cara incertezza, Adelphi
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