E’ morto in Costa Rica l’eco attivista Yehry Rivera: lo hanno assassinato lunedì notte, dopo che un gruppo di persone lo aveva circondato armato di bastoni, machete e pietre. Rivera era egli stesso un indio, da anni si batteva per la difesa delle terre degli indios e delle foreste nella zona di Tèrraba. Prima di essere freddato con alcuni colpi di pistola, Yehry era stato lapidato con il lancio di pietre mentre — scrive The Guardian — poco lontano una pattuglia di polizia assisteva all’aggressione senza intervenire. La morte di Rivera non è che l’ultima di una lunga serie di atti criminali contro gli ambientalisti più attivi nel mondo. Soltanto due settimane fa Mainor Ortiz Delgado, 29enne leader degli indigeni Bribri, nella vicina Salitre, era stato ferito in un attacco di pistola. E poco prima, in Messico, due uomini avevano perso la vita per proteggere delle farfalle.
Ogni anno centinaia di persone muoiono per salvare l’ambiente. Il bilancio degli ultimi 15 anni è drammatico: 1.613 persone assassinate in 20 Paesi diversi — tra il 2002 e il 2018 — per aver tentato di difendere la propria terra, l’acqua, gli animali selvatici. Quasi tutti gli omicidi si sono verificati nei Paesi con il più alto livello di corruzione e illegalità, e il più basso per rispetto dei diritti fondamentali, sostiene uno studio pubblicato su Nature Sustainability. E la maggior parte delle vittime erano originarie di Paesi tropicali e subtropicali, in particolare dell’America centrale e meridionale.
Yehry Helmut Rivera aveva 45 anni. Dopo il messicano Raul Hernández e il brasiliano Paulino e l’ultima delle vittime più note: secondo la Ong Global Witness, solo nel 2018 vennero uccisi 164 attivisti ambientali
Tra gli eco attivisti assassinati c’erano anche Raúl Hernández, 44 anni, e Homero Gomez, 50 anni. Difendevano le farfalle monarca El Rosario. Per proteggere gli eterei insetti dalle ali arancioni e nere avevano fondato un santuario nello stato di Michoacán, in Messico. Combattevano il disboscamento illegale e si dedicavano alla conservazione. Avevano creato un piccolo paradiso naturale e questo non è piaciuto a chi brama quella foresta ricca di risorse e materie prime. Hernandez e Gomez erano stati minacciati. Li hanno ritrovati con i corpi ricoperto di lividi e ferite. Non sono casi isolati, Né in Messico, né altrove. C’è un movimento ecologista globale che combatte in prima linea. Sono donne e uomini coraggiosi: sfidano il potere per proteggere la terra in cui sono nati, angoli di mondo bellissimi e fragili, animali a rischio di estinzione, fiumi, foreste e campi che fanno gola ad affaristi senza scrupoli.
Nella foto tratta da Facebook, Raul Hernández, attivista messicano assassinato, in mezzo ad un volo di farfalle Monarca El Rosario, per la cui difesa si battevaNella foto tratta da Facebook, Raul Hernández, attivista messicano assassinato, in mezzo ad un volo di farfalle Monarca El Rosario, per la cui difesa si batteva
Secondo un rapporto della Ong Global Witness, nel 2018 in sono stati uccisi 164 attivisti ambientali. Nel 2017 le vittime erano addirittura 207. Tra le aree più a rischio il Sud America: il Messico, appunto, il Perù, l’Ecuador di Salomè, leader nativa del popolo Kichwa minacciata a causa della sua lotta per la foresta amazzonica e per la tutela del diritto delle donne della sua comunità a vivere libere dal pericolo della violenza sessuale.
Poi ancora le Filippine, dove la giovane Marivic Danyan difende un’isola dalle piantagioni intensive di caffè. Fino ai confini dell’Europa, in Turchia, e agli Stati Uniti, in Nord Dakota. Lì Kandi Mosset tutela gli indigeni del Nord America dai cambiamenti climatici e dalle ingiustizie ambientali. Ecco le storie di cinque donne e tre uomini che lottano per la Terra.
GLI ATTIVISTI PIÙ FAMOSI SUL FRONTE DELLA LOTTA PER LA DIFESA DELL’AMBIENTE: OTTO STORIE DALLA TURCHIA ALL’ECUADOR
Birhan Erkutulu e Tugba Gunal – TURCHIA
Lotta di coppia per difendere la verde e bellissima valle di Alakir, in Turchia, dalla costruzione di una centrale idroelettrica. Da quindici anni Tuğba Günal e Birhan Erkutlu vivono qui, in una casa costruita con materiali naturali. Il presidente Erdogan ha apostrofato gli attivisti climatici come traditori e oppositori del progresso. Birhan e Tugba hanno subito parecchie intimidazioni, ma la loro battaglia ha fatto sì che la sorgente del fiume Alakir sia stata dichiarata area da tutelare.
Izela Gonzalez Diaz – MESSICO
È un’infermiera diventata attivista. Non difende l’ambiente in qualche foresta incontaminata, ma dall’ufficio di Alianza Sierra Madre, l’associazione che ha fondato per dare assistenza giuridica ai territori minacciati dalle coltivazioni intensive nel Messico del Nord. La sua attività non piace ai potenti locali, vive sotto scorta. «Ho subito più intimidazioni da uomini in giacca e cravatta che dai criminali. Do fastidio», dica. «Non sono un’indigena, non difendo la terra in cui vivo, lo faccio perché è la cosa giusta».
Leng Ouch – CAMBOGIA
Il suo impegno per l’ambiente è per i diritti umani è stato premiato con il Goldman Environmental Prize, il Nobel dell’ecologia. Ouch difende le foreste pluviali della Cambogia e i suoi abitanti dal ‘93. Ha documentato sotto copertura le attività illecite del governo e l’esproprio dei terreni ai contadini. Ha subito minacce dalla politica e dalle imprese con interessi nella zona, ma è riuscito far annullare contratti di espropriazione di 50mila acri, compresi quelli che ospitano specie in via d’estinzione.
Samuel Loware – UGANDA
Loware non dimentica ciò che è accaduto nel 2018, quando il proiettile di un bracconiere l’ha ferito gravemente mentre lavorava nel parco di Kidepo Valley in Uganda. Samuel è un ranger e protegge la savana dai cacciatori di frodo. Lui si è salvato ma ogni anno in Africa decine di colleghi vengono uccisi. La famiglia, preoccupata, gli ha chiesto di tornare a casa, ma per lui il lavoro di guardia è l’unico che può garantire un sostegno ai sette figli e insieme «contribuisce all’economia locale e ad aiutare il pianeta».
Francia Marquez – COLOMBIA
Il suo impegno per l’ambiente è iniziato a 15 anni, quando ha protestato contro lo spostamento del fiume Ovejas verso la diga Salvajina. Da allora Francia Marquez non ha mai smesso di lottare. Ha vinto cause, arginato gli sfruttamenti nei territori delle comunità afro-colombiane, da cui anche lei proviene. Nel 2014 ha guidato una marcia di 150 donne dall’Amazzonia a Bogotà contro i minatori d’oro illegali. Poi ha subito minacce, è stata costretta a lasciare il suo Paese. Continua a portare avanti le battaglie da lontano. Lo scorso maggio ha subito un grave agguato mentre si preparava a un incontro con le istituzioni colombiane nella regione di Cauca.
Salomé – ECUADOR
Salomé è una leader nativa del popolo Kichwa. Ha lo sguardo fiero e coraggioso. Vive a Moretecocha, nel cuore dell’Amazzonia ecuadoriana, una piccola comunità su cui alcune multinazionali del petrolio hanno messo gli occhi e dato il via a un’espansione delle attività estrattive senza interpellare la popolazione. Sulle donne incombe anche la minaccia delle violenze sessuali. Il 22 marzo 2018 Salomè ha denunciato gli impatti delle operazioni petrolifere nella sua terra davanti al presidente Moreno. Da allora lei e la sua famiglia sono sotto attacco costante. Ha presentato denuncia, ma non ha ottenuto protezione. Amnesty International ha lanciato una campagna in sua difesa.
Kandi Mosset – STATI UNITI
Il suo motto è «Proteggete la vita. Siate la voce di chi non può parlare e non perdete mai la speranza. Non è detto che vinciate, ma se rimarrete in silenzio verrete sconfitti». Kandi Mosset è una delle attiviste statunitensi più note. Appartiene alla comunità indigena di Mandan Hidatsa Arikara, ha un master in management dell’ambiente e si batte in prima linea contro la costruzione dell’oleodotto Dakota Access, progetto controverso che ha un impatto negativo sulla riserva sioux di Standing Rock. Le pene e la repressione per chi si oppone alla pipeline sono sempre più severe, ma lei non si ferma.
Di Micol Sarfatti – Corriere della sera
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