A cominciare da Platone se non prima, i tentativi di svelare i segreti della natura sono stati considerati forieri non di verità assolute ma solo di verosimili congetture eventualmente superabili grazie al lavorio delle successive generazioni. Faccio mia questa maniera di vedere mentre mi accingo a porre domande sulle particelle elementari e sulla loro eventuale evoluzione. Molte domande resteranno senza risposta, ma è sperabile che suscitino pensieri e attenzione.
Se le particelle elementari sono effettivamente i costituenti primi non solo degli aspetti materiali ma anche degli aspetti mentali di tutte le entità che popolano l’universo, animate o viventi, alla nostra attenzione si pongono almeno due principali ambiti di indagine. Essi riguardano in primo luogo le modalità di combinazione dei campi di energia e informazione a cui si attribuiscono gli aspetti mentali delle entità sempre più complesse che essi hanno costruito (animali superiori e uomo). Un secondo campo di indagine riguarda l’origine e l’evoluzione delle particelle elementari primigenie. Questo secondo problema sembra preliminare in quanto riguarda i componenti primari dell’universo. Analogamente a problemi simili affrontati dall’uomo, l’esame del semplice dovrebbe facilitare la comprensione del complesso.
Credo sia generalmente accettato che la comparsa delle particelle elementari abbia contestualmente dato origine al movimento e alle dimensioni spaziotemporali necessarie al suo attuarsi. Se ci si chiede se il loro apparire sia stato istantaneo o abbia richiesto un certo tempo per quanto piccolo, la prima eventualità appare più accettabile data la simultanea comparsa dello spaziotempo.
È plausibile che le particelle primigenie siano state create dal nulla? Alla nostra mente plasmata dalla causalità terrena appare ragionevole che qualunque entità derivi da un’altra entità che l’ha preceduta. L’origine dal nulla, dal non essere, sembra non plausibile: niente è mai venuto dal non essere. Ammettendo che questa logica sia applicabile al confine iniziale dell’universo, l’apparire delle particelle elementari spinge a credere che esse siano derivate da una diversa entità in grado di generarle. Anche l’apparire di un alito di vento presuppone l’esistenza di un gradiente pressorio in cui l’alito era presente allo stato potenziale. Pertanto, anche le particelle elementari dovrebbero immaginarsi come esistenti in potenza in una entità avulsa dallo spaziotempo.
Erano mente e materia due aspetti della sostanza di cui quell’entità era fatta? Sembra difficile crederlo. Un’entità capace di generare l’universo non può che immaginarsi radicalmente diversa da esso. Tra l’altro, se avulsa dallo spaziotempo, non avrebbe potuto albergare aspetti materiali. Sembra più ragionevole assumere che si sia trattato di entità del tutto mentale, se non altro perché della mente non si ha conoscenza approfondita e ad essa possono attribuirsi gratuitamente anche capacità non facilmente pensabili. A dire il vero, di quell’entità si conosce soltanto lo straordinario evento di cui sarebbe stata capace: la generazione dell’universo.
Se si parte dal presupposto che quell’entità sia priva di aspetti materiali, le particelle elementari che ne facevano parte in potenza dovrebbero essere immaginate come radicalmente diverse da quelle generate dal Big Bang visto che a queste ultime si attribuiscono aspetti mentali e materiali. Quelle particelle potrebbero essere viste come le gocce d’acqua di un oceano percepito allo stesso modo delle altre gocce tranne che per la sua più grande dimensione. Quest’ultima aggiunta sconfessa la validità del paragone dato che la mente non ha dimensioni. Sarebbe questa un’indicazione che particelle di sola mente non distinguono se stesse dal loro tutto? Sembrerebbe di sì, ma con la cautela dettata dalla nostra ignoranza.
Le particelle elementari identificate dagli strumenti dell’uomo sono campi di energia e di informazione situati nelle dimensioni spaziotemporali. Di conseguenza – come si dirà più avanti – esse percepiscono le altre particelle del nascente oceano dello spaziotempo come campi visti dall’esterno. Credo sia difficile immaginare l’evento percettivo di una particella che incontra un’altra particella. Molti affermerebbero che non si dovrebbe parlare di percezione dal momento che i campi elementari sono imparagonabili alla capacità percettiva della mente umana. Il proble- ma viene quindi ricondotto alla presunzione cartesiana che la mente dell’uomo sia sostanza radicalmente diversa dalla materia. Tale concezione ha finora trovato giustificazione nella palese diversità dei due aspetti, coscienza e capacità di pensiero da una parte, estensione nello spazio tempo dall’altra. Affermazioni di così immediata evidenza potevano restare accettabili fino a quando le proprietà della materia erano quelle percepite con riferimento agli oggetti macroscopici del mondo, corpo incluso. L’uomo e i suoi lontani antenati li avevano osservati per millenni e l’uomo ne aveva infine santificato la natura materiale studiandone moto e determinatezza. Ma quelle stesse affermazioni erano diventate obsolete e inaccettabili da quando si erano studiati oggetti di massa ed estensione straordinariamente piccole, atomi e particelle subnucleari. Le loro proprietà avevano infatti rivelato una natura inaspettatamente diversa da quella evidenziata dalle indagini di fisica classica. Per alcuni versi, i comportamenti dei costituenti elementari apparivano simili a quel- li elementari della mente, e a quelli messi in luce dai fenomeni paranormali.
Visioni unitarie di un universo concepito come sostanza mentale sono state proposte da antiche religioni e, più di recente, da uomini di scienza del calibro di Clifford, Fechner e Chardin. Di contro, i dualisti alla Cartesio e i monisti di stampo materialista hanno sempre cercato di attribuire e giustificare le capacità della mente umana ad un’origine materiale. Tentativi in tal senso sono stati fatti da illustri scienziati come Delbrück, Penrose e Hamenoff, ma non hanno portato alla soluzione del problema. Di conseguenza, molti si contentano di classificare le capacità della mente tra i cosiddetti epifenomeni, sotterfugio che ne mortifica l’essenza senza svelarne la natura o suggerirne l’origine. Più numerosi sono quelli che continuano ad affannarsi nel tentativo di equiparare le capacità della mente alle attività del cervello senza però precisare che queste ultime sono note solo in parte e limitatamente ai livelli molecolari, cellulari e di sistema.
Se si prendono in considerazione gli aspetti mentali delle particelle elementari, è concepibile supporre che quelle nate subito dopo il Big Bang (particelle primigenie) siano state le progenitrici indifferenziate dei campi attualmente noti come gravitazionali, elettromagnetici, nucleari forti e nucleari deboli. Ai campi noi attribuiamo la capacità di percepire come materiali gli altri campi e i loro più complessi costrutti. Tale è l’opinione di Einstein secondo cui «noi possiamo perciò considerare la materia come costituita dalle regioni dello spazio nelle quali il campo è particolarmente in- tenso … In questo nuovo tipo di fisica non c’è luogo insieme per campo e materia poiché il campo è la sola realtà.» È quindi naturale che i nostri sensi percepiscano materia lì dove il campo è partico- larmente intenso, indipendentemente dal fatto che esso appartenga a corpi animati o inanimati. Allo stesso modo, dovrebbe essere naturale che i cosiddetti sensitivi percepiscano gli stessi corpi estesi fino a regioni spaziali nelle quali il campo è meno intenso.
Gli incontri tra le particelle elementari possono portare alla fusione dei loro campi e alla conseguente nascita di entità dotate di campi più complessi che si distribuiscono in parte sul più ampio dominio della neonata entità. Ne consegue che l’architettura energetica/informazionale dei prodotti delle particelle elementari può essere distinta in una frazione comune all’intero e una frazione circoscritta ai singoli componenti. L’esistenza degli elettroni π nei composti aromatici del carbonio conferma e sottolinea quanto appena detto. Insieme a una parte significativa dell’energia e dell’informazione degli atomi costituenti essi sono distribuiti su tutto il dominio molecolare di cui garantiscono l’unità e l’integrità. Considerazioni analoghe valgono per tutti i legami chimici.
In versione antropomorfica la parte in comune può considerarsi l’anima della molecola. L’estrapolazione di questi effetti a tutti i livelli delle entità generate dalle particelle elementari porta alla ragionevole presunzione che ruoli equivalenti a quelli degli elettroni π siano presenti ovunque. Infatti, indipendentemente dalla sua collocazione nella scala delle complessità, ogni entità permane in quanto tale perché mantenuta in essere da un comune supporto energetico/informazionale. Tale processo è in atto sin dall’inizio dell’universo. Anche l’anima dell’uomo può essere equiparata alla distribuzione su tutto il corpo di una frazione di energia e informazione contribuita dai componenti elementari. Si tratta di una architettura dinamica che spinge le sue radici fin nell’interno di atomi e componenti subnucleari. Come pioggia che cade sui monti formando rivoli, torrenti e poi fiumane, così l’anima dell’uomo sorge da rivoli infinitesimi di energia uniti tra loro e a quelli che derivano dalle maggiori subunità.
Tratto da: Antonio Giuditta, Le particelle elementari e la mente
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