L’Idiota dice che la Bellezza salverà il mondo

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L’Idiota dice che la Bellezza salverà il mondo, Eraclito che verrà il Fuoco per giudicarlo. Dai segni che vedo, dalle tracce che scopro, da quel che indovino nell’ombra del perduto, la Bellezza è un Messia venuto; e il mondo non è stato salvato, la tenebra non poteva afferrare la luce, solo farla simbolicamente morire. Ora nessuno l’aspetta piú, se non è Idiota; ma è ragionevole aspettare il giudizio del Fuoco: la giustizia viene sempre ultima. Quando il Fuoco verrà, dirgli di aver capito qualcosa della Bellezza, di averla sempre cercata, forse ne attenuerà il rigore.

L’errore dietetico fondamentale risale al peccato originale, che consiste nell’essersi provocata una grave indigestione. I due cacciati di Masaccio sono una coppia di sciagurati con lo stomaco pesante (lo si vede dalle smorfie) che l’angelo destina a un disordine dietetico dopo l’altro, dopo quella prima madornale indigestione. Mai l’uomo potrà avere dieta perfetta, dopo essere stato reso per sempre imperfetto da una cattiva dieta. Riscopriamo il valore della buona dieta (naturismo, vegetarismo ec.) quando ormai nel mondo l’alimento è condannato a sempre piú contaminarsi tra i veleni infiniti prodotti anche dagli errori dietetici di innumerevoli generazioni; qualcuno ha l’idea della purità e il nutrimento puro gli è già sfuggito di mano.

Pompieri al N. 14 di Via della Spada, la lunga biscia nera sprofonda in un antro buio. Tutti sperano di vedere le lingue del drago, ma neanche un filo di fumo. C’è solo una barba non bruciacchiata che chiacchiera tranquillamente con i pompieri.

(Chiostro di Santo Spirito). «Qui giace Isabella Roncioni di Pisa», «Qui giace Nicola Sottili», «Giovacchino Luder… da morbo tubercolare rapito…», «Qui riposa l’angelica spoglia di Teresa Ramacci», «Qui giace la caduca spoglia di Caterina figlia di Ferdinando Traversi e di Cammilla Minchioni», «… celebre calcolatore…» «A Cunegonda Frosini», «Qui giace le ceneri», «Qui sono le spoglie», «Angiolo mutuo pegno | di coniugal tenerezza». La piazza di Santo Spirito imprigiona d’amore: calma, alberelli, mercatino, il giallo della grande facciata la illumina di sovrumano. Aria di congedo, nel sublime cimitero brunelleschiano, dal tempo cristiano: non ne vedi piú che la cenere ben pettinata… (Rinascimento è ceneri cristiane mescolate a ceneri di gentilesimo rimosse, polvere di morte, da geni malinconici messa a purgarsi per un’estrema metamorfosi nei loro athanor matematici). Grande lievitazione per bellezza di spazi in piú chiese stamattina, ma piú di tutte Santo Spirito, dove mettersi a volare è facilissimo.

In Santa Trinita il prete diceva la messa soltanto alla donna che leggeva i testi sull’altare, diaconessa e devota a un tempo. Ma c’erano anche i banchi deserti a seguire il rito coi buchi dei tarli attenti.

Il mistero numerale è presente sia in Brunelleschi che nella cattedrale di Strasburgo, e l’una e l’altra rete sono calcolate esattamente per trattenere Dio: con una giusta iniziazione al numero magico in architettura, la loro diversità si assottiglia fino a sparire e s’intravede il loro Prigioniero per speculum et in aenigmate.

(Convento e chiesa di San Marco). «Son qui le ritrovate ossa di Agnolo Ambrogini detto il Poliziano…» Di faccia alle ossa ritrovate, segnate dalla carie gommosa (Sylva in scabiem), la cupa figura di fanatico del frate piagnone. NON È LÍ CHE DEVI GUARDARE, dice l’angelo dell’Angelico alla Maria che fruga con gli occhi nel sarcofago dal quale si sprofonda nello Sheòl pieno di polveri e d’ombra di morte, LÍ C’È LA TENEBRA E LA MORTE! CHI TU CERCHI È INVECE… Il dito dell’angelo punta verso il cielo dov’è la Figura risorta, ma noi siamo molto piú lenti delle Marie a cambiare la direzione in cui siamo assuefatti a guardare, a volte passiamo la vita sempre curvi sul sarcofago tenebroso. (In tanta dolcezza, una delle piú energiche lezioni di negazione della morte).

VELAVERUNT FACIEM EIUS. L’Angelico ripete spesso il motivo degli occhi bendati del Cristo: la luce si separa dalla tenebra velandosi (la tenebra crede di essere lei a velarla).

Voce del televisore dell’albergo: «… Anna Magnani è stata una grossa sfinge… forse la piú grossa della storia del cinema…» Mangio in camera carote di piazza Santo Spirito e ricotta di pecora. Cattiva siesta con continui tranghiottimenti di saliva, penosi. Mi sveglio dopo ben due ore e mezza di questo scarno riposo, mi faccio il tè e corro a confortarmi in Santo Spirito ma già erano spuntate le chiavi, sosto sulla piazza, ascolto campane, guardo tra i rametti nudi la luminosa facciata. Al Centro Sociale Cattolico un simpatico vecchio prete parla a un uditorio fittissimo, quasi tutto di monache carmelitane, di Santa Teresa, per il centenario. Ha bella eloquenza, tono acceso e nobile, gesti da pergamo, senso giusto del tempo: appena sente l’uditorio sfuggirgli tronca. Ero certo che finisse con la parola amore. I cristiani ne hanno sempre abusato, non sai che cosa intendano realmente dire: amore amore amore… La dotta conversazione non ha, di Teresa, evocato neppure un’unghia. All’uscita, volti distesi, soddisfatti… Segni di noche oscura, in quei frati ben nutriti, niente… Le monache non si sa a cosa pensino… Visi anche intelligenti, ma troppo facili ad accontentarsi… (Mi è piaciuto, per un poco, non vedere dei bruti). Fuori piove, le monachine si trasformano in tanti ombrelli concordi neri, che volano via…

Dopo l’Angelico e Santa Teresa, il festival del Cinema Omosessuale. Saletta stipatissima, molte donne, niente fumo, voci sommesse, è luogo di culto. Film tedesco: La tenerezza del lupo. Stanno lí, in religiosa compostezza, ad assorbire qualcosa di perfettamente abbietto, a masticare in silenzio irradiazioni di pura tenebra cloacale. Serietà, cultura, capire il diverso, libera sessualità… ma lí stanno mangiando tenebra, c’è come una gaveuse d’oies che li ingozza di un tenebroso pastone… Non scorre un’immagine che non sia una spugna di bassezza morale… Si vede un Peter Lorre epigonico che approfitta di essere poliziotto per truffare e per soddisfare ingordamente la sua passione efebica, si traveste da ballerina di cabaret per recitare un’Ave Maria, di colpo lo vedi strangolare un ragazzo, spogliarlo, divorarlo come un cannibale e poi quali altre sodomie sanguinarie compia non so perché mi sento male ed esco, ma io solo, è un pubblico adulto, che non reagisce negativamente, che resta al suo posto, con la macchinetta da ingozzare piantata in gola, a degradarsi stupidamente, freddamente, senza la forza, autenticamente erotica, di un vero plaisir de descendre.

Se dopo il cinema fosse arrivato uno con un microfono: Amici, adesso seguirà una lettura della Morte di Ermengarda e della notte di Lucia al castello dell’Innominato, tutti sarebbero rimasti al loro posto, ad assorbire anche quello (frammenti di luce portati al macello) prestando uguale attenzione, sempre composti, sempre pietrificati… – E adesso, un capitolo delle Centoventi Giornate… – Stessa attenzione, stessi applausi. Poi una proiezione dell’Uomo di Aran… Un documentario sull’Angelico… Poesie di Puškin, di Genêt, di Saffo, di Kavafis…

Spiraglio su un mondo morto. Un’umanità senza il senso morale è morta. La medicina trionfa: vita piú lunga ec. Ma è un coma morale protratto, non vita. Allora nel buio colonna di luce il primo versetto dei Salmi si manifesta: Beato l’uomo ec. (non sedersi, non mescolarsi, arcere profanum, tutto è reshaím, tutto, anche la piú veniale infamia, il piú piccolo alito di volgarità è consilium impiorum) e ti scampa dal cedimento, dal sederti per sventatezza e credulità tra gli empii, pronti a capovolgerti la mente, a stroppiarti il cuore.

In San Salvatore al Monte si è in mezzo alla perfezione delle perfezioni, alla misura delle misure. Basterebbe un fiato di numero in piú o in meno per rendere irrespirabile o far crollare tutto; sta su una nuvola immateriale, è uno spazio per l’uomo redento dallo spazio esterno dove pendono le chiavi della morte. Misteriosa pietà numerale del crocifisso posto davanti alle canne dell’organo, proprio al centro, dov’è la canna piú alta, di cui assorbe e trasmette (e trasmuta) la sonorità espiatrice.

In San Miniato bella voce benedettina manda su dalla cripta un fascio di luce gregoriana: Agnus Dei qui tollis peccata… Non è immaginabile un Agnello capace di portare un tal peso, ma la voce persuade il crederlo possibile.

La malattia, la religione, la solitudine, l’amore infelice, i sogni e gli incantesimi della Gerusalemme, tutto questo leggevo nel ritratto dell’Allori agli Uffizi, di Torquato… Invece non è Torquato; la vera immagine del Tasso è un’altra e non esprime niente di quel che leggevo nella pittura degli Uffizi; ha piú del gentiluomo spagnolo e gli soggiace una follia meno romantica. In realtà quella faccia troppo tassesca avrebbe dovuto farmi diffidare subito: – Questo non è Torquato, gli somiglia troppo –. Avevo addirittura parlato con quell’immagine, vedevo le sue labbra muoversi; ma sono labbra di un giovane malaticcio, autore sicuramente di poveri sonetti.

L’Italia come un libro prezioso e raro: – Dio è il mio bibliotecario, e mi dà in lettura a qualcuno, ogni tanto, quando è certo che sappia leggermi.

È l’undici marzo. Piove. Stasera a Lucca.

Tratto da: Guido Ceronetti, Un viaggio in Italia, Einaudi Ed.

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