La storia del miele è affascinante e si perde nella notte dei tempi. La parola miele pare derivare dall’ittita melit ed è stato poi utilizzato in praticamente tutte le lingue antiche, dal greco meli al gotico milith fino all’antico gaelico mil. Secondo i filologi, questo termine deriva dalla radice “mal” che stava ad indicare nelle lingue indoeuropee l’essere morbido, molle, piacevole. Per millenni il miele è stato l’unico alimento zuccherino disponibile. Le più antiche testimonianze pittoriche rupestri ritraenti l’uomo intento a raccogliere il miele sono datate all’VIII millennio a.C. e sono state ritrovate in una grotta nei pressi di Valencia. Una di essa mostra un uomo che si arrampica su una rupe o la cima di un albero, circondato da api con una cesta e del fumo per renderle meno aggressive. I primi rinvenimenti di arnie costruite dall’uomo, invece, risalgono al VI millennio a.C. e pare che i sumeri lo impiegassero in creme con argilla, olio di cedro ed acqua, mentre i babilonesi soprattutto in cucina. All’interno del famoso Codice di Hammurabi si trovano addirittura articoli con i quali gli apicoltori venivano tutelati dal furto di miele o delle arnie. Sembra, peraltro, che anche la definizione “luna di miele” risalga ai Babilonesi che definivano così il mese successivo al matrimonio durante il quale il suocero pare avesse l’obbligo di rifornire il genero di miele affinché fosse aiutato nelle fatiche dell’amore. Anche nell’antico Egitto il miele era molto apprezzato; le prime notizie di apicoltori che si spostavano lungo il Nilo (per seguire la fioritura delle piante) risalgono a circa 4000 anni fa e gli Egizi, inoltre, usavano anche porre accanto alle mummie vasi colmi di miele, alcuni dei quali ritrovati perfettamente sigillati. È nota la scoperta di T. M. Davies circa un barattolo di miele di 3300 anni fa ancora perfettamente commestibile. Sulle sponde del Nilo, inoltre, il miele veniva utilizzato anche per scopi medici oltre che culinari. Se ci spostiamo all’ombra dell’Olimpo, possiamo notare come il miele abbia rappresentato anche per gli antichi Greci un alimento fondamentale tanto da essere considerato il cibo degli dei e, quindi, ottimo per le libagioni oltre che come alimento d’uso comune. Tra le prime monete in leghe metalliche coniate nelle poleis (VI secolo a.C.), alcune ritraevano anche l’ape come simbolo di produttività. Omero ne descrive la raccolta nelle sue opere, Aristofane riferisce che focacce mielate fossero il premio per gli atleti vincitori delle gare di corsa, mentre Pitagora lo raccomandava nell’alimentazione. Aristotele, nel trattato “Sulla generazione degli animali”, tenta una prima descrizione fisica delle api ed avanza una prima ipotesi sulla creazione del miele: “il miele è una sostanza che cade dall’aria, specialmente al sorgere delle stelle e quando si incurva l’arcobaleno”… “l’ape lo porta da tutti i fiori che sbocciano in un calice… essa bottina i succhi di questi fiori con l’organo simile alla lingua”.
Anche l’altra grande civiltà antica, i Romani, erano ghiotti di miele che era importato soprattutto da Cipro, dalla Spagna, da Creta e da Malta il cui nome attuale deriva dall’originale, Meilat, che vuol dire proprio “terra del miele”. I Romani lo utilizzavano per la produzione di birra, idromele, ma soprattutto mescolato con il vino tanto che in Salento, ancora oggi, il vino viene chiamato mieru, probabilmente a ricordo di questa usanza. Plinio il Vecchio ne parla nella sua “Naturalis Historia”, soprattutto del miele di timo scrivendo che “Perché (sia buono, deve essere profumato, di un sapore dolce-amaro, vischioso e trasparente”, mentre Virgilio (apicoltore anch’egli) dedicò al miele il IV libro delle Georgiche. Anche Columella dedicò una parte importante del “De re rustica”, mentre Apicio nel suo famoso trattato “De arte coquinaria” ne spiega tutti gli usi possibili in cucina. Fu Seneca, nel I secolo d.C. il primo ad ipotizzare che le api elaborassero effettivamente la sostanza che raccoglievano dai fiori: “Non si sa bene se (le api) ricavino dai fiori un succo che è addirittura miele, oppure trasformino in questa sostanza saporita le essenze raccolte, mescolandole insieme e servendosi di una qualità del loro alito”. Particolarmente apprezzato anche da Varrone sembra essere il miele di timo: “Il miele della Sicilia ha la palma su tutti proprio perché là abbonda il buon timo”. Dall’”Editto dei prezzi” d Diocleziano del 301 d.C., possiamo inoltre ricavare che il miele avesse un costo paragonabile a quello dei migliori olii e vini.Peraltro, l’importanza di questo alimento è chiara dal momento che sia la Bibbia che il Corano che il Talmud lo indicano come uno degli alimenti più preziosi per l’uomo. Si ha notizia che durante il Medioevo, invece, ci fosse una guardia forestale chiamata “bigrus” il cui compito fosse proprio quello raccogliere e proteggere gli sciami (tuttora bigre è una delle denominazioni dell’ape). Nel “Capitolare de Villis” di Carlo Magno del 759, peraltro, veniva disposato che chiunque avesse un podere avrebbe dovuto tenere anche sciami per la preparazione di miele ed idromele ed erano previste anche multe elevate per chi fosse stato sorpreso a rubare miele coltivato. I conventi e le abbazie medievali furono protagonisti di questa produzione ed ebbero risultati eccellenti sia nella produzione di miele he in quella di cera, ma rimase comunque condivisa per tutto il Medioevo la credenza circa la sua origine “celeste”. Alla seconda metà del XVII secolo attraverso il microscopista danese Swammerdam si arrivò, invece, alla formulazione del processo di trasformazione del nettare in miele. Ad ogni modo, già nell’VIII secolo d.C. con l’arrivo degli Arabi nella penisola iberica si diffonde l’uso dello zucchero anche nel Mediterraneo (deriva infatti da sukkar),ma questo non influì eccessivamente sulla diffusione del miele dato che gli Arabi usavano e commerciavano entrambi. Lo zucchero, però, era ritenuto maggiormente pregiato; nel 1400 il prezzo dello zucchero era circa venti volte superiore rispetto a quello del miele ed uno statuto senese del XIV secolo vieta di spolverare con dello zucchero dolci preparati, in realtà, col miele e così “contraffarli”.
L’apporto calorico del miele viene sempre più valorizzato, però, nelle altre centro-settentrionali dell’Europa in quanto cibo altamente calorico e di facile digeribilità e questa tendenza è visibile tuttora nei paesi in cui è rimasta la cultura dell’idromele, ora diventato parte fondamentale della cucina bretone, scandinave e dell’Europa centrale. Con la coltivazione della canna da zucchero e l’innovazione della barbabietola intorno al 1700, anche lo zucchero divenne cibo comune soppiantando, così, l’alternativa del miele anche se nella prima metà del XIX secolo, in piena guerra economica tra la Francia napoleonica e l’Inghilterra, a causa del blocco continentale nei confronti dei britannici, principali esportatori di canna da zucchero, il miele tornò ad essere protagonista ed assunse quasi toni patriottici nelle terre d’oltralpe. Dall’inizio del XX secolo, però, lo zucchero soppiantò definitivamente il miele come dolcificante, ma non per questo il secondo scomparve, anzi. Dagli anni ’70 sono iniziati gli studi riguardo alla caratterizzazione dei mieli unifloreali e la nascita o riscoperta di diverse varietà di miele. A seconda del fiore da cui viene tratto il nettare, infatti, variano non solo il colore e la consistenza, ma soprattutto il sapore e le proprietà nutritive del nettare; il miele d’acacia, ad esempio, ha un aroma molto delicato e proprietà disintossicanti e regolarizzanti dell’apparato digerente ed è utilizzato anche in decotti per la pelle; quello di castagno, invece, è più amarognolo, ha proprietà mucolitiche e regolarizza il ciclo intestinale. Quello d’agrumi, ad esempio, ha un aroma fruttato ed un sapore dolce ed ha proprietà spasmodiche e sedative, mentre quello d’eucalipto ha un aroma pungente ed è utile per le affezioni delle vie respiratorie. Anche un’altra varietà, il miele di corbezzolo ha proprietà antiasmatiche ed è utile in caso di mal di gola e bronchiti. Un miele di antichissima tradizione è ancora oggi, però, coltivato in Sardegna ed in diverse zone della Puglia e possiede anch’esso particolari proprietà organolettiche: il miele di rosmarino. Si tratta di un miele diffuso in diverse aree del Mediterraneo, ma in maniera particolare in Spagna (che ne è il primo produttore), in Francia Meridionale, nei paesi dell’Africa settentrionale e, in Italia, in Puglia, Sardegna, Egadi ed Isola d’Elba.
Il miele di rosmarino si presenta allo stato liquido di un colore molto chiaro, tendente al giallo, mentre cristallizzato (una delle sue caratteristiche è anche quella di cristallizzare piuttosto velocemente) diventa come una pasta bianca o avorio dal sapore particolarmente dolce e dal vago retrogusto di farina bagnata. L’aroma è molto fine, ricorda il profumo del fiore del rosmarino ed ha punte vagamente balsamiche; queste sue caratteristiche lo rendono particolarmente abbinabile ai formaggi. La fioritura va dai primi mesi d’inverno ad ottobre, ma il periodo più intenso è all’inizio della primavera. È anche questo a rendere questo miele particolarmente raro dato che in quel momento della stagione è difficile che gli alveari abbiano già un numero di api necessario a raccogliere nettare sufficiente. Si tratta di un miele dalle ottime caratteristiche organolettiche. È, infatti, un buon revitalizzante in caso di affaticamento oltre ad essere la varietà di miele più indicata per coloro che soffrono di patologie epatiche poiché favorisce il decongestionamento del fegato e ne aiuta il regolare funzionamento. È anche un eccellente digestivo per stomaco ed intestino ed assieme al sambuco (si fanno cuocere 200 grammi e 3 cucchiai di miele fino ad ottenere una consistenza densa) pare sia un ottimo antireumatico. La storia del miele è affascinante e fitta di avvenimenti e tradizioni. Da millenni, infatti, questo alimento è presente, in forme diverse, sulle tavole del Mediterraneo come della Bretagna. Idromele e pasticceria araba uniti dalla dolcezza di uno dei migliori cibi che possiamo ricavare dalla natura.Sembra quasi che il miele, così come ogni tipo di dolcezza, non abbia necessariamente un’unica forma o un unico luogo dove essere “praticato”, regala le basi che verranno poi rielaborate in maniera differente da ogni popolo antico e moderno. Così anche in Puglia svetta la bandiera di un miele speciale e questo, sì, puramente mediterraneo, tipico di chi la primavera è abituato a viverla fin dalle sue prime folate di brezza.
di Antonio Caso
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