Si chiamano vegetariani coloro che non mangiano esseri viventi, quindi né carne né pesce. Una forma più estrema di vegetariani sono i vegani, che non mangiano nemmeno uova, latte, formaggio, insomma qualsiasi prodotto di origine animale.
Quando invitata ad un pranzo informo che non mangio carne, subito mi viene offerto il pesce, come se anche i pesci non fossero animali.
Per molti vegetariani il diventarlo è stato un atto di volontà, comportante la rinuncia ad alcuni piatti preferiti. Questo per ragioni etiche – non uccidere animali – e anche salutiste: la carne infatti è sempre un pezzo di cadavere, proveniente spesso da animali allevati in maniera innaturale. Io invece non ho nessun merito, perché sono vegetariana dalla nascita. Infatti quando sono nata, nel lontano 1922, i miei genitori erano già vegetariani. Lo erano diventati perché avevano aderito alla teosofia, una filosofia di origine indiana, molto vicina al buddismo, che rispetta ogni essere vivente, a differenza di tutte le altre religioni – cattolica, protestante, ebrea, musulmana – in cui l’uomo è considerato il re dell’universo, padrone di tutti gli animali, che usa a suo piacimento, procurando loro sofferenze inaudite.
Il babbo era di religione protestante, la mamma di religione cattolica, ma tutti e due ne erano molto insoddisfatti. Li avvicinò alla teosofia un vicino di casa, di cui ricordo aver sentito parlare: si chiamava Gennaro e probabilmente era un napoletano trasferitosi a Firenze.
Dalle spiegazioni dei miei ero venuta a sapere che i teosofi credono nella reincarnazione. Si nasce e rinasce tante volte, un po’ come un alunno bocciato ripete la classe. Fino a che, nelle varie vite, non abbiamo imparato a correggere tutti i nostri difetti, non potremo ascendere alla pace eterna, al Nirvana. Un’altra delle credenze dei teosofi era l’esistenza di “maestri” che si reincarnavano per venire ad aiutare gli uomini a migliorarsi spiritualmente. Anche Gesù sarebbe stato un maestro. Però fra le tante credenze indimostrabili, né più né meno dei dogmi delle varie religioni, il merito della teosofia è quello di avere come principio quello di rispettare egualmente tutte le forme di vita e riconoscere eguali diritti a tutti gli esseri umani senza distinzione di razza, di sesso, di religione, di condizioni sociali, un principio che è anche quello sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione.
Oggi il numero dei vegetariani, pur essendo ancora una piccola minoranza, è cresciuto molto dai tempi della mia infanzia, come pure è cresciuta – ma molto poco – la sensibilità verso gli animali. Quando ero bambina, ricordo che in seconda elementare facevamo il tempo pieno, e quando tiravo fuori dal panierino il mio pasto a base d’insalata, uovo e formaggio, c’era la meraviglia dei compagni e la preoccupazione delle maestre per la mancanza di carne: come avrei fatto a crescere bene, forte e sana?
Eppure sono arrivata a 89 anni in condizioni discrete di salute. Da giovane, anni ’38-’45, ho fatto numerosi tornei scolastici e regionali di pallacanestro, ma soprattutto ho praticato l’atletica (salto in alto e salto in lungo) a livello agonistico, vincendo due campionati nazionali universitari e arrivando terza a due campionati assoluti. Sempre a 18-20 anni ho girato gran parte della Toscana in bicicletta e in giornata ho fatto Firenze-Viareggio e ritorno (circa 200 km) con una bicicletta pesante e senza cambio – come quelle di una volta – resa ancora più pesante dalle numerose toppe alla camera d’aria e ai copertoni, poiché c’era la guerra ed era impossibile trovare copertoni nuovi. A più di 80 anni, oltre alle domenicali partite di palla a volo con amici cinquantenni, ho girato in bicicletta buona parte del Friuli-Venezia Giulia e ho fatto in una mattinata Trieste-Grado e ritorno (circa 100 km), oltre a lunghe nuotate tutte le mattine d’estate dai Topolini (il liberissimo bagno dei triestini) fino al bivio di Miramare e ritorno. Tutto questo a dimostrazione che la mancanza di carne e pesce non ha certo indebolito il mio fisico.
Nemmeno ho mai provato il desiderio di mangiare carne o pesce. La carne mi ripugna, non tanto per l’odore, ma per il pensare da dove viene, quali sofferenze ha sopportato l’essere vivente, un mammifero come me, a cui apparteneva. Il pesce poi, oltre al pensiero che è stato tolto al suo ambiente per diventare cibo, ha per me un odore così disgustoso, che anche quando occasionalmente mi capita di mangiare qualcosa che era stato a contatto col pesce, o anche con frutti di mare, lo avverto immediatamente e mi vengono urti di vomito.
Ma soprattutto io credo che se le persone si fermassero a riflettere a quante sofferenze e a che vita innaturale sono sottoposti gli animali, forse a molti la carne ripugnerebbe. Questi sentimenti sono espressi molto bene in una bellissima lettera ricevuta per posta elettronica e che ho avuto il permesso di riportare integralmente. Si intitola “Gente senza cuore” ovvero “Quando il mio piacere è più importante della tua sofferenza!”.
“Tu che ami la vita, il bene, la libertà, la giustizia, tu che speri in un mondo migliore senza più violenza, senza più dolore, come puoi nutrirti di animali e non inorridire nell’affondare i tuoi denti in quelle carni pregne di dolore? Come puoi considerare legittimo mangiare la gamba, il fegato o il cervello di una creatura simile a te che non chiede nulla se non di avere il suo umile pasto e la sua libertà? Come puoi accettare di buon grado l’idea che una creatura mite e possente come un cavallo, un bue, un vitello venga crudelmente allevato al solo scopo di essere ucciso, per te? Non pensi quale meraviglia sia il corpo di un essere vivente, e quale stupefacente meccanismo racchiude? Pensa alla capacità del suo cervello di elaborare pensieri, ai suoi occhi di percepire le cose, ai suoi orecchi di udire i suoni, al suo cuore di pulsare, ai suoi polmoni di assorbire l’aria, ai suoi reni di filtrare il sangue. Pensa a questo capolavoro dell’universo che sarà annientato per sempre, a causa tua.
Considera la tua vita e paragonala a quella degli animali allevati. La tua lunga vita è piena di tante cose, ma nella sua brevissima esistenza un animale d’allevamento non conosce che privazione e sofferenza. Mentre tu sei in una casa confortevole, pulita e riscaldata, al coperto dal freddo, dal gelo, dal vento, dalla pioggia; mentre tu dormi in un letto morbido e caldo; mentre ti svaghi, ti diverti, giochi, leggi, l’animale è li, al buio, incatenato senza potersi muovere e senza il conforto di potersi avvicinare al suo simile. L’animale non fa nulla, perché non può fare nulla, solo aspetta, nel buio della notte, mite, paziente, tra i suoi stessi escrementi, e non ha nulla se non la sua stessa vita. In una solitudine abissale, soffre in silenzio, in un dolore che non sa spiegarsi e contro il quale è senza scampo. E senza la possibilità di essere salvato si avvia impotente verso la morte.
Eppure sai quale angoscia genera la perdita di una persona cara, la disperazione che nasce dall’impotenza contro un male che non possiamo combattere. Tu forse sai cosa sia un terribile mal di denti o una lancinante colica renale. Immagina te stesso in questa circostanza, solo e senza la possibilità di ricorrere agli antidolorifici del medico. Immagina di doverti estrarre un molare senza l’ausilio degli anestetici allora capirai la condizione degli animali.
Come puoi essere indifferente al dolore dell’altro tu che per ogni piccola ferita ricorri alle cure del medico? Tu che ti rivolgi alle autorità per ogni piccola ingiustizia che subisci, come puoi considerare giusto e lecito infliggere l’ingiustizia suprema della privazione della libertà, della tortura e della morte ad una creatura innocente per soddisfare i tuoi piaceri? Accetteresti ugualmente di buon grado l’ipotesi che noi e i nostri figli fossimo allevati da extraterrestri, contro cui risulterebbe impossibile ogni reazione, per diventare loro pasto?
Tratto da: Margherita Hack, Perché sono vegetariana, Roma 2011.