Migranti e prediche

Per la loro lettura, la sopravvivenza dei giornali quotidiani riposa sugli approfondimenti ben rigirati, gli inviati sul posto e, su tutto, i temi d’interesse generale.

Temi reiterati sempre, anche senza sostegno della notizia. Uno di questi è l’immigrazione numerica, non ne contiamo le branche. Ma che cosa vogliamo? Guerre, per spostare frontiere, non se ne fanno più – la pace sociale, se mai c’è stata, è perduta. E’ di fatto irrecuperabile quando c’è un’esile penisola che supera i sessantuno milioni di abitanti, uno meno dell’altro disposto a rinunciare a qualsiasi cosa in vista di una dubbiosa convivenza accettabile: e l’Italia è questo, case vuote di vita e riempite di troppe cose; case disertate da ogni superfluo e brulicanti di vita, di rumorosa, ambigua vita.

E’ ridicolo che si facciano prediche per far fare più figli alle famiglie italiane, ma ce n’è una spettrale ragione metafisica. L’uomo-individuo in genere ha penuria di voglia di morire; l’uomo-nazione non tollera l’idea dell’estinzione. Tollera bene l’estinzione di vita ambientale, da cui dipende la sua durata nel tempo, ma per la propria sopravvivenza di comunità nazionale, non gli basterebbero i modelli criminali. Eppure si sono perfettamente estinti i Romani (quelli che ancora si chiamano così Mommsen li definiva «italiani di Roma») e secondo Koestler anche le dodici tribù d’Israele. E gli italiani autoctoni – capaci per una sola volta di gettare sul mondo, partorita da una povera contadinella toscana, la figura ipostatica di un Leonardo, e di ragionare di politica con la grinta di Machiavelli – hanno un bel girare, per altri secoli, col passeggino: saranno grossi come lucertoline dei cimiteri. E questa penisola avrà altri padroni, qualcuno che per fame pianterebbe a cavolfiori anche il camposanto di Pisa, altri che per fanatismo farebbero saltare San Petronio per tirarci su un minareto. Perché la storia è come la natura: non ha cura di niente e di nessuno, ingoia e disfa tutto, è Sheòl e non museo…

Posso dire così come dilettante di filosofia: se invece mi metto a pensare immigrazione da cittadino senza paraocchi ideologici, una riflessione può essere la seguente, spicciolata in pensieri brevi. Uno Stato carente di giustizia come il nostro, che seguitasse ad accogliere, al ritmo dell’anno in corso, immigrazione marittima dall’Africa e aeroterrestre da tutti gli Est possibili (tra poco i soli romeni toccheranno il milione, i turchi fremono) in meno di dieci anni avrà cessato di esistere come entità statuale identificabile. A misura del crescere di incontrollabilità e anarchia, regione per regione, città per città, l’Italia diventerebbe invivibile. La riduzione delle risorse idriche passabilmente bevibili e il forsennato aumento dei consumi d’acqua bastano a far saltare l’intero sistema sociale. Anche l’igiene è diventata minaccia.

Neppure un sommesso dubbio nel coro pan-mediatico che ha accolto giubilando l’info statistica dei sessantuno milioni raggiunti grazie (proprio così: grazie) allo spermatozoo che viene dal mare. Lo spermatozoo, se non lo freni, fabbrica bomba biologica: di che ti rallegri, stolto? Per terrore di essere pochi, si opera nel senso del suicidio identitario, preludio dello sparire.

Benvenuto lo spezzarsi dell’uniformità di fede religiosa, purché ci sia dispersione e varietà di gruppi (in Italia, secondo Introvigne, sono circa settecento) e non la pressione sbilanciante di una più forte di tutte (l’Islam) che conta seguaci a milioni, già tutti presenti e mira a convertire, non certo a rassegnarsi a convivere. Il talebanismo non ha confini.

L’Italia è (meglio dire: è stata) paesaggi urbani indicibili e paesaggi marini e alpini di bellezza mozartiana. La perdita di terreni agricoli e di spazi liberi per promuovere edilizia ad ogni costo, case dopo case, quartieri di bruttezza, ghetti condominiali, e traffico d’asfalto senza limiti, è una sconfitta spirituale. Chi non odia la verità può comprendere.

Il diritto all’asilo politico non è applicabile né automaticamente né oggettivamente; è opinabile sempre, e toglierlo dalla Costituzione eviterebbe polemiche inutili e mai disinteressate. I governi si muovono secondo linee pratiche e ciniche. Possono pretendere asilo anche mani insanguinate e da governi ideologicamente affini subito ottenerlo. Di rado c’è accordo per certezza del merito: diritti dimostrabili da parte di chi non dà neppure certezza di nome e di provenienza non ce ne sono. Puoi riconoscere e soddisfare soltanto l’anonimo eterno stomaco che ha fame. E poi?

Ingovernabile, perfino dalle Utopie, è questo mondo di folle in movimento verso nessun mondo possibile.

Da Guido Ceronetti, Migranti e prediche, Editoriali 2009, La Stampa Torino