«Il nuovo palazzo fu terminato nell’ottavo mese. Gli appartamenti che corrispondevano ai segni astrologici della Pecora e della Scimmia furono riservati per i temporanei soggiorni di Dama Akikonomu, perché sorgevano sull’area occupata un tempo dalle sue stanze. Gli appartamenti del Drago e del Serpente erano destinati a Genji; mentre quelli del Toro e della Tigre dovevano servire alla Dama del Villaggio dei Fiori Caduchi. Infine gli appartamenti del Cane e del Cinghiale furono preparati per la Dama di Akashi, nella speranza che una volta o l’altra avrebbe consentito a stabilirsi sotto il suo tetto.
Genji portò grandi migliorie nell’aspetto delle terre d’intorno con un’accorta creazione di poggi e di laghi, che fin da prima abbondavano in quel sito, ma egli trovò necessario far scomparire qua un pendio, là di arginare un corso d’acqua, in modo che le ospiti dei vari appartamenti potessero dalle loro finestre godersi la vista che prediligevano. Verso il sud-est alzò il livello del suolo, e sul terrapieno fece piantare centinaia di alberi dai fiori primaticci. Al termine del declivio il lago disegnava un arco di singolare bellezza: sui suoi margini, proprio sotto le finestre, Genji dispose un bordo di aiole di cinquefoglie, susini rossi, ciliegi, kerria, azalee di montagna e altre piante che hanno in primavera il loro rigoglio; perché sapeva che Murasaki aveva una particolare passione per la primavera; qua e là, invece, nei punti che non disturbavano le grandi linee del suo progetto, fiori d’autunno erano ingegnosamente intercalati nell’insieme.
Il giardino di Akikonomu era pieno di quegli alberi che d’autunno assumono le sfumature più cupe. Il corso d’acqua sopra la cascata fu prosciugato e fatto defluire in profondo a notevole distanza; e per far giungere più lontano il rumore della cascata Genji fece porre a mezzo il letto grandi massi contro cui la corrente urtava e si frangeva. E così accadde che, siccome la stagione era molto avanzata, fosse proprio quella la parte del giardino che si mostrava allora più appariscente; di tale bellezza da eclissare di gran lunga perfino gli splendori autunnali delle foreste presso Oi, così celebri per le loro tinte d’autunno.
Nel giardino di nord-est scaturiva una fresca polla, le cui vicinanze parevano promettere un piacevole rifugio nei calori estivi. Nelle aiole che fiancheggiavano la casa da questo lato Genji fece piantare bambù cinesi, e un po’ più in là, alberi d’alto fusto che col loro fitto fogliame coprivano aeree gallerie d’ombra, piacenti come quelle dei più ameni boschi dell’altopiano. Cingevano il giardino siepi di bianche deutzie e di aranci “ il cui profumo ridesta l’amore dimenticato” e rose di macchia e peonie giganti, e molte altre specie di arbusti e di fiori dall’alto stelo, così ingegnosamente commisti tra loro che gli autunni sarebbero stati ridenti come le primavere.
A oriente, era stato alzato uno spazioso recinto, entro il quale sorgeva il Padiglione delle Gare, davanti al quale la pista delle corse era delimitata da graticci di vimini; e siccome contava di risiedere colà durante i giochi del quinto mese, lungo tutto il torrente in quella zona fece piantare i necessari ireos purpurei. Dall’altro lato erano sistemate le scuderie con gli stalli per i suoi cavalli da corsa, e gli alloggiamenti dei fantini e dei mozzi. Aveva qui riunito i più audaci cavalieri di ogni provincia del regno. A nord degli appartamenti della Dama di Akashi sorgeva un alto terrapieno di là dal quale si allineavano magazzini e granai, cintati essi pure da una fitta barriera di pini, colà piantati affinché la dama potesse goderne la vista quando i loro rami erano carichi di neve; e per darle gradito spettacolo nei primi giorni invernali si stendeva un’ampia aiola di crisantemi, che Genji fantasticava l’avrebbe rallegrata nei mattini in cui tutto il giardino fosse candido di gelo. E là ancora allignava la madre quercia (perché non era madre anche la dama?) e, trapiantati da luoghi selvaggi e inaccessibili, centinaia d’altri alberi e arbusti, così raramente veduti che nessuno ne sapeva il nome.
Il trasloco doveva compiersi forse all’incirca al tempo della Festa dell’altra Riva. Dapprima egli aveva pensato di far traslocare tutti contemporaneamente. Ma presto apparve chiaro che sarebbe stata un’impresa troppo impegnativa, e fu convenuto che Dama Akikonomu sarebbe arrivata un po’ più tardi. Con l’amabilità e il buonsenso consueti la Dama del Villaggio dei Fiori Caduchi accettò subito la proposta di non formare col proprio seguito un corteo per suo conto, ma di unirsi invece con Murasaki per la cerimonia del trasloco. Genji rimpianse che quest’ultima non vedesse il suo nuovo regno nella stagione per cui soprattutto era stato progettato; ma il trasferimento in sé e per sé fu un’esperienza divertente. Al corteo partecipavano quindici carrozze, e quasi tutti i battistrada erano gentiluomini del Quarto e del Quinto Grado. Il cerimoniale però del corteo non era complesso come ci si sarebbe potuti aspettare, giacché era sembrato che in quel momento uno spettacolo troppo sontuoso potesse parere provocatorio per la folla; così alcune delle forme e dei riti più fastosi furono omessi o abbreviati.
Ma Genji fece in modo di non dar l’impressione che queste restrizioni andassero a detrimento di una dama anziché di un’altra. Ed invero la Dama del Villaggio dei Fiori Caduchi non ebbe motivo di lagnarsi, perché Yugiri era stato destinato al suo esclusivo servizio per tutta la cerimonia. Gentildonne e ancelle trovarono i loro alloggi nella nuova casa mirabilmente provvisti di tutti i conforti e le comodità, e fecero più che mai il panegirico di Genji. Circa sei giorni dopo arrivò dal Palazzo l’Imperatrice Akikonomu. La cerimonia del suo arrivo, quantunque si fosse deciso che tutto il trasloco dovesse svolgersi un po’ alla chetichella, non potè a meno d’essere molto sontuosa e imponente. Ella non soltanto si era innalzata da un’oscura posizione al posto più elevato che una donna possa occupare nel paese, ma era diventata così bella e aveva acquisto un portamento e un aspetto così dignitosi che ormai campeggiava nell’immaginazione popolare, e la folla gremiva le strade che lei doveva percorrere.
Numerosi viali e passaggi coperti collegavano i vari alloggi di cui era composto il nuovo palazzo e facilitavano l’accesso dall’uno all’altro, sicché nessuno ebbe l’impressione ch’ella fosse stata relegata in un angolo appartato. Quando arrivò il nono mese e le foglie d’autunno raggiunsero il loro pieno rigoglio, gli splendori del nuovo giardino di Akikonomu finalmente si rivelarono in pieno: la vista che si godeva dalle sue finestre era davvero di una bellezza indescrivibile. Una sera che il tappeto cremisi era scompigliato da un vento impetuoso, ella riempì una piccola scatola di foglie rosse spiccate da diversi alberi e la mandò a Murasaki. Scelse come sua messaggera una delle ragazzine che erano al suo servizio. La bimba, un frugolo in gamba e spavaldo, attraversò saltellando e con la massima naturalezza l’arcuato ponte di legno per cui si usciva dagli appartamenti dell’Imperatrice. Murasaki, per quanto lieta di ricevere quella zelante prova di amicizia, per un poco non potè a meno di contemplare estatica l’aspetto della messaggera, e non le venne neanche in mente che altri al suo posto si sarebbe risentito che l’Imperatrice non avesse affidato il proprio dono a una messaggera più anziana e solenne. La bambina indossava una tunica di seta, gialla di fuori e verde all’interno, e un mantello di velo bruno. Era abituata a portar messaggi su e giù per il Palazzo, aveva nell’aspetto e nel portamento la perfetta infallibilità che è impossibile trovare altrove, ed era tutt’altro che intimidita di trovarsi in presenza di un personaggio come Dama Murasaki. Attaccata alla scatola c’era la poesia: “ Sebbene il vostro sia un giardino che non conosce se non il pregio della primavera, lasciate che dalla mia casa l’autunno mandi una foglia purpurea nella vostra mano”. Mentre Musasaki leggeva la lettera, era divertente vedere le sue dame che facevano ressa intorno alla piccola messaggera e la colmavano di ghiottonerie e di carezze. Come risposta, Murasaki dispose nell’interno della scatola uno strato di muschio e su quello adagiò un minuzzolo di roccia artificiale. Poi scrisse su una strisciolina di carta legata a un ramoscello di pino a cinque punte: “La foglia leggera si disperde al vento, e della vantata primavera non ci rimane un solo colore, tranne là dove il pino si aggrappa al suo ciglio di pietra”.
A tutta prima l’Imperatrice pensò che quel ramoscello di pino fosse vero. Ma quando guardò meglio vide che anch’esso, come la roccia, era un’opera d’arte – un delicato e ingegnoso lavoro artigiano come non ne aveva mai visti. La prontezza della risposta di Murasaki e il tatto con cui essa, pur senza far prevalere la sua più cara stagione su quella prediletta di Akikonomu, aveva tuttavia trovato un simbolo per evitarsi una resa senza condizioni, piacquero all’Imperatrice e furono elogiati da tutte le sue dame come una felice trovata. Ma quando essa mostrò la risposta a Genji, lui finse di trovarla molto impertinente, e più tardi, per stuzzicare Murasaki, le disse: – Mi pare che tu abbia accolto queste foglie con grande malagrazia. In altra stagione forse ci si potrebbe permettere di denigrarle così; ma adesso che la Dea di Tatsuta ci tiene tutti in suo potere la cosa sembra quasi ribelle. Avresti dovuto aspettare il momento buono; perché un giudizio simile si può esprimerlo impunemente solo al riparo dei rami fioriti – Così disse; ma in realtà era lietissimo di constatare che le varie ospiti della sua casa si scambiavano quei segni d’interesse e di simpatia, e capì che quella nuova sistemazione avrebbe certamente avuto la massima fortuna.
Quando la Dama di Akashi udì del trasferimento nel nuovo palazzo e seppe che soltanto i suoi alloggi, spaziosi e belli come tutti gli altri, erano tuttora disabitati, decise finalmente di porre termine a quella lontananza. Arrivò nel Mese Senza Dei. Si guardò intorno, e per quanto diffidente, non riuscì a scorgere segno alcuno da cui supporre che in fatto di eleganza e di benessere le si richiedeva più indulgenza che alle sue vicine. E infatti Genji procurò che in tutte le occasioni e agli occhi di tutti i componenti della casa essa figurasse come la madre della Principessa a cui era riserbato un così brillante avvenire piuttosto che come un magro stelo uscito da una povera e oscura famiglia di provincia.»
Tratto da Murasaki Shikibu, Storia di Genji. Il principe splendente, Torino, 1992 e 2006.
Romanzo giapponese dell’XI secolo.
Traduzione di Adriana Motti dall’edizione inglese di Arthur Waley.