I
Nell’era di velocità impetuose
di corse rovinose – nella precaria età
del ferro – viva chi resta
a piedi – coi piedi – per terra!
Per rocce e dirupi, sempre
diritto, avanti, senza sentieri,
battendo piano alle porte
della natura, che il tempo
calpesta. (Agli storpi
soltanto c’è spazio
nell’era delle turbìne!)
… Che non perdona il marchio
di insegne-réclames
sul seno che nutre.
Conquista coi piedi il lontano,
stirpe di zoppi e sciancati!
Viva le solide suole
pesanti di chiodi: gloria
ai pedoni – dèi senza ali –
con – gli stivali!
E se a questo mondo c’è un’ode
al potente dio delle cime –
è il pedone che ride: un motore
tossisce ingolfato!
Quel ghigno di un metro,
la bocca più larga del volto:
il pneumatico è sgonfio –
il torso che si allargava
in grassi anelli di boria!
Parate di parassiti,
ladri di spazio, vampiri dell’aria,
alcolizzati di verste,
tra polvere e folle plaudenti
vanno a schiantarsi. Un caso?
Un palo: la loro
stordita demenza…
II
Avanza il flagello di some,
la frusta dei sognatori. Si avventa
sulla bellezza, la investe: «A terra!» –
urlo di stupratore.
E lei non risponde – si giace
come una lastra tombale,
ma non ti mostra il viso,
l’anima – non te la vende…
E niente regali – con voi
sarà avara l’estate.
Orbo quattrocchi,
zero laccato,
tra il sud e il nord
corriere di vuoto
trambusto. Le vostre Ford,
gli insulsi primati,
le Rolls e le Royce:
antica lusinga
di serpe! Alle gambe
fu detto di andare.
E stanno – in lussuose scarpine,
tra l’Opera e la Madeleine,
marionette di legno. Meglio
le silenziose pianelle
dei morti – della vernice,
della menzogna in vetrina.
Di marocchino e serpente,
di suole ignare del suolo!
Sia gloria nell’alto dei cieli
al Dio della forza, dei regni,
per il granito onesto,
per lo spato, il quarzo, il pietrisco,
per il resto in moneta sonante:
selce di sotto lo zoccolo…
E perché mi ha creato
prodigio ambulante!
III
Il nipote scroccone
scivola giù dalle ruote.
Reggetevi ai piedi, viandanti,
come gli avi – alle mani!
Dove la gomma si arresta
si apre lo spazio ai pedoni.
Non c’è benzina? Respira
a pieni polmoni: c’è l’aria.
Il torrente ha sete di rapide.
L’entusiasmo – di sprechi.
Ai bambini insegnate soltanto
a muovere i piedi.
Lungo morene e ruscelli.
E oltre – no! A sapere
le Alpi con i ginocchi,
con i talloni i ghiacciai.
Mi farò terra d’ossa, amici:
fondamenta di quelle scuole!
Perché dal suo primo all’ultimo
passo vada da solo
mio figlio. Mio sangue! Muscolo
che ha svergognato l’Ade!
Nel regno di spugne e molluschi
stai sulle tue – sulle due – gambe!
Ode all’andare a piedi, Marina Cvetaeva, in Dopo la Russia e altri versi, a cura di Serena Vitale, Mondadori, 1988.
Join the Discussion