Peter Wohlleben

Secondo il dizionario, il linguaggio è la capacità propria dell’essere umano di comunicare. In quest’ottica, solo noi uomini siamo in grado di parlare, perché il concetto è limitato alla nostra specie. Eppure, non sarebbe interessante sapere se anche gli alberi sono in grado di esprimersi? Ma come? Non si può certo udirli, perché i loro toni sono decisamente sommessi. Lo scricchiolio dei rami che il vento sfrega l’uno contro l’altro e il fruscio delle foglie sono rumori passivi su cui gli alberi non esercitano alcun influsso. Tuttavia si fanno notare in un altro modo: tramite le sostanze odorose. Odori come veicolo di comunicazione? Un fenomeno che non è ignoto nemmeno tra gli umani, altrimenti perché usare deodoranti e profumi? E anche senza il loro impiego, il nostro odore corporeo arriva comunque alla mente conscia e subconscia di chi ci è vicino. Alcune persone hanno un odore insopportabile, mentre altre ci attirano fortemente a livello olfattivo. La scienza afferma che i feromoni contenuti nel sudore sono addirittura determinanti per la scelta del partner, cioè dell’individuo con il quale intendiamo generare discendenti. Noi tutti, perciò, disponiamo di un linguaggio olfattivo segreto, e almeno su questo possono contare anche gli alberi. Risale ormai a quarant’anni fa un’osservazione compiuta nella savana africana. Qui le giraffe brucano la chioma delle acacie a ombrello, che non apprezzano per nulla tale trattamento. Per liberarsi dei grossi erbivori, nel giro di pochi minuti le acacie depositano sostanze tossiche nelle proprie foglie. Le giraffe lo sanno e si rivolgono agli alberi vicini. Ma quanto vicini? Non molto, in realtà: i grossi quadrupedi passano davanti a svariati esemplari ignorandoli e riprendono il pasto non prima di aver percorso circa 100 m. Il motivo è sconcertante: l’acacia da loro brucata esala come avvertimento un gas (in questo caso l’etilene) che segnala agli alberi della stessa specie presenti nei paraggi il pericolo incombente. Come risposta, anche tutti gli individui così preallertati inviano alle foglie sostanze tossiche per prepararsi all’incursione. Le giraffe conoscono il trucco, ed è per questo che si spostano oltre nella savana, dove trovano alberi ancora ignari della loro presenza. Oppure procedono controvento. I messaggi olfattivi, infatti, vengono trasportati dall’aria agli alberi vicini, e se gli animali camminano contro la direzione del vento, trovano presto acacie che non sospettano la loro presenza. Fenomeni simili avvengono anche nei nostri boschi: faggi, abeti e querce, tutti indifferentemente si accorgono con dolore se c’è chi rosicchia le loro foglie. Quando un bruco ne addenta una voracemente, il tessuto tutt’intorno alla porzione danneggiata si trasforma. Inoltre, la foglia invia segnali elettrici esattamente come avviene nel corpo umano quando gli viene inflitta una ferita. Tuttavia, quest’impulso non si propaga nel giro di millisecondi come nel nostro organismo, ma alla velocità di un solo centimetro al minuto. Poi occorre ancora un’altra ora perché gli anticorpi si depositino nelle foglie così da rovinare il pasto ai parassiti1: gli alberi sono lenti, e anche in caso di pericolo la velocità massima sembra essere questa. Ciononostante, le singole parti di un albero non funzionano in isolamento l’una dall’altra. Se per esempio le radici incontrano un problema, quest’informazione si propaga in tutto l’albero e può far sì che le foglie rilascino sostanze odorose la cui composizione non è casuale, ma creata ad hoc per quello scopo specifico. È un’altra caratteristica che nei giorni successivi li aiuta a respingere l’attacco perché riconoscono alcune specie di insetti come ospiti poco raccomandabili. La saliva di ogni specie è peculiare e può essere identificata. Ciò avviene con tale precisione da riuscire ad attirare con sostanze “esca” predatori che accorrono in aiuto degli alberi avventandosi voracemente sugli ospiti sgraditi. Gli olmi o i pini, per esempio, si rivolgono a minuscole vespe2. Questi insetti depongono le uova all’interno del corpo dei bruchi che si nutrono delle foglie. Le larve delle vespe vi si sviluppano alimentandosi del bruco che le ospita e divorandolo a brano a brano: una morte non esattamente auspicabile. In questo modo, comunque, gli alberi si liberano dei fastidiosi parassiti e possono continuare a crescere senza danno.
Il riconoscimento della saliva è inoltre una prova di un’altra capacità degli alberi: devono necessariamente essere dotati anche del senso del gusto.
Le sostanze odorose hanno però lo svantaggio di essere diluite rapidamente dal vento: a volte non riescono nemmeno a percorrere una distanza di 100 m. Si prestano tuttavia a uno scopo parallelo: mentre la diffusione del segnale all’interno dell’albero è molto lenta, per via aerea avviene più rapidamente e copre maggiori distanze, riuscendo così a raggiungere e preavvertire parti dell’albero stesso distanti svariati metri.
Spesso, però, non occorre nemmeno che l’albero lanci lo speciale grido di allarme necessario a respingere un particolare insetto. In linea di massima, il mondo animale registra i messaggi chimici degli alberi, e sa perciò che in un certo luogo avviene un’aggressione e che devono essere all’opera determinate specie predatrici. Chi ha appetito di tali piccoli organismi si sente attratto in modo irresistibile. Ma gli alberi si sanno difendere anche da soli. Le querce, per esempio, inviano alla corteccia e alle foglie tannini amari e velenosi che uccidono gli insetti parassiti o cambiano il sapore delle foglie non meno di quanto accadrebbe a una saporita insalata che si trasformasse in amarissimo fiele. I salici, per difendersi, sintetizzano la salicina che ha effetti simili. Non per noi umani, però: una tisana di corteccia di salice allevia addirittura il mal di testa e la febbre ed è considerata un precursore dell’aspirina.
Naturalmente una tale difesa richiede tempo, ed è per questo che la collaborazione nell’invio di tempestivi segnali di avvertimento è così importante. A questo scopo gli alberi non si affidano solo all’aria, perché altrimenti nemmeno tutti gli esemplari vicini potrebbero aver sentore del pericolo. Preferiscono inviare i loro messaggi anche mediante le radici, che collegano tutti gli esemplari in una rete e lavorano indipendentemente dalle condizioni atmosferiche. Sorprendentemente non vengono trasmessi solo messaggi chimici, ma anche elettrici, e alla velocità di 1 cm al secondo. In confronto a quanto accade nel corpo umano, è ovviamente un processo di estrema lentezza, ma nel regno animale ci sono specie come le meduse o i vermi che presentano valori simili quanto a velocità di trasmissione3. Una volta che la notizia è stata diffusa, anche le altre querce presenti nei paraggi inviano prontamente tannini nella rete dei loro vasi. Le radici di un albero sono molto estese, più del doppio della chioma. Ne possono derivare intersezioni con le propaggini sotterranee di alberi vicini e contatti per concrescenza. Questo, però, non accade in modo indifferenziato, perché anche nel bosco ci sono individui solitari e asociali che non vogliono avere a che fare con i loro simili. Ci si potrà chiedere se questi tipi scorbutici siano in grado di bloccare i segnali di allarme semplicemente negando il proprio contributo. Per fortuna non è così, perché per garantire una rapida propagazione dei messaggi, nella maggior parte dei casi si ricorre ai funghi. Questi agiscono come i cavi in fibra ottica di Internet. I sottili filamenti penetrano nel suolo e vi intessono reti di una fittezza inimmaginabile. Un cucchiaino di terra di bosco contiene diversi chilometri di queste “ife”4. Nel corso di secoli, un singolo fungo può propagarsi per svariati chilometri quadrati e collegare nella sua rete interi boschi. Con i suoi cavi trasmette i segnali da un albero all’altro e li aiuta a scambiarsi messaggi riguardanti gli insetti, i periodi di siccità e altri pericoli. Nel frattempo, anche la scienza parla di un wood-wide-web che attraversa i nostri boschi. Quali e quante informazioni vengano scambiate è ancora oggetto di timide esplorazioni. Non è escluso che esistano contatti anche fra alberi di specie diverse, comprese quelle che si considerano concorrenti. I funghi perseguono infatti la loro personale strategia, che spesso è fortemente mirata alla mediazione e al riequilibrio fra le parti. Se l’albero è indebolito, non sono solo le sue difese immunitarie a subire un calo, ma anche la sua comunicatività. Diversamente non si spiegherebbe il fatto che gli insetti parassiti selezionino in modo mirato gli esemplari cagionevoli. È ipotizzabile che a questo scopo ascoltino gli alberi, ne registrino i concitati gridi chimici di allarme e testino gli individui muti attaccandone le foglie o la corteccia. Forse la riservatezza è davvero ascrivibile all’insorgere di una malattia seria, talvolta anche a una perdita di micelio che isola l’albero da qualunque notizia: quando non è più in grado di registrare le minacce incombenti, per i bruchi e i coleotteri ha inizio il banchetto. Altrettanto cagionevoli sono gli individui solitari cui abbiamo già accennato che, pur avendo un aspetto sano, rimangono ignari di ciò che accade.Nella biocenosi del bosco, non sono solo gli alberi, ma anche gli arbusti e le piante erbacee, e probabilmente tutte le specie vegetali, a scambiarsi messaggi in modo simile. Se però ci inoltriamo nei campi, le piante coltivate si fanno molto silenziose. In seguito alle pratiche agricole, le nostre colture hanno in larga misura perduto la capacità di comunicare sopra e sotto il suolo. Sono quasi sordomute e diventano perciò facile preda degli insetti5: è uno dei motivi per cui l’agricoltura moderna deve ricorrere a tante sostanze spray. Forse in futuro i coltivatori potranno prendere a modello il bosco e tornare a incrociare nei loro cereali e nelle loro patate più natura selvaggia, e con essa più capacità di comunicare.
La comunicazione fra gli alberi e gli insetti non riguarda solo l’autodifesa e la malattia. Che ci siano segnali decisamente positivi fra creature così diverse, è un fenomeno che il lettore avrà probabilmente notato, anche per via olfattiva. Ci sono infatti piacevoli messaggi odorosi che provengono dai fiori. Questi ultimi non diffondono certo il loro profumo a caso o per piacere a noi. Gli alberi da frutta, i salici o i castagni attirano l’attenzione con il loro messaggio aromatico e invitano le api a fare rifornimento sostando sui propri fiori. Il dolce nettare, un succo zuccherino concentrato, è la ricompensa per l’impollinazione che viene attuata en passant proprio dagli insetti. Anche la forma e il colore dei fiori sono un segnale, quasi come un cartellone pubblicitario che spicca dalla massa verde del fogliame e indica la strada per assicurarsi un appetitoso spuntino. Dunque gli alberi comunicano a livello olfattivo, ottico ed elettrico (mediante una sorta di cellule nervose situate sulla punta delle radici). E che ruolo rivestono i rumori, ossia ascoltare e parlare?
Ho affermato all’inizio del capitolo che i toni degli alberi sono decisamente sommessi, ma le più recenti scoperte scientifiche sono in grado di mettere in dubbio anche questa convinzione. La ricercatrice Monica Gagliano dell’Università dell’Australia occidentale ha ascoltato con alcuni colleghi di Bristol e di Firenze i rumori del suolo6. Gli alberi sono poco pratici da studiare in laboratorio, perciò sono state analizzate in loro vece alcune ben più maneggiabili plantule di cereali. E ben presto gli apparecchi misuratori hanno registrato gli scricchiolii sommessi delle radici a una frequenza di 220 Hz. Radici capaci di produrre scricchiolii? Non significa molto: anche il legno morto scoppietta, se non altro quando arde nella stufa. Ma il rumore riscontrato in laboratorio faceva drizzare le orecchie anche in senso figurato, perché le radici degli altri germogli reagivano a quegli schiocchi. Se venivano esposte a uno scricchiolio da 220 Hz, le loro estremità si orientavano in quella direzione. Ciò significa che l’erba è in grado di percepire, o diciamo tranquillamente “udire”, queste frequenze. Scambio di informazioni fra le piante mediante onde sonore? Una notizia che invoglia a scoprire di più, poiché, visto che anche noi esseri umani siamo allenati alla comunicazione sonora, questa potrebbe essere una chiave per riuscire a comprendere meglio gli alberi. Difficile immaginare le conseguenze se riuscissimo a capire dai loro suoni se i faggi, le querce e gli abeti stanno bene o stanno male. Purtroppo non siamo ancora arrivati a tanto: in questo campo la scienza è solo agli inizi. Ma se durante la vostra prossima passeggiata nel bosco doveste sentire qualche schiocco sommesso, forse non era solo il vento…

Tratto da: Peter Wohlleben, La vita segreta degli alberi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *