Primitivi e civilizzati

Charbonnier – Lo scienziato deve essere molto paziente nei confronti di noi, uomini qualunque, perché gli chiediamo di rispondere a interrogativi diversi dai suoi. L’uomo di scienza si pone degli interrogativi per conoscere, mentre noi li poniamo per conservare l’idea dell’uomo che ci siamo fatta, quell’idea e quella valutazione che conosciamo, ma che non siamo in grado di precisare. La nostra simpatia per l’etnologo è rivolta all’uomo di scienza che per conoscere si serve di una poetica. Per questo gli chiediamo di affrontare poeticamente la nostra società, anche se sappiamo – mi riferisco alle sue parole – che egli studia come un astronomo, cioè studia una materia sociale privilegiata, lontana, distante, una specie di stato cristallino della materia sociale. Il sociologo invece non ci rappresenta; egli può prevedere attraverso i numeri il comportamento medio dei nostri gruppi e noi temiamo per la nostra libertà. Quindi è proprio all’etnologo che desideriamo porre la domanda: quali differenze fondamentali di funzionamento e di struttura nota fra le società oggetto dei suoi studi e la società nella quale viviamo, la nostra?

Lévi-Strauss – Lei ha posto la domanda più difficile fra tutte quelle che vengono rivolte all’etnologia, così difficile che dubito sia possibile rispondere. Potrebbe anche essere questo il limite assoluto della nostra conoscenza; perciò sarebbe forse il caso di domandarci prima da che cosa provenga tale difficoltà. Mi pare infatti che la domanda ne contenga un’altra, e cioè se sia possibile classificare tutte le società umane secondo una nozione di progresso, definendo le une più primitive – adoperiamo il termine “primitive” perché ci viene imposto dall’uso e non ne conosciamo di migliori – e le altre “più civilizzate”, se così si può dire.

Charbonnier – Questo però è un problema che ponevo in secondo piano, assieme a molti altri.

Lévi-Strauss – Se lei è d’accordo cominciamo di qui. Mi pare che la grande difficoltà dipenda dal fatto che non è la stessa cosa analizzare una società dall’esterno oppure dall’interno. Guardandola dall’esterno possiamo attribuirle un certo numero di caratteristiche, determinare il grado del suo sviluppo tecnico, l’ampiezza della produzione materiale, la massa della popolazione e così di seguito, e infine darle freddamente un voto e fare un paragone fra i voti che diamo alle varie società. Ma quando si guarda dall’interno, questi pochi elementi si dilatano e si trasformano per ogni membro di una società, che si rivela ricca di infinite sfumature. Vorrei fare un paragone: immagini che cosa può rappresentare la morte di un individuo per i conoscenti e che cosa invece per i familiari. Vista dall’esterno è certo un avvenimento banalissimo, ma per gli intimi rappresenta il sovvertimento totale di un universo: non possiamo mai capire completamente che cosa sia il dolore di una famiglia che non è la nostra famiglia, che cosa sia il dolore che non è il nostro dolore. E’ un genere di difficoltà che mi ricorda la complementarietà di cui parlano i fisici. Non si può determinare la traiettoria di una particella e contemporaneamente stabilirne la posizione. E analogamente, forse, non possiamo nello stesso tempo tentare di conoscere una società vivendone all’interno e cercare di classificarla dall’esterno in rapporto ad altre società. Ecco dov’è la difficoltà.

Charbonnier – Ma è una difficoltà che riguarda ogni metodo di conoscenza, non soltanto l’etnologia.

Lévi-Strauss – Certo, ma cercavo soltanto di spiegare quale particolare incidenza abbia sull’etnologia. Desideravo farlo subito ma non intendevo con questo sfuggire alla sua domanda, alla quale bisogna invece cercare di rispondere, perché è una questione che tutti ci poniamo e perché non possiamo impedirci di paragonare società molto diverse fra loro, come ad esempio potrebbe essere quella degli indigeni australiani che non possedevano vasellame e tessuti, e non conoscevano l’agricoltura e gli animali domestici, con la nostra società con le macchine, l’energia termica, l’energia elettrica e ora anche quella nucleare. Fra simili società la differenza è così evidente che non si può fare a meno di cercare di capirne i motivi.

Charbonnier – Esiste tutto un vocabolario di cui bisognerebbe conoscere il vero significato. Per noi uomini di questo tempo, che viviamo all’interno delle grandi società, la parola “grande” ha sempre un significato, anche quando senza essere uomini di scienza cerchiamo di assumere una posizione imparziale.

Lévi-Strauss – Obiettivamente, dobbiamo constatare che le società contemporanee e le società dei popoli che chiamiamo “primitivi” non appartengono allo stesso ordine di grandezza. Se lei è d’accordo, partiamo da questa constatazione. Possiamo immaginare la nostra civiltà come una combinazione molto complessa. La differenza d’ordine di grandezza potrebbe essere vagamente paragonata a quella che esiste fra le grosse molecole, che sono la combinazione di parecchie migliaia di atomi, e le molecole più piccole, che ne hanno soltanto un numero molto limitato. Vi è quindi una doppia differenza: di ordine di grandezza e di complessità di combinazione. Nel nostro caso come possiamo spiegarla? Le propongo una prima ipotesi. Dico subito che farò l’avvocato del diavolo perché non sosterrò sino in fondo questa tesi: ma mi pare necessario tenerla sempre presente. Immagini un incallito giocatore di “roulette” che si proponga non solo di indovinare il numero buono, ma di realizzare una combinazione complessa, basata su parecchie dozzine o parecchie centinaia di puntate, e definita da certe regole di alternanza fra il rosso e il nero, o fra il pari e il dispari. Il nostro giocatore potrebbe realizzare questa complessa combinazione al primo, al millesimo, al milionesimo tentativo, oppure mai. Se la combinazione si realizza al settecentoventicinquesimo colpo, non le verrà certo in mente di dire che tutti i tentativi che l’hanno preceduta erano indispensabili. Si è realizzata in quel momento, sarebbe potuta succedere dopo, ma comunque i tentativi iniziali non hanno costituito un progresso necessario per il successo. A questo punto potremmo già rispondere al problema che lei ha posto. Potremmo dire infatti che l’umanità è riuscita a realizzare questa complessa combinazione che è la civiltà occidentale dopo un certo numero di millenni. Avrebbe potuto realizzarla all’inizio, avrebbe potuto farlo molto più tardi, l’ha fatto in questo momento. Ma non esistono dei motivi: è così. La risposta non la soddisfa, vero?

Charbonnier – No, non mi soddisfa. Come non specialista ritengo che l’elemento tempo sia importante.

Lévi-Strauss – D’accordo. Ma cerchiamo di delinearlo, questo elemento tempo. In che cosa consiste? Per proseguire nella nostra analisi occorre far intervenire un’acquisizione essenziale della cultura, la condizione stessa che permette la totalizzazione del sapere e l’utilizzazione delle esperienze passate, quella che, in modo più o meno intuitivo, sentiamo essere stata all’origine della nostra civiltà: la scrittura. Un popolo può approfittare delle conquiste precedenti solo nella misura in cui sono fissate nella scrittura. I popoli cosiddetti primitivi hanno spesso delle capacità mnemoniche stupefacenti (si parla di certe popolazioni polinesiane capaci di recitare senza un attimo di esitazione genealogie per dozzine di generazioni), ma tutto ciò ha chiaramente dei limiti. Solo con l’invenzione della scrittura si è potuto conservare il sapere, i tentativi, le esperienze felici o infelici di ogni generazione; e partendo da questo capitale è stato possibile alle generazioni seguenti non soltanto ripetere gli stessi tentativi, ma utilizzare quelli che erano stati fatti prima per migliorare le tecniche e compiere nuovi progressi. E’ d’accordo anche lei?

Charbonnier – Non vedo perché non dovrei esserlo.

Lévi-Strauss – Bene. Allora c’è qualcosa cui possiamo riferirci, perché l’invenzione della scrittura si situa nel tempo e nello spazio.
Sappiamo infatti che è nata nel Mediterraneo orientale fra il terzo e il quarto millennio, ed è diventata indispensabile.

Charbonnier – Ma l’apparire di un fenomeno come l’invenzione della scrittura in quel particolare momento storico non è un privilegio? L’uomo qualunque si chiede: perché proprio in quel periodo e in quel luogo?

Lévi-Strauss – Già, perché? Ciò che dirò potrà sembrare una contraddizione, ma la scrittura è apparsa nella storia dell’umanità fra il terzo e il quarto millennio prima della nostra era, quando l’uomo aveva già fatto le scoperte fondamentali ed essenziali per la sua esistenza: non prima ma dopo quella che chiamiamo la “rivoluzione neolitica”, la quale consiste nella scoperta delle arti della civiltà, che sono ancora oggi alla base della nostra esistenza, cioè l’agricoltura, la riduzione di alcuni animali allo stato domestico, il vasellame, la tessitura; cioè un insieme di procedimenti che han permesso alle società umane di vivere non più, come ai tempi del paleolitico, alla giornata, fidando nella caccia, nella raccolta quotidiana, ma di accumulare…

Charbonnier – …di disporre di un certo margine di sicurezza, insomma.

Lévi-Strauss – Sì, esattamente. Sbaglieremmo se pensassimo che scoperte tanto importanti siano potute nascere all’improvviso, per effetto del caso. L’agricoltura, per fare un solo esempio, rappresenta una somma di conoscenze, di esperienze accumulate di generazione in generazione, trasmesse dall’una all’altra, prima di diventare qualcosa di veramente utile. Spesso si è notato che gli animali domestici non sono semplicemente delle specie selvagge passate allo stato di vita domestica; ma sono animali completamente trasformati dall’uomo; e questa trasformazione, condizione essenziale per la loro utilizzazione, ha richiesto molto tempo e un’applicazione costante ed estremamente lunga. E tutto ciò è avvenuto senza la scrittura. Dunque, se poco fa la scrittura ci è apparsa come la condizione essenziale del progresso, dobbiamo tener presente che certi progressi tecnici fondamentali, e forse i progressi tecnici più essenziali dell’umanità, sono stati compiuti senza il suo intervento.

Charbonnier – Ma per ognuno di questi progressi siamo portati, nostro malgrado, a porci la stessa domanda: la persona che non studia questi problemi si chiede perché un simile progresso sia avvenuto proprio in quel periodo. E quanto più si risale nel tempo, tanto più ci si pone l’interrogativo.

Lévi-Strauss – Per quel che riguarda il neolitico il problema non è esattamente lo stesso.

Charbonnier – “Condizioni per l’apparizione di una manifestazione di progresso”: la questione rimane sempre aperta.

Lévi-Strauss – Sì, però bisogna aggiungere che non sappiamo se le grandi conquiste del neolitico siano avvenute in un solo luogo e nello stesso periodo di tempo. Anzi, è verosimile che, in certe condizioni, che si è peraltro cercato di determinare (ad esempio il relativo isolamento di gruppi umani in piccole vallate fra le montagne con irrigazione naturale; gruppi protetti da questo isolamento dalle invasioni di popolazioni straniere), le conquiste del neolitico siano apparse indipendentemente in diverse regioni del mondo. Mentre invece, per quel che riguarda la scrittura, nella nostra civiltà, è stato almeno ben localizzato il luogo dove essa è sorta. E allora ci si deve chiedere: a che cosa è legata la scrittura? Quali altre cose succedevano nel periodo in cui è stata inventata? La sua comparsa è stata forse condizionata da qualcos’altro? A questo riguardo si può fare una constatazione: il solo fenomeno legato all’apparizione della scrittura, che si registra sempre e ovunque, e non soltanto nel Mediterraneo orientale, ma anche nella Cina preistorica e perfino in certe regioni dell’America, dove esistevano accenni di scrittura prima della conquista, è la costituzione di società gerarchiche, composte da padroni e da schiavi, che utilizzavano una parte della loro popolazione per lavorare a vantaggio dell’altra. Insomma, pare che inizialmente la scrittura sia servita per esercitare il potere: per fare inventari, cataloghi, censimenti, leggi e ingiunzioni. In ogni caso, indipendentemente dal fatto che servisse a controllare dei beni materiali o degli esseri umani, la scrittura è stata usata da alcuni uomini per esercitare il loro potere su altri uomini e sulle ricchezze.

Charbonnier – Controllo del potere.

Lévi-Strauss – Controllo del potere e mezzo per esercitare questo controllo. Abbiamo seguito un itinerario piuttosto tortuoso: siamo partiti dal problema del progresso per arrivare a quello della capitalizzazione o totalizzazione del sapere, cosa che è stata resa possibile soltanto con l’apparire della scrittura. Perciò la scrittura stessa, nelle sue origini, ci appare associata in modo permanente a società basate sullo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Con questo, il problema del progresso si complica e implica non una, ma due dimensioni; perché se l’uomo, per stabilire il suo impero sulla natura, ha dovuto asservire un altro uomo e trattare quindi come un oggetto una parte dell’umanità, allora non è più possibile rispondere in modo semplice e non equivoco agli interrogativi che suscita la nozione di progresso.

Tratto da: Claude Lévi-Strauss, Primitivi e civilizzati, Conversazioni con Georges Charbonnier

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