Foreste

Già ai tempi di Tacito i barbari di Germania guardavano alle foreste del passato come alla culla della loro razza, proprio come il mito dell’Arcadia, nell’Eneide di Virgilio, si volge a un’epoca remota in cui gli uomini nascevano dai roveri. Tacito ci rammenta che certi boschi erano i luoghi in cui “regna il dio re di tutte le cose, tutti a lui soggette e obbedienti” Questi boschi, sempre secondo Tacito, erano anche i luoghi delle teofanie.

Attualmente, il “ grande possedimento” tedesco sta letteralmente morendo. Quei sani “alberi e tronchi ben radicati, ricchi di linfa, che assimilano organicamente aria, acque, luce e terra per mantenere la propria forma e la vita individuale” si stanno trasformando in “rami secchi e caduti” della povertà, in un lento processo di decadenza biologica. Nonostante tutti gli sforzi dei Verdi tedeschi per far passare le foreste come l’eredità della patria e le custodi del suo spirito, non c’è molto che la Germania possa fare per ciò che essi chiamano il Waldsterben, la morte della foresta, perché la morte degli alberi é provocata dalla pioggia acida. La pioggia acida non sa nulla di confini nazionali , di unità culturale o di possedimenti comuni.

Nel frattempo, la nazione tedesca è stata rimessa insieme, come i fratelli le cui teste recise vengono riattaccate al tronco. Che la riunificazione politica possa riunificare le antiche foreste tedesche è dubbio; altrimenti bisognerebbe concludere che tale rianimazione dipende da qualche  cosa di più di una radice miracolosa o della bacchetta di una strega.

Non furono soltanto i boschi preistorici della Germania settentrionale a ospitare gli dèi. Anche in epoche storiche la maggior parte dei templi era circondata da un bosco che si estendeva nelle immediate vicinanze. Talvolta il bosco era un tempio. Dall’iconografia prendiamo che un singolo albero, o un gruppo d’alberi, era  talvolta circondato da un muro che delimitava lo spazio del tempio. I devoti vi giungevano in processione e invitavano la loro dea ad apparire danzano estatici intorno all’albero sacro. Al culmine della loro estasi la dea avrebbe rivelato la sua presenza. Rituali come questi testimoniano l’esistenza di un culto degli alberi molto diffuso nelle varia religioni pagane. Grazie alle ricerche svolte da Sir Arthur Evans sappiamo che a Creta, per esempio, lo spirito degli alberi sacri era custodito d a pilastri di legno o di pietra. Nel saffico intitolato Mycenaean Tree and Pillar Cult, Evans ricostruisce i rituali con cui lo spirito di un albero veniva trasferito a una colonna, o fatto dimorare in essa.

Walden richiama alla nostra mente questa perdita. Di fatto, vivere la perdita significa vivere poeticamente, sapendo che non possediamo il mondo che abitiamo proprio perché non abbiamo ancora trovato il cane da caccia. Dove, se non nella natura, possiamo imparare a sottomettere la natura e a conseguire quindi la nostra umanità – la nostra trascendenza finita, eppure aperta nel suo esito? Thoreau parla di “ vivere con saggezza”, di vivere la vita per quello che è e non per quello che non è. Questo richiede che ci si “pianti davanti alla realtà” e poi si concluda la propria “carriera mortale”. La conclusione di una carriera mortale non giunge alla fine di essa, ma è già implicita in essa fin dall’inizio. Tale conclusione non appartiene al genere delle “rapidi conclusioni” di coloro che immaginano che il Walden Pond sia senza fondo, o che nella loro incertezza assumono che il nostro principale fine sulla terra sia quello di rendere gloria a qualche altro mondo. Essa consiste nella consapevolezza del fatto che si è già perso tutto quello che c’era da perdere e che perciò la vita è data, o condonata, a titolo gratuito.

Quando pone termine a una carriera mortale, un fatto della vita ci rende consapevoli che c’è qualcosa invece di niente, che la natura è senza una ragione umanaper essere, e che abitiamo nella dadità delle perdita. Questa conoscenza di sé, e solo questa, è la libertà.

Ma non era proprio questa libertà poetica che l’America prometteva a coloro che volontariamente si abbandonano ai mari della partenza? L’America non fu scoperta proprio nella speranza del condono?  Per qualche motivo, non era destino dell’America diventare se stessa, costruire la propria casa sulle fondamenta di un perdita rispetto alla quale sarebbe stato possibile un ritrovamento. Il suo destino era piuttosto quello di sacrificare la propria libertà all’idea di nazione, di riprodurre ed esasperare la furia del possesso e di precipitare nel marasma della no-vita. Invece di una nazione di poeti, è diventata una nazione di debitori, proprietari, negozianti, spettatori, pettegoli, trafficanti in chiacchiere, pregiudizi e informazioni- capitalisti che nella loro strana incertezza sulla vita inseguono le illusioni di un ritrovamento appropriandosi di ogni cosa.

Nella sua continua fuga dalle conclusioni di una carriera mortale, l’America è diventata non il caput mundi della libertà poetica, bensì il caput mortuum della modernità: il capitalismo si è trasformato in un teschio. L’America sarà per sempre ciò che non è diventata, e Walden rimarrà la sua casa disabitata.

Da Robert Harrison, Foreste – L’ombra delle civiltà, ed It. Garzanti 1992

Questo libro è di quelli che raddrizzano, illuminano, purificano, convertono alla verità la Mente. È un testo filosofico che ti fa appartare dal volgo ignobile distruttore, in qualunque luogo, proprio come in una grande, incontaminata per miracolo, foresta. Il mio triste secolo non ne ha risparmiata nessuna, e dov’era la Città ha seminato selve di grattacieli e giungle d’asfalto, e la storia della perdita delle foreste è parallela e indistinguibile dalla storia della perdita dell’uomo conquistatore. Ai distruttori di foreste dobbiamo l’evocazione di Némisis e la moltiplicazione spaventosa di moltitudini accecate ( oggi siamo sette miliardi di geofagi accaniti attorno a quest’osso spolpato Terra che chiamiamo crescita la loro privazione di vita vera ) che tra XIX e XX hanno creato un mondo invivibile, e le foreste con le loro divinità e i loro incantesimi non sono più che materia per la monoindustria del disfacimento.

Leggete Foreste di Robert Harrison: vi farà vergognare e vi renderà, forse, meno passivi, meno predabili dalle forze del Male.

Tratto da:  Guido Ceronetti, Ti saluto mio secolo crudele, ed Einaudi 2011

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