RUMORE E MORTE

In una lettera del 1957, Jung attribuiva la passione giovanile a produrre rumore con la moto ad un istinto di profondità coralmente suicida. Questa passione non ha cessato di accrescersi, e infatti l’istinto suicida nei giovani (ne sono un po’ meno colpite le femmine) si sta manifestando in modi sempre più accaniti e vistosi (i «giochi della morte» diffusi in tutto l’Occidente) e tutto quel che un’industria satanica, chiaramente diretta a scopi maligni, giapponese in primo luogo, crea per rendere più torturante, più torvo, più luttuoso il rumore è dalla gente giovane, dagli adolescenti, quasi tutti con molti soldi in tasca forniti dalle famiglie, ricercato e consumato con frenesia. Rumore e morte. Rumore prodotto per ferirsi, per mutilarsi, per togliersi di mezzo estaticamente.

Il successo delle discoteche, case di morte, conferma la diagnosi. I giovani manifestano in massa per qualsiasi cosa, eccetto che per eccessi di rumore, e tentativi per far chiudere qualche ora prima quei luoghi infami sulla riviera romagnola non hanno incontrato che furore e minacce. La morte non vuole mollare i suoi devoti e le sue prede.

Il rock, nella sua irresistibile ascesa, ha eccitato dappertutto l’istinto suicida, innalzando negli stadi e nei palasport degli immensi templi provvisori al Dio del Rumore, coagulato in ritmi di cozzo stellare e di simulate aggressioni belliche in combinazione con urla di vittime sacrificate al parossismo dell’eiaculazione sonora dei sacrificatori.

Sarebbe da studiare se l’antica musica dionisiaca (di cui un frammento degli Edoni di Eschilo e Catullo 64, 261-264 forniscono un’idea abbastanza netta a chi tentasse di ricostruirla) sia un lontanissimo antenato del rock e se di musica dionisiaca contemporanea si possa parlare, a proposito del rock: devo per questo consultare Dioniso. Mi pare che i musicologi chiamino dionisiaca certa musica del XIX e del XX (Berlioz, Stravinskij, De Falla) molto lontana dal poterne risuscitare l’inafferrata divinità. E innanzitutto, Dioniso non è un Avversario (Satana) ma un Salvatore; non lega ma scioglie. La musica del tiaso è perduta eppure si può ritrovarla in luoghi e giorni impensati. Dioniso è molto vicino al duende, grande forza benigna: nulla a che fare con lo scatenamento di potenze maligne proprio del rock, macchina trituratrice, in cui è uno spirito di crimine (pervenga o no a produrne per le cronache). Tutt’al più nel rock meno brutale, meno distruttivo, questo spirito senza gioia si può vederlo come volto in ombra di un Dio sfregiato, trascinato nell’equivoco e nel fango di un mondo fantasticamente desacralizzato.

Uno studioso del rock, il musicologo Paolo Prato, dava come intensità media del suono di un gruppo rock di fuoco la misura di 115 decibel, ricordando che in copertina di molti dischi è ingiunto di «far girare ad altissimo volume», perché il rock a basso volume cessa di essere tale, solo una forte intensità di decibel essendo in grado di penetrare nello stomaco e di galvanizzare la rana sbucciata. L’alto volume arriva nell’anima come una fialetta infranta fra i denti, di cianuro.

Il traffico automobilistico in normale scorrimento nelle città italiane tocca i 90, mi pare, ma sicuramente in punti come il largo Chigi o l’Argentina a Roma supera i 100, mentre il decollo di un jet – un vero godimento! – arriva ai 120. Decibel è termine demonologico: nel figurarselo in realtà umana si può pensare che sui 90 di tale unità acustica – un decimo di bel – siamo già entrati in «pre dolore acustico», e a questo punto l’inferno è dentro, il suo regno è stabilito.

Il decibel misura l’intensità di un rumore, non i danni che producono, nel sistema mentale e psichico, nella totalità dell’essere umano, le variazioni all’interno di un dato rumore; il traffico non è uniforme, c’è una molteplicità di stridori, a Roma e a Milano le sirene non cessano un momento, le cariche di clacson straziano come foreste di punte avvelenate, e nelle discoteche alla micidiale aggressione del suono si aggiunge la violenza visiva delle luci psichedeliche, paralizzatrici e distruttrici della coscienza in congiunzione spietata.

Dai 90 ai 100 decibel della strada, il ragazzo, la coppia in cerca di «divertimento» (gli danno tuttora questo nome) passa dunque ai 115 – più luci d’inferno, droga, alcool e fumo – della discoteca. Ma certi gruppi di metal, il rock pesante, hanno già toccato e oltrepassato i 120 (come il gruppo di Bruce Dickinson al Palatrussardi di Milano e in altre città italiane, novembre 1990).
Rumore è morte. Per questo è idolo e ha culto.
Morte è rumore. Finita anche la favola della morte che viene silenziosa. La morte viene rumorosa. È il culmine della prigionia del Verbo nel mondo.

1991

Tratto da: Guido Ceronetti, Care incertezze, Adelphi

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