“SORELLA ANIMA INTERVISTA DI PATRIZIA VALDUGA A GUIDO CERONETTI” 1991
Se è vero, come è stato detto, che l’anima libera è rara, ma che la si può riconoscere perché fa bene starle vicino, allora Guido Ceronetti è anima tra le più libere che sia dato oggi incontrare: la sua vista, la sua vicinanza infondono una tale sensazione di benessere, e di sollievo, e di interiore tonicità… E poiché «Geremia, filologo, medium, poeta, in combinazioni instabili» è il suo mestiere, vorremmo, come a Geremia, dopo che Gerusalemme fu presa e arsa dai Caldei, domandare anche a lui la Via per cui dobbiamo andare e ciò che dobbiamo fare…
Ormai l’America è oggetto di adorazione a Ovest come a Est. È la nostra via?
Verso l’America c’è per lo più un’idolatria ipocrita, perché nessuno apertamente confessa di idolatrare l’America, però di fatto ci si sottomette a tutto quel che è americano, anzi si crea dappertutto America, in quanto non è propriamente un luogo e uno Stato, ma un modello universale, piuttosto indecifrato… Nello stesso tempo, come tutti gli idoli, è fatta segno di un odio attivo, che è una forma di idolatria alla rovescia.
A me pare che l’antiamericanismo ideologico, sia d’Oriente che d’Occidente, provenga dai bassifondi del pensiero, da qualcosa di profondamento guasto. Un modo giusto di ragionare e di giudicare sembra introvabile.
L’anno prossimo si sprecheranno i festeggiamenti (e i miliardi) per il cinquecentenario di Colombo…
Bisognerebbe, in quell’occasione, fare più luce su una cosa, sulla famosa sifilide che avrebbero riportato dall’America i marinai di Colombo: perché, o l’hanno portata dove non c’era, oppure c’è stato semplicemente scambio di spirochete. Ma non mi vengano a dire che sono andati col sangue purissimo dei loro antenati bastardi ad infettarsi e che poi sono scoppiate le epidemie in Europa, perché questa è una cosa che non sta in piedi! Questa è la dottrina del sifilografo americanista Astruc, che ha influenzato dogmaticamente tutta la sifilografia successiva. La malattia c’era già in antico e probabilmente ce l’aveva Colombo quanto trattava quel tristo affare delle caravelle.
Il rifiuto del concetto di impegno politico, oggi, riguarda solo l’aggettivo o investe anche il sostantivo?
Sicuramente investe anche il sostantivo. Esiste, nel linguaggio e nella pratica, quello che viene chiamato l’impegno sociale, che ha sostituito l’impegno politico. Ma in realtà poi ci accorgiamo che l’impegno sociale non è tanto fare dell’altruismo autentico, quanto curare la nevrosi urbana propria, creatrice di egoismi a due facce, di cui una rivolta al sociale… Adesso poi con l’arrivo degli immigrati questa possibilità di autoterapia si è moltiplicata. L’impegno che ci vorrebbe di più, e che a me piace molto, è l’impegno civile, il voler essere cittadini. Ma per essere cittadini ci vuole il senso di patria… La vera passione civile è un dono di pochi e non ha in mira delle nuche diseredate, come l’impegno sociale, o una certa fazione, come quello politico; la passione civile è eminentemente astratta, è aumento dei dolori d’anima più che certo, e il suo fuoco brucia per tutta la comunità nazionale. Geremia urla per doglie provocate dal suo impegno civile disperatissimo. In realtà quel che ha prevalso dappertutto è uno sciagurato e pervertito individualismo. Come sono degenerati i cittadini sono degenerate le patrie; di nobile non c’è rimasto che una piccola giostra a cavalli di disperazioni senza voce, che ci fabbrica nei visceri, talvolta, questa crudele assenza di patria, molto simile all’assenza di Dio.
Si dice autorevolmente che la televisione è uno strumento fondamentale per l’educazione, per la crescita del senso sociale e civico, e persino per l’unificazione della lingua.
Benissimo. Questo conferma che il predominio degli spiriti del male sulle vicende umane è ben consolidato e bene approfondito, perché da quel video inseguitore si allunga senza fine una delle sue mani più pelose e accoltellatrici. Non dico che bisogna stare attenti, perché attento non ci sta nessuno. Stanno attenti soltanto a che non gli sfugga neanche una goccia di quel buon brodo…
C’è una trasmissione televisiva che s’intitola «Più sani più belli»: bellezza e salute sono diventati imperativi categorici…
Ecco una piccola conferma dell’inganno; la realtà risponde: più malsani e più brutti.
Mazzini ha scritto che «le sole gioie pure e non miste di tristezza che sia dato all’uomo di godere sulla terra, sono le gioie della famiglia»…
Questo bel pensierino si può collocarlo sulla porta corazzata di qualche grande famiglia mafiosa.
… e Bataille che «solo l’essere amato può farci tornare alla totalità perduta».
Ahimè, nessuna totalità è possibile qui nel mondo del frammentario e del diviso. Ma mi ritorna spesso alla mente questa massima consolatoria di Merežkovskij: «Il fine dell’amore sessuale non è la propagazione della vita, ma la resurrezione dei morti».
Cosa fare quando amiamo non riamati?
Se non vogliamo essere indiscreti, ci ritiriamo in punta di piedi.
E quando qualcuno ci ama da noi non riamato?
Bisognerebbe augurarsi dall’altra parte la stessa cosa detta prima, ma non ne saremmo del tutto rallegrati.
Come convivere con l’angoscia e il dolore della mente?
Il dolore della mente è una colonna vertebrale dello spirito, ci aiuta a vivere… È una bella metafora per dire angelo di Tobia, ci porta verso qualche cosa, è un soffrire reale che non tocca organi vitali, li sostiene. Non solo si convive con questo tipo di dolore, ma essendone privi si è dei morti viventi.
E con l’angoscia?
L’angoscia è brutta e perversa: sta attorno al dolore della mente come il cancro dell’albero, perché nulla è senza un’altra faccia. È brutta e ci rende vili, ci inchioda a dubbi maledetti, non ci fa varcare la soglia…
Quali sono i rimedi?
C’è uno sterminato arsenale chimico al quale tutti ricorrono come degli assetati. Il grande spaccio distribuisce a piene mani i rimedi contro l’angoscia. Anche le arti marziali e tutta l’organizzazione della Cultura, le ferie eccetera, sono diventate rimedio chimico. Dei rimedi segreti che certamente esistono, non inaccessibili, bisognerebbe trattarne a parte…
Come convivere con la malattia e il dolore del corpo?
Purtroppo lì, se non si ha forza abbastanza, non c’è che la forma meno nobile di preghiera. Raccomando il salmo 91: «Tu che all’ombra di Shaddai ti stendi e dormi». È un salmo apotropaico. Io l’avevo dato a un amico malato di cancro, gliene avevo fatto una versione apposta, e gli fece molto bene, così mi assicurava, e non si mente in quelle condizioni.
Perché in passato si sopportava molto di più il dolore?
Sono state introdotte le anestesie e gli analgesici. La risposta non è mia, è del grande chirurgo del dolore René Leriche: ricordava di aver operato senza anestesia, nella Grande Guerra, dei combattenti ignari di qualsiasi analgesico, senza che emettessero un lamento. Leriche fa risalire l’inizio del nostro indebolimento alla rivoluzione delle aspirine, che credo si collochi intorno al 1910. Ma ci possono essere cause che non possiamo per ora discernere. Certo siamo tutti più deboli di fronte ai dolori del corpo. Ma, qui, la vera forza è femminile.
Esiste ancora l’arte? Ed è un mezzo autentico di comunicazione?
A quanto pare lo è diventato soprattutto adesso, dal momento che l’esercito dei Fruitori dissemina per l’etere le prenotazioni alle mostre in tutti i continenti. Prima non avrebbero comunicato certamente fra di loro se non c’era il Grande Appuntamento con la mostra del centenario e del millenario. Chi invece si dichiara o si professa artista non credo abbia più in mente di parlare ad altri, è una specie di finestra chiusa. Frasi molto comuni che rivelano quanto poco l’artista d’oggi pensi a comunicare sono: «Qui a me interessava dire, fare questo…», «Per me è stata una grande esperienza…». Ma il fine essenziale per un vero artista non è di fare esperienze col suo tafanesco io, ma di dare la gioia esprimendo la pena di tutti.
E i poeti in particolare?
Ah, i poeti sono ipnotizzati dalla scheda enciclopedica. Essere lapidati in un volume che ha quarantamila nomi nella frase: «uno dei maggiori poeti del nostro tempo» o, più succulento ancora: «di ogni tempo», credo sia una delle grandi molle che li tenga ancora su. Il romanziere vive molto di più dell’applauso della giornata, come l’attore. Il poeta, anche se è sullo stesso carrozzone, ha un altro tempo mentale… E sono i più decisamente contrari alla fine del mondo, i poeti! Non gliene parlate, proprio a loro! Vi diranno che esistono ottime prospettive per una ripresa del genere umano affinché possa, tra altri millenni di sciagure, specchiarsi nei loro versi.
C’è un uso della poesia?
L’uso medico è quello che preferisco. Penso a Malinconia di Giasone di Cleandro di Kavafis, che chiama la poesia a soccorrerlo contro i mali e l’imbruttimento della vecchiaia. Nello specchio vede la sua faccia come uno squarcio di coltello, la sua faccia orrida di uno che invecchia, e dice: «Dammi i tuoi farmaci, o Poesia, consolami con lo Spirito della Parola». Ma perché sia efficace la medicina è necessaria la fissazione mnemonica e la ripetizione orale. La lettura silenziosa e affrettata è come l’assunzione di una compressa già sciolta in bocca d’altri.
Confucio ha detto: «Chi non conosce il rito non ha fondamento».
Dunque sono privi di fondamento tutti i più o meno fedeli che vanno alla messa in italiano.
Dove abita la Conoscenza?
La risposta è nel capitolo 28 del libro di Giobbe: la Conoscenza è soltanto presso Dio. Il nostro massimo risultato conoscitivo è avvicinarsi il più consapevolmente possibile al vuoto nostalgico di conoscenza.
Come si fa a non avere paura della morte?
Qui, in Paesi post-cristiani, la paura della morte è una condanna a morte che sostituisce i patiboli aboliti. Una ricetta per la vita urbana nostra sarebbe questa: andare ad abitare, anche se gli affitti fossero molto alti, in un quartiere dove su centomila abitanti novantanovemila non avessero paura della morte.
Che cosa dobbiamo temere più di tutto?
La morte di una sorella sconosciuta, detta Anima. Se anche fosse già avvenuta, come temo, bisognerebbe tenere la stanza ammutolita e glaciale sempre in ordine, e aspettare che torni.
Tratto da: Guido Ceronetti, Cara incertezza, “SORELLA ANIMA INTERVISTA DI PATRIZIA VALDUGA A GUIDO CERONETTI” 1991
Walter dice
Ceronetti é curativo bisognerebbe leggerlo di mattina, di sera prima di dormire.